Con Malala Yousafzai: Emirati Arabi Uniti per l’educazione delle donne

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L’ambasciata a Roma degli Emirati Arabi Uniti

Ue: senza discriminazioni di genere 24 milioni di lavoratori in più e +40% di produttività entro il 2040. Il Parlamento europeo per l’alfabetizzazione digitale

Il nome e la storia di Malala Yousafzai sono diventati un simbolo importante nella rivendicazione dei diritti civili delle donne. Era il 9 ottobre 2012 quando l’allora quindicenne ragazza pakistana subì un attentato sul pullman della scuola che la riportava a casa: gravemente colpita alla testa dai proiettili dei talebani, Malala sopravvisse dopo un disperato intervento chirurgico. Lei, definita “oscena” perché denunciava i soprusi dei fondamentalisti sul suo blog, ha incarnato la voglia e la richiesta di poter studiare, diritto sacrosanto che non in tutto il mondo viene dato per scontato. Due anni e un giorno dopo la brutale aggressione, Malala è diventata il più giovane premio Nobel di sempre.

Emma Bonino, Rana Al Dhaheri, l'ambasciatore Saqer Nasser Ahmed Abdullah Al RaisiAlla presenza dell’ambasciatore Saqer Nasser Ahmed Abdullah Al Raisi, l’ambasciata a Roma degli Emirati Arabi Uniti – Paese che grazie all’elisoccorso è risultato decisivo nella salvezza della ragazza – in collaborazione con il Forum Internazionale delle Donne (Iwf), ha organizzato presso la Casa del Cinema di villa Borghese una serata socio-culturale dedicata a Malala Yousafzai, premio Nobel per la Pace 2014. Nel corso del ricevimento, cui hanno partecipato personalità politiche, del corpo diplomatico, gruppi accademici e femminili, è stato proiettato il documentario He named me Malala, coproduzione della 20th Century Fox Film e degli Emirati Arabi, presentato dall’europarlamentare ed ex ministro degli Affari Esteri Emma Bonino. La commovente pellicola rimarca, con l’inserimento di spezzoni di cartoni animati, proprio la tenera età di Malala, divenuta suo malgrado un’eroina nonostante fosse poco più di una bambina. Ma si sottolinea anche la sua forza, fonte di ispirazione ed esempio per milioni di donne, di tutte le età e ogni provenienza: lottare per migliorare la propria condizione si può e si deve fare.

Rana Al Dhaheri, dell’ambasciata degli Emirati Arabi«Da donna degli Emirati Arabi sono molto onorata di essere qui a parlare di un tema importante per tutta l’umanità, riguardante le donne e i loro pieni diritti in tutti gli aspetti della vita e, soprattutto, dell’uguaglianza con gli uomini», dichiara Rana Al Dhaheri dell’ambasciata degli Emirati Arabi, Paese che recentemente ha visto la nomina di cinque ministre al Governo e di una donna alla presidenza del Parlamento. «Oggi gli Emirati Arabi Uniti sono considerati un modello per la regione, per la legislazione e le pratiche sullo status femminile nella società», grazie anche alle politiche dello sceicco Zayed bin Sultan Al Nahyan sullo sviluppo socio-economico del Paese. «Occupiamo il primo posto per il rispetto delle donne, secondo il rapporto 2014 del World Economic Forum’s International Council. È un alto riconoscimento delle conquiste ottenute», chiude la Al Dhaheri.

Con 6000 iscritte in 34 Paesi del mondo, l’Iwf è un’associazione apolitica con sede a Washington che favorisce contatti e scambio di esperienze fra le socie per facilitare lo sviluppo personale e professionale. La sezione italiana conta una cinquantina di aderenti ed è presieduta da Marina Romualdi Vaccari, che nel suo intervento ha voluto citare la dedica che compare nel libro della Yousafzai, Io sono Malala: «a tutte le ragazze che hanno affrontato l’ingiustizia e sono rimaste in silenzio. Insieme saremo ascoltate».

Malala_Yousafzai_Oval_Office_11_Oct_2013La storia di Malala è approdata lo scorso anno ad Expo for Women, nell’ambito del progetto “Starting from girls”, «non un’idea nuova», ammette Emma Bonino, «ma un’idea per costruire sinergie con il progetto, rendendolo più grande ed efficiente», tra gli attori coinvolti anche l’organizzazione Save the Children. Alla stessa Bonino, nel secondo dopoguerra, fu impedito dalla famiglia di proseguire negli studi, perché fu privilegiato il fratello. «Volevo studiare», ricorda, «questo solo per dire che le differenze esistono in ogni parte del mondo e alcune discriminazioni ancora rimangono. Il mondo sarebbe migliore se investissimo nell’educazione delle donne. L’accesso alla scuola e al mondo del lavoro sono una priorità».

Malala_Yousafzai_2015Il 17% della popolazione mondiale è analfabeta, di questi 2/3 sono donne, ostacolate nell’accesso all’istruzione da matrimoni forzati in età precoce e dalle discriminazioni, che minano non solo lo sviluppo personale ma tutto il progresso socio-economico nel suo insieme. L’Unione europea sancisce chiaramente nell’articolo 14 della Carta dei Diritti Fondamentali «il diritto all’istruzione e all’accesso alla formazione professionale e continua». Nonostante questo, qualche problema persiste anche da noi, in particolar modo sugli sbocchi lavorativi. L’Ue ha calcolato che se il tasso di partecipazione delle donne alla forza lavoro rimarrà sui livelli attuali, entro il 2040 ci saranno 24 milioni di lavoratori in meno, mentre la produttività potrebbe aumentare già oggi del 40% se tutte le forme di discriminazione venissero eliminate.

Per questo il Parlamento europeo promuove iniziative come l’alfabetizzazione digitale, per rendere più effettiva l’uguaglianza fissata su carta. Obiettivo delle politiche comunitarie è l’abbattimento delle barriere sociali alla base delle disparità di genere: ad esempio c’è ancora poca dedizione femminile negli studi scientifici e tecnologici, considerati “da ragazzi”, mentre all’opposto l’assistenza all’infanzia e nel campo infermieristico vengono associate alle donne. La strategia mira a ottenere la parità di genere entro il 2020, con un tipo di azione anche e soprattutto culturale, che destrutturi gli stereotipi.

Raisa Ambros

Foto © Ambasciata a Roma degli Emirati Arabi Uniti e Wikicommons

 

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Raisa Ambros
Giornalista pubblicista specializzata in geopolitica, migrazioni, intercultura e politiche sociali. Vive tra l’Italia e l’Inghilterra. Sceneggiatrice, autrice televisiva e conduttrice di programmi TV con un’esperienza decennale in televisione, Raisa è stata parte del team di docenti nel corso di giornalismo “Infomigranti” a Piuculture, il settimanale dove ha pubblicato e svolto volontariato di traduzione. Parla cinque lingue e viene spesso invitata nelle conferenze come relatrice sulle politiche di integrazione.

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