Per il capo della British Bankers Association è solo questione di tempo: i piccoli istituti se ne andranno già prima di Natale, i più grandi nei primi mesi del 2017
La politica sembra ancora non rendersene conto dopo il referendum sulla Brexit, ma l’allarme lanciato dagli istituti bancari nel Regno Unito sta portando a compimento quella fuga prevista dagli analisti che riguarderà anche le grosse case automobilistiche straniere. E ora, dopo il crollo della sterlina, è l’intera economia britannica a rischiare un downgrade.
A scriverlo è l’Observer che ha riportato le parole del capo della British Bankers Association Anthony Browne secondo cui gli istituti creditizi più grossi hanno messo su appositi team e si stanno preparando al trasloco da Londra nei primi mesi dell’anno prossimo, mentre quelli più piccoli andarsene già prima del prossimo Natale.
Tutto questo perché il sistema bancario non può aspettare l’ultimo minuto per agire e il cincischiare del governo (e dell’opposizione) del governo di Sua Maestà ha costretto tutti al «pensare al peggio», soprattutto perché «il dibattito pubblico e politico al momento ci sta portando nella direzione sbagliata». Il problema non sta solo nel clima che si sta creando, come riporta anche l’Agenzia Ansa, con la decisa recente presa di posizione del presidente francese Francois Hollande («La signora May vuole un Brexit duro? I negoziati saranno duri», ha avvertito), ma soprattutto in una questione tecnica, e cioè l’incertezza sul mantenimento o meno dei cosiddetti “diritti di passaporto” per i membri del mercato unico, che finora hanno permesso alle banche basate nel Regno Unito di offrire servizi finanziari a società e persone nell’intera Unione europea senza alcun ostacolo.
Se il ministro che curerà la transizione che porterà la Gran Bretagna fuori dall’Ue, David Davis, la scorsa settimana ha tentato di rassicurare il settore affermando di essere «determinato a ottenere il migliore accordo possibile per le banche», la premier Theresa May non sarebbe propensa ad accordare uno status speciale per la City di Londra (attraverso il versamento di indennizzi all’Ue, proprio per mantenere i diritti di passaporto), preferendo mantenere la priorità dei controlli alla libertà di movimento degli stranieri.
Stando a calcoli della società di consulenza Oliver Wyman citata dall’agenzia Bloomberg, imporre restrizioni all’attività finanziaria porterebbe a una perdita dei ricavi per le società britanniche fino a 40 miliardi di sterline (circa 45 miliardi di euro) e mettere in pericolo 70mila posti di lavoro. Ma non solo: secondo il capo della British Bankers Association rischi esistono anche per il resto dell’Europa, perché le banche basate nel Regno Unito «mantengono a galla finanziariamente il continente» con prestiti per 1.100 miliardi di sterline: il rubinetto potrebbe quindi chiudersi.
Browne, insomma, ha messo in guardia i politici britannici ed europei che sembrano preferire obiettivi “dannosi” per il commercio internazionale: devono rendersi conto, ha avvertito, che «innalzare barriere al commercio nei servizi finanziari oltremanica ci danneggerà tutti».
Angie Hughes
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