50 anni dall’invasione e dall’occupazione turca di Cipro

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Cipro

L’esperienza e la testimonianza del professore Christos Economou, rifugiato, lontano da casa e dalla posizione di insegnante

Il professore Christos Economou, direttore del dipartimento di Teologia dell’Università di Nicosia, già presidente e decano della facoltà di Teologica dell’Università Aristotele di Salonicco, in occasione del 50° anniversario dell’invasione dei turchi e dell’occupazione di Cipro, riporta esperienze e testimonianze personali sui fatti e le conseguenze da 50 anni a questa parte.

Economou, con il suo discorso vivido, tratta il periodo dello sradicamento violento dei grecociprioti dai territori occupati e della sua stessa mobilitazione come sottotenente di riserva. Con senso di responsabilità e di sacro obbligo di rifugiato di San Epitteto di Kyrenia e di accademico, descrive la sua testimonianza come un memoriale per i martiri, ma anche un innesco per le generazioni future affinché la bandiera della libertà non venga abbassata.

Informare il Mondo

«Sono già passati 50 anni, mezzo secolo, dall’invasione di Cipro da parte dei turchi e dall’occupazione di Kyrenia, Famagosta e Morfou. 50 anni di profughi, 50 anni di divisione dell’Isola in Cipro nord e sud, 50 anni di persone scomparse, 50 anni di violazione dei diritti umani, 50 anni di ignoranza delle risoluzioni dell’Onu, 50 anni di distruzione del nostro patrimonio culturale, 50 anni di lotta e di sforzi per risolvere il problema cipriota, con due proposte: la Federazione, con un’unica amministrazione e coesistenza delle due comunità, I greco-ciprioti e i turco-ciprioti, giunti sull’orlo di una soluzione a Crans Montana e la proposta dei due Stati recentemente avanzata dalla Turchia da Recep Tayyip Erdoğan, attraverso il presidente in carica, Ersin Tatar, rappresentante dei turco-ciprioti, ma anche dei coloni turchi, che si sono stabiliti sull’Isola, godendo dei beni della Terra promessa, che è Cipro».

«Un episodio, che da domenica, 21 gennaio 2024, ha iniziato ad andare in onda sulle televisioni greche e cipriote, con il titolo “Famagosta”, è stata la sfida per me, come Ciprorifugiato, da Agios Epiktitos di Kyrenia non schiavizzata, a riflettere e “mettere il dito sulla stampa di tutti” e a esprimere esperienze di 50 anni: allontanamento forzato dalla mia casa, dal mio villaggio e dalla mia provincia. Lottare, prima di tutto, per trovare i vivi, i morti e i dispersi, dai miei parenti, dai miei paesani e per rendermi conto della distruzione della mia patria, Cipro. Mi sono ritrovato rifugiato, lontano da casa mia, dal mio villaggio, dalla mia provincia, dalla vita quotidiana e dalla posizione di insegnante teologo del ginnasio di Kyrenia occupata e di Agios Amvrosios».

Un’Isola sconvolta

«Questo lavoro di tre ciprioti, Vana Demetriou, sceneggiatrice, Andreas Georgiou e Koullis Nicolaou come produttori e attori, ha ricevuto critiche con vari pareri, positivi e negativi. Dico, molto semplicemente e logicamente, che la presenza del presidente della Repubblica di Cipro, Nikos Christodoulidīs, e del presidente del Parlamento, Annita Demetriou e di altri attori politici, statali ed ecclesiastici, alla prima della serie, merita congratulazioni ed elogi».

«Pertanto, le congratulazioni sono dovute ai principali collaboratori, che hanno registrato molti altri successi televisivi, così come agli attori, che, “ethos poetico”, turbano lo spettatore, facendolo simpatizzare con gli eventi dell’invasione e dell’occupazione di Cipro da parte dei turchi e informando il popolo cipriota, della Grecia e del resto del Mondo a livello internazionale, sul fatto scioccante dell’occupazione del 40% del territorio cipriota, dei 250.000 profughi e dei residenti permanenti dell’Isola, la creazione di migliaia di dispersi, morti e torture disumane di civili innocenti, sradicando dalle loro case ancestrali, dalla storia e dalla cultura della loro Nazione».

«Naturalmente, questa produzione crea depressione nello spettatore. E questo è molto naturale, poiché è la distruzione di un’Isola, di un popolo, di una cultura. I greco-ciprioti, che nella loro maggioranza, fin dai secoli, sono greci per origine, lingua, religione e cultura, hanno subito una catastrofe, sia per il proditorio colpo di Stato della giunta di Atene contro il legittimo presidente della Repubblica di Cipro, l’arcivescovo Makarios III, il 15 luglio 1974, sia per l’invasione turca del 20 luglio dello stesso anno».

