Sono 17 i paradisi fiscali per l’Unione europea

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Fra i Paesi sorvegliati ce ne sono altri 47. E poi si decide delle riforme dell’EMU e dell’Eurozona, dal ministro del Tesoro alla conferma del Fiscal Compact

In attesa della proposta di riforma dell’Unione economica e monetaria (EMU) da parte dell’esecutivo comunitario e della nascita del Fondo monetario europeo, si cominciano a delineare scenari incredibili per chi è abituato a seguire l’attività delle istituzioni a Bruxelles, Lussemburgo e Strasburgo. Vuoi per l’elezione del presidente Usa Donald Trump con il suo protezionismo (e isolazionismo), vuoi per la Brexit che ha scoperchiato il vaso di Pandora, l’Unione europea e i suoi rappresentanti sembrano animati dal sacro fuoco del voler fare, presto e bene.

A breve c’è l’intenzione di trasformare l’Esm (European Stability Mechanism, il fondo intervenuto nei salvataggi di Irlanda, Portogallo e Grecia) in Fondo monetario europeo. Non si occuperà solo di salvare gli Stati ma anche di fare da paracadute al SRF (Single Resolution Fund, fondo salva-banche) e di intervenire a proteggere gli investimenti nei Paesi più colpiti. E le decisioni saranno prese a maggioranza, non all’unanimità come adesso. Sempre entro fine legislatura (2019) dovrebbe nascere, dal bilancio Ue, una linea dedicata all’Eurozona: servirà a sostenere le riforme strutturali dei governi attraverso un budget ampliato a 300 milioni di euro, più uno nuovo che attingerà a un fondo di riserva, ma solo per riforme concordate all’interno del semestre di presidenza europeo.

Un’altra novità potrebbe essere l’inserimento del Fiscal Compact nei Trattati: una scelta che lo renderà definitivo, perché su tutte le sue disposizioni, parametri di bilancio e flessibilità, vigilerà la Corte di Giustizia dell’Unione europea. A seguire (ipotesi: nel 2020) la nomina del ministro del Tesoro Ue che sarà sia vicepresidente della Commissione Ue che capo dell’Eurogruppo, e quindi del Fondo monetario europeo. Il piano sarà esaminato dai leader al prossimo Consiglio europeo del 15 dicembre.

La decisione più importante, in realtà, come Eurocomunicazione aveva anticipato nei giorni scorsi, è stata presa dall’Ecofin: spinta dai continui scandali fiscali che hanno lasciato sempre più indignata l’opinione pubblica, l’Unione europea ha deciso di compilare una lista dei paradisi fiscali, cioè quelle giurisdizioni che favoriscono l’evasione ai danni dei cittadini di tutto il mondo. Nella speranza che, esponendoli alla pubblica gogna e forse anche al rischio di future sanzioni, comincino a collaborare con le autorità fiscali europee smettendo di aiutare gli evasori.

I primi a esser individuati nella lista “nera” sono 17: Bahrain, Barbados, Corea del Sud, Emirati Arabi, Grenada, Guam, Macao, isole Marshall, Mongolia, Namibia, Palau, Panama, Samoa e Samoa americane, Santa Lucia, Trinidad e Tobago, Tunisia in rigoroso ordine alfabetico. Altri 47 sono stati inseriti in una listagrigia“, perché si sono impegnati a cooperare. Ci sono, tra gli altri, anche Andorra, San Marino, Svizzera, Turchia, oltre alle Cayman, Jersey e Bermuda.

Ankara (Turchia)

L’Unione europea aveva cominciato dieci mesi fa a valutare i Paesi da inserire nell’elenco. Si partiva da una lista di oltre 90 Stati, da analizzare applicando i criteri individuati dalla Commissione europea: trasparenza, equa tassazione e attuazione degli standard Ocse sullo spostamento dei profitti (BEPS, dall’acronimo inglese Base Erosion and Profit Shifting). Lo screening è stato fatto da esperti nazionali, che a gennaio scorso inviarono a tutti una lettera per informarli dell’avvio del processo.

Ad ottobre, ne hanno inviata un’altra per informare chi sarebbe finito accusato per favoreggiamento dell’evasione. Alcuni si sono quindi impegnati a collaborare entro l’anno, e sono così stati depennati. Solo in 17 non hanno manifestato alcun “pentimento”. Per loro, scatteranno per ora le sanzioni amministrative decise dall’Ecofin: gli Stati membri potranno cioè decidere di aumentare il monitoraggio, fissare ritenute d’acconto, e nessun fondo europeo potrà essere utilizzato da società che hanno sede in quei Paesi.

La più sorpresa (e risentita) dei 17 pare essere la Tunisia. «Si tratta di una classificazione che non riflette del tutto gli sforzi compiuti per conformarsi dal Paese alle norme internazionali di trasparenza fiscale», sarà pubblicato domani in un comunicato del ministero degli Esteri di Tunisi. «Abbiamo fornito all’Ue tutti i dati e i chiarimenti relativi alla compatibilità del sistema fiscale tunisino con i principi della carta europea in materia fiscale». Si vedrà se nella prossima riunione dell’Ecofin – che dovrebbe tenersi il prossimo 23 gennaio – cambierà qualcosa. Ma in realtà sembrerebbe che tutto nasca dal rifiuto ufficiale del Paese a una specifica richiesta presentata dall’Ue di sospendere i benefici fiscali concessi alle società offshore per export, come ha riferito una fonte governativa all’agenzia tunisina Tap.

Chi sembra essere sereno sul giudizio Ue è il governo della Repubblica di San Marino, per ora fuori dalla black list. «Siamo un Paese compliant» (conforme, ndr), si commenta dalla segreteria di Stato, «sulla base di criteri oggettivi che tengono conto di un adeguato livello di trasparenza, tale da consentire lo scambio di informazioni fiscali, un regime impositivo equo e il rispetto delle misure di contrasto al fenomeno dell’erosione della base imponibile».

La lista dei paradisi fiscali «rappresenta un progresso sostanziale», ma «resta una risposta insufficiente all’ampiezza dell’evasione globale». Perciò «chiedo ai ministri di evitare ingenuità sugli impegni: i Paesi che si sono impegnati a cambiare le leggi devono farlo il prima possibile», e poi bisogna pensare asanzioni dissuasive“: è ciò che ha dichiarato il commissario europeo agli Affari economici, il francese Pierre Moscovici.

Anche l’Italia è a favore di strumenti di trasparenza fiscale: «non ci deve essere alcun dubbio», come ha confermato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al termine dell’Ecofin che stava approvando la lista dei paradisi fiscali. «La posizione dell’Italia è a favore di questo strumento, si tratta di mettere in piedi incentivi agli impegni dei Paesi e poi l’implementazione da parte degli stessi di misure che vadano nella direzione di più trasparenza».

 

Giovanni De Negri

Foto © European Union

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Giovanni De Negri
Giornalista professionista ed esperto di comunicazione ha iniziato come conduttore in alcune emittenti televisive locali per poi passare a ogni altro genere di media: quotidiani, periodici, radio, web. Ha alternato l’intensa attività giornalistica con quella di amministratore di società e di docente, a contratto titolare di insegnamento o come cultore della materia, presso Università pubbliche e private, italiane e straniere, per l’Esercito e per la Scuola superiore dell’economia e delle finanze. Ha inoltre lavorato presso Uffici stampa della P.A. (Palazzo Chigi, Regione Lazio e Comune di Roma) e realizzato eventi/convegni presso la Camera dei Deputati, il Senato della Repubblica, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL)

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