Roma celebra la Giornata internazionale della francofonia

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«Quando la lingua diventa strumento di accoglienza, integrazione e inclusione»: è il tema della tavola rotonda presentata oggi alla Sala del Refettorio della Camera dei Deputati

In occasione della ricorrenza del 20 marzo, i Capi delle Missioni francofone a Roma hanno voluto uno spazio di riflessione condivisa su una questione di grande attualità e sulle sfide delle nostre società confrontate alla più imponente ondata migratoria dalla Seconda Guerra Mondiale. L’appuntamento in Via del Seminario si colloca nelle Giornate della Francofonia in Italia – dal 7 al 22 marzo – con lo slogan «Libres ensemble» (Liberi insieme). L’Organizzazione internazionale della Francofonia (Oif), nata il 20 marzo 1970, riunisce 84 Stati su cinque continenti e più di 274 milioni di persone che parlano e condividono la lingua francese, ma anche valori quali la diversità culturale, il buon governo democratico, la pace, il consolidamento dello stato di diritto e la tutela dell’ambiente.

«L’edizione 2017 è stata caratterizzata da un grande successo in termini di affluenza ai diversi eventi culturali promossi in Italia. La diversità è ricchezza, oltre la lingua. La francofonia è il crogiolo di valori comuni. A cominciare dalla pace e dalla concordia tra i popoli» ha dichiarato in apertura dei lavori Amalia Daniela Renosto, presidente del Gruppo dei Capi delle Missioni francofone a Roma. La Renosto ha fatto riferimento alla sfida del fenomeno migratorio – il più imponente dalla Seconda Guerra Mondiale – e al ruolo cruciale della lingua quale strumento di accoglienza, integrazione e inclusione. Guardando all’attualità degli ultimi mesi, la presidente ha evidenziato che «la francofonia è stata colpita al cuore, da Parigi a Ouagadougou, da Bruxelles a Grand Bassam, con atti di terrore che ci lasciano senza parole (…) Atti che ci devono spingere a rimanere uniti e a mobilitarci per la ricerca della pace». Ed è stata proprio questa cupa cronaca ad ispirare lo slogan delle iniziative 2017, «Liberi insieme»: un appello alla vita e alla libertà per creare «spazi di solidarietà, convivenza e connivenza, miglior risposta che si possa dare su scala locale e globale» ha concluso la Renosto.

Una testimonianza diretta è stata condivisa dallo stesso moderatore della tavola rotonda, Cléophas Adrien Dioma, cittadino burkinabé residente in Italia da 20 anni, in prima linea nelle attività culturali africane organizzate nel Paese con l’Ottobre africano e l’associazione Le Réseau, di cui è il presidente, ma soprattutto nella rappresentanza di tutte le comunità straniere, sempre più coinvolte nella cooperazione allo sviluppo. «Il francese è stato la lingua della mia infanzia a Ouagadougou. Una parte fondamentale del mio percorso educativo e intellettuale che ancora oggi mi porto dietro» ha raccontato Dioma, evocando anche «lo sconforto» provato al suo arrivo nel Belpaese, quando non riusciva a parlare italiano e andava sempre in giro con un piccolo dizionario in tasca…

All’evento ha preso parte un pubblico variegato, sia geograficamente che linguisticamente, con il francese come trait d’union: italiani, francesi, svizzeri, marocchini, della provincia canadese francofona del Québec e altri partecipanti provenienti da diversi Paesi africani.