Nessuno ha fatto niente

«Nessuno può descrivere l’esperienza di essere un rifugiato a meno che non viva l’invasione e l’occupazione. Ma può riflettere sugli errori e le omissioni che sono stati commessi e che hanno portato a questo sanguinoso disastro, alla decadenza e alla morte. I turchi, si sa, aspettavano che si commettesse l’errore per trovare l’occasione di portare a termine i piani di anni, calpestando letteralmente i cadaveri, ed è quello che fecero. Hanno ignorato le risoluzioni dell’Onu, hanno aggirato il diritto internazionale e i diritti umani, di fronte all’obiettivo di occupare prima metà di Cipro, per poi occupare a tempo debito l’altra metà».

«Invasero Cipro, sotto gli occhi discreti delle grandi potenze, l’America e l’Europa, e con la tolleranza della potenza garante, l’Inghilterra. Il popolo greco, indipendentemente dalla sua leadership, è stato al fianco dei suoi fratelli greco-ciprioti, un compagno fedele e si è sacrificato, come tutti noi, che hanno servito durante l’invasione dei turchi nel 1974».

«Le tombe di Makedonitissa confermano la verità. Solo la giunta di Atene rimase inattiva, fingendo l’invasione come un’esercitazione da parte dei turchi, ma la successiva leadership politica, che prese il controllo del Governo greco, finse che Cipro fosse lontana dalla Grecia e la abbandonò alla misericordia di Dio. Tuttavia, il problema dell’Isola rimane una questione permanente, che sia la Turchia che la Grecia stanno cercando di rimuovere dal loro dialogo politico, anche se invano».

Provocare popolo e governanti

«Passarono 50 anni di negoziati e Kyrenia, Famagosta e Morphou non solo rimasero sotto lo stivale del conquistatore barbaro, Attila, ma peggiorarono anche la situazione. Con gli sforzi infruttuosi dei governanti di Cipro e della Grecia, e la totale indifferenza dei potenti della terra, dell’America, dell’Inghilterra e dell’Europa, il problema di Cipro rimane irrisolto. Tuttavia, hanno aspettato l’invasione russa dell’Ucraina per spendere enormi quantità di denaro per la difesa del Paese di Zelenskyy e si sono mobilitati, raggiungendo l’orlo della terza guerra mondiale, appunto, con la minaccia delle armi nucleari».

«Ma Cipro e i 50 anni di invasione e occupazione da parte dei turchi hanno lasciato indifferenti questi alleati, americani, europei e la stessa Inghilterra, che, nel caso dell’Ucraina, hanno sprecato miliardi di soldi, armi e risorse umane, mentre per Cipro è rimasta e rimane vendicativamente indifferente, perché non ha mai perdonato la lotta dell’Eoka nel 1955-1959 per liberarsi dal giogo inglese, con la debole indipendenza dei trattati di Zurigo e Londra nel 1960».

«Questo è il motivo per cui la serie Famagosta è arrivata tardi, ma necessariamente, per spingere e riflettere sulla situazione e sulla soluzione e per provocare il popolo e i governanti, potenti della Terra, amici e alleati, che il dramma e il problema di Cipro è una ferita aperta, banalizzando il mondo civilizzato. È intollerabile proiettare la dolorosa realtà dell’invasione turca, che non si limita a Famagosta, ma anche a Kyrenia e Morfou. Lo sviluppo di un localismo banalizzerà la lotta dei ciprioti e creerà l’impressione di compiacimento e tradimento delle altre Città da parte di tutto il popolo cipriota e greco. Ecco perché la memoria della nostra Patria non schiavizzata e non delle singole Città è imperativa».

Memoria, storia, cultura

«Vedendo i fatti, dobbiamo imparare a superare il decadimento e la morte e, in nessun caso, dobbiamo sottometterci allo stato di realismo, ma andare avanti con pazienza, compostezza e militanza verso il futuro. Ecco perché la menzione del messaggioIo non dimentico” deve prevalere su tutti i rifugiati, non solo sulla popolazione di Varosha, ma anche sui cirenei e sui morfiti e su tutti i fratelli ciprioti e greci. Essendo io stesso un Kyreniano, sento il mio cuore e la mia anima distaccati da me, di fronte al dramma del mio posto. Ma quando tocco la storia e la tradizione che abbiamo vissuto come popolo sento la mia esistenza inondata dalla cultura e dalla tradizione del mio Paese, che ha una dimensione pancipriana, panellenica ed ecumenica, con il contributo della nostra cultura cristiana greco-ortodossa, a livello globale ed ecumenico».

