Siria, il ritiro americano apre la strada alla Turchia

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Mentre i curdi, abbandonati dall’Occidente, tentano una mediazione con Bashar Al-Assad e la Russia, torna prepotente il pericolo del terrorismo islamico

Come era facile prevedere, il ritiro americano dal Nord della Siria ha aperto le porte alle ambizioni di Erdoğan e all’avanzata dell’esercito turco. L’operazione militare, denominata in maniera beffarda «fonte di pace» e mascherata da azione antiterroristica, ha ufficialmente inaugurato un nuovo capitolo nella tormentata storia del conflitto siriano. I curdi, abbandonati dagli Stati Uniti e dall’Occidente, cercano nuovi alleati per non essere spazzati via. Poco incidono infatti i proclami riguardo le ventilate sanzioni economiche e l’embargo sulle armi, misure dall’efficacia non certo immediata e ancora tutte da decidere.

In questo contesto la Russia, che ha già recitato un ruolo fondamentale nell’area, potrebbe cogliere l’occasione per aumentare la propria influenza. I curdi, in affanno, hanno iniziato un dialogo forzato con Bashar al-Assad, con la mediazione attenta del Cremlino. Una sorta di patto con il diavolo, obbligato per non essere cancellati dal preponderante esercito turco. Truppe di Damasco starebbero già affluendo a Nord, verso la città di Kobane, simbolo della lotta contro l’Isis. Quali saranno gli esiti è ancora tutto da vedere. Quel che è certo è che la credibilità dell’Occidente si sta sgretolando. Ankara usa l’arma del ricatto, minacciando di scatenare un’ondata di profughi senza precedenti. Nel frattempo incassa i soldi dell’Ue, garantiti proprio per arginare i flussi migratori dalle zone di guerra.

Per tali motivi Erdoğan sembra accelerare l’offensiva, incurante delle perdite civili e del presunto disdegno internazionale. La rapidità dell’azione è essenziale, prima di un nuovo ribaltamento nella mutevole situazione siriana. Obiettivo dichiarato quello di creare una zona cuscinetto per fermare i terroristi del PKK. Scopo reale quello di espandere la propria egemonia nel mondo islamico.

La Nato si dimostra organismo incoerente, un fiacco simulacro. La Turchia ha violato i confini di un Paese lacerato dalla guerra, ma comunque sovrano.  Dopo aver chiuso gli occhi al passaggio dei jihadisti durante il conflitto, ora li usa come arma contro i curdi. Una politica pericolosa, che darà nuova linfa al sedicente Stato islamico e al terrorismo internazionale. Feroci combattenti fuggono dalle prigioni, approfittando della confusione e della mancanza di sorveglianza, ora che tutti i soldati curdi sono impegnati a fronteggiare l’avanzata dell’esercito di Ankara.

La situazione resta aperta e confusa. La presenza militare turca nella fascia di confine non potrà essere ignorata in un futuro, ipotetico processo che porti a una pacificazione dell’area. Ferma restando l’intenzione di Assad di ripristinare il proprio dominio e l’integrità territoriale della Siria.

Nel frattempo la regione del Rojava è al collasso. In tale contesto risulta facile liberarsi dei giornalisti che tentano di raccontare quanto sta accadendo, facendo chiarezza sulle diverse dinamiche in atto (mentre scriviamo giunge notizia di diversi colleghi uccisi), e di sbarazzarsi di figure scomode, come era Hevrin Khalaf, attivista impegnata nella strenua lotta per la difesa dei più deboli, baluardo dei diritti umani in un’area che, ormai, vede il perpetrarsi di violenze sempre più efferate.

 

Oksana Tumanova

Foto © www.rojavart.wordpress.com (autore Petros, in apertura), Twitter, Wikipedia

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Oksana Tumanova
Oksana Tumanova. Nata nell’ex Unione Sovietica, ha vissuto in prima persona il disintegrarsi delle utopie socialiste. Da allora l’interesse per le complesse dinamiche dell’est Europa la spinge ad impegnarsi in prima persona, scrivendo di questi argomenti in particolar modo sul web.

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