Tra gli esempi eccellenti di sistemi linguistici funzionanti e di qualità, quello del Cantone di Vaud in Svizzera, presentato da Amina Benkais-Benbrahim, delegata all’integrazione e responsabile dell’Ufficio cantonale per l’integrazione degli stranieri e la prevenzione del razzismo. Fiore all’occhiello è il metodo linguistico FIDE (che sta per Français Italien DEutsch) con uno standard qualitativo molto elevato, un vero e proprio label che pone al centro dell’apprendimento della lingua le necessità della vita quotidiana degli immigrati. L’obiettivo centrale è quale di dare agli stranieri tutti gli strumenti per riuscire a gestire le proprie necessità (salute, alloggio, bambini a scuola, ricerca di un lavoro, ecc.) con delle sequenze di studio che riproducono scenari di vita molto pratici, pragmatici nel materiale didattico messo a loro disposizione. Oppure il Pan Milar, un programma destinato alle donne migranti incinte per aiutarle a gestire al meglio la propria gravidanza e la nascita di un figlio.

Nel suo intervento, Abdelmalik Achargui, ministro consigliere dell’Ambasciata del Marocco in Italia, ha sottolineato che ormai «nessun Paese può fare a meno della migrazione in termini di contributo come manodopera, demografico, economico e culturale». Lo stesso Marocco, che vede tra quattro e cinque milioni dei suoi cittadini residenti all’estero, è diventato un Paese di accoglienza dei migranti, soprattutto dell’Africa subsahariana, mentre in passato era soltanto una terra di transito. In Italia i cittadini marocchini residenti rappresentano una delle comunità straniere più numerosa (600.000 persone, l’8,7% degli stranieri secondo il rapporto Caritas Migrantes Idos 2016), molto attiva nella piccola imprenditoria. Il Paese del Nord Africa ha inoltre attuato una nuova politica di immigrazione, che ha già portato alla regolarizzazione di 30.000 immigrati (scuola, lingua, sanità).

Alessandro Masi, segretario generale della Società Dante Alighieri, ha invece esordito parlando di «lingue e culture che si intrecciano sempre di più nel nostro Paese ma devono convivere con le nostre ansie, non sempre giustificate». Oltre alla compensazione della denatalità, i flussi migratori stanno contribuendo sempre di più alla ricchezza economica e imprenditoriale del sistema Paese, oltre a pagare cospicue tasse e pensioni dei cittadini italiani. La conoscenza della lingua e della cultura italiana – ancor di più se ricevuta nei Paesi di origine, prima della partenza – è uno strumento cruciale per «la protezione dagli abusi e la tutela dei propri diritti», per «l’agevolazione del processo di integrazione del singolo e della sua famiglia nella società», per «l’integrazione nel mondo del lavoro» e per «la parità di opportunità». È attraverso la lingua che si pongono «le basi per una civile convivenza, per una nuova società multiculturale. Lingua è protezione, è opportunità e inclusione» ha insistito Masi.

La centralità dell’apprendimento e della padronanza della lingua francese è emersa anche dall’esperienza del Québec, provincia francofona del Canada, presentata alla tavola rotonda da Nathalie Narboni-Isal, esponente del Ministero dell’immigrazione e della diversità. Il Québec è un’enclave francofona di 8,2 milioni di abitanti che fa opera di resistenza linguistica di fronte ai giganti anglofoni del resto del Canada e degli Stati Uniti. «La lingua francese è la nostra identità, è la lingua di accoglienza e integrazione dei migranti accolti. Uno strumento per tendere alla coesione sociale» ha evidenziato la Narboni-Isal.

 

Véronique Viriglio

Foto © Organizzazione internazionale della Francofonia, Dioma/ Le Réseau, Canton de Vaud (Suisse), Ambasciata del Marocco in Italia, Società Dante Alighieri

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Véronique Viriglio
Franco-italiana cresciuta a "pane e Europa" – quella dei padri fondatori nel Dopoguerra – durante il percorso di studi tra Parigi e Firenze. Tutte le strade portano a Roma e…all’Africa. Dal 2000 segue quotidianamente l’attualità del continente con un’attenzione particolare alle tematiche sociali, culturali e ambientali. Collabora con Agi da settembre 2017. Fondatrice del sito www.avanguardiemigranti.it. Direttrice della rivista femminile multiculturale W- ALL WOMEN MAGAZINE

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