«Così, la tristezza e la depressione vengono superate e ci fanno lottare ostinatamente per tutta la vita del nostro Paese. Dobbiamo guidare i giovani attraverso l’educazione, per vivere la memoria e la storia del nostro Paese. Anche se gli invasori turchi occupano ancora i nostri villaggi e le nostre case, quando ci viene insegnata la nostra cultura e la nostra storia, nessuno può portarci via l’esistenza. I turchi possono possederli illegalmente e tenerli con pistole, carri armati e aerei, ma noi li conserviamo nella nostra memoria e nel nostro cuore, come un’eterna esperienza esperienziale. Gli invasori turchi possono vivere tra le tombe dei nostri antenati, ma noi, ovunque ci troviamo, viviamo la nostra tradizione, i nostri usi e costumi, la memoria della nostra vita nelle nostre case, chiese, matrimoni e funerali, nelle feste e nelle chiese dei nostri Santi, saccheggiate».

Ricordi e libertà

«Alcuni li hanno trasformati in stalle, altri in club, caffè, centri malfamati e moschee, come la chiesa del mio villaggio, Agios Epiktitos. Questi invasori turchi vivono e seminano morte, hanno riempito le tombe di morti e macerie, ma noi sperimentiamo tutta questa nostra cultura, perché si identifica con la nostra vita e la nostra esistenza: “Quelli che sono in armi e quelli che non sono nel nome del Signore Dio, siamo magnificati” (Sal 19,8)».

«La storia degli ebrei in cattività babilonese ci insegna che il realismo è trasceso dalla volontà del popolo e dalla giustizia divina. L’inno “Gerusalemme, la mia destra è attaccata, Ciprola mia lingua mi si è ficcata in gola, se non sono promessa sposa a te” (Salmo 136:5-6) condusse gli Israeliti a una patria rinnovata. La lotta nazionale dei greci, dopo 400 anni di schiavitù ai turchi, il 25 marzo 1821, portò il popolo a liberarsi dal giogo turco e alla libertà della Grecia e dei greci. Ecco perché non dobbiamo sottometterci al realismo e al fatto compiuto, ma lottare senza ammainare la bandiera della libertà. La frustrazione, l’autocompiacimento e le continue concessioni non sono i migliori compagni dei popoli e delle culture. L’ottimismo, come prospettiva storica, con esempi tangibili di ribaltamento dei fatti compiuti, come ho accennato sopra, ci porta a “Non dimentico Kyrenia, Famagosta e Morfou”».

 

George Labrinopoulos

Foto © Globalist, Altraeconomia, Wikipedia, Prima Bergamo

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George Labrinopoulos
Sono quasi 52 anni che vivo in Italia, originario di Vitina, nel Peloponneso, Sono nato a Vrilissia, 13 km dal centro di Atene, dove ho vissuto i primi 20 anni della mia vita, finché non sono arrivato a Roma dove ho lavorato come corrispondente per la Grecia e a una Agenzia Onu. Ho cominciato a lavorare in Italia nel '78, come secondo corrispondente di un importante giornale greco. Nel 1980 sono entrato nella stampa estera in Italia, della quale tuttora sono membro effettivo e per la quale negli anni Ottanta ho ricoperto per tre volte la carica di consigliere nel direttivo dell'associazione. Nell'arco di questi anni ho lavorato per vari quotidiani greci, oltre che per un'emittente radiofonica, Da Roma riuscii a portare tra il 1984, fino gli anni Novanta, politici del calibro di Pertini e Cossiga, i primi ministri Andreotti e Craxi, il Papa Giovanni Paolo II, Prodi, e altri uomini politici che attraverso il loro operato scrivevano la storia dell'Italia in quegli anni, poi messi in un libro "L'Italia dei giganti", due anni fa. Sono arrivato in Italia nel 1972, iscritto all'Università per Stranieri in Perugia per imparare la lingua italiana. Sono stato iscritto all'Università di Roma nella facoltà di Lettere e Filosofia indirizzo lingue straniere (inglese). Durante le lezioni il mio professore all'epoca Agostino Lombardo, ci insegnava analisi di testo e di poesia, e gia mi è arrivata la voglia di cominciare di fare il mestiere che dovevo fare nella mia vita. Giornalista...vorrei ricordare che negli anni '70 non c'erano scuole di giornalismo, e il mio mestiere l'ho imparato facendo la gavetta dopo l'Università, ero andato ad Atene e facevo praticantato a un giornale ellenico...erano gli anni del sequestro Moro, e un'agenzia ellenica chiedeva un secondo per l'Italia, e cosi sono tornato come professionista giornalista a Roma

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