Riservatezza del lavoratore, la CEDU ribadisce la tutela

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Una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ribadisce che il controllo sulle comunicazioni da parte del datore di lavoro viola il diritto al rispetto della vita privata

In seno al Consiglio d’Europa vi è la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (cosiddetta “CEDU“). Detto tribunale è chiamato a vagliare il rispetto degli obblighi contenuti nella Convenzione europea dei diritti dell’Uomo da parte delle Alte Parti Contraenti. Il Consiglio d’Europa è composto da 47 membri. Sono Alte Parti contraenti, ad esempio, l’Italia che è anche Paese membro fondatore  del Consiglio d’Europa e la Romania, paese cui appartiene il ricorrente Sig. Bãrbulescu il quale, dopo aver esperito tutti i rimedi giurisdizionali previsti dal proprio ordinamento, decideva di adire la CEDU affinché si pronunciasse in merito alla supposta violazione del suo diritto alla vita privata da parte del proprio datore di lavoro e, conseguentemente, all’omessa tutela del cennato diritto previsto dall’art. 8 della Convenzione da parte dei tribunali rumeni.

Il presente scritto prende in esame la sentenza emessa dalla Grand Chambre della CEDU in merito alla prefata fattispecie. Per meglio comprendere le motivazioni della predetta sentenza è bene ricostruire, seppur sinteticamente, le diverse fasi procedurali della controversia in esame,  i fatti per cui è stata causa e, da ultimo, la motivazione espressa, per l’appunto, con l’arrêt  del 5 settembre 2017 emesso dalla Grand Chambre della CEDU (Requête n° 61496/08; Affaire Bãrbulescu c. Roumanie).

Ebbene, il contenzioso nasce a seguito di un’azione esperita da parte del sig. Bãrbulescu nei confronti della Romania in applicazione dell’art. 34 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (d’ora innanzi ‘Convenzione’). Detto articolo recita: «La Corte può essere investita di un ricorso da parte di una persona fisica, un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi Protocolli. Le Alte Parti contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l’esercizio effettivo di tale diritto».

Nel ricorso presentato presso la CEDU l’istante osservava come la decisione del suo datore di lavoro di interrompere il rapporto di lavoro si sostanziasse in una violazione nei suoi riguardi del diritto al rispetto della vita privata e della corrispondenza sanciti dall’art. 8 della Convenzione  e che, pertanto, tutti i tribunali rumeni da esso aditi in ogni grado avessero omesso di garantire l’applicazione del predetto diritto.

Il ricorso datato 15 dicembre 2008 era stato assegnato alla Quarta Sezione della CEDU la quale, dopo aver preso in esame la questione, in data 12 gennaio 2016 si era pronunciata per il rigetto dell’istanza. Successivamente, il 12 aprile 2016, il sig. Bãrbulescu aveva presentato istanza di rinvio della controversia innanzi alla Grand Chambre della Corte di Strasburgo.

Il 6 giugno 2016 la Grand Chambre in sede collegiale aveva accolto la richiesta del ricorrente decidendo di prendere in esame la controversia. Nel corso del giudizio tenutosi innanzi alla Grand Chambre emergeva che:

  • dal 1 agosto 2004 al 6 agosto 2007 il ricorrente aveva lavorato presso una società rumena;
  • il regolamento interno di detta società proibiva ai lavoratori l’uso della strumentazione di lavoro (computer, fax, etc) per finalità personali;
  • il regolamento non conteneva alcun accenno alla possibilità per il datore di lavoro di porre in essere dei controlli in merito alle comunicazioni dei lavoratori;
  • dalla documentazione presente nel fascicolo del governo rumeno risultava che il ricorrente aveva dapprima letto il regolamento interno e, successivamente, in data 20 dicembre 2006 lo aveva sottoscritto;
  • il 3 luglio 2007 l’ufficio della società di Bucarest aveva distribuito a tutti i lavoratori una “note d’information” redata e inviata ad opera della sede centrale in data 26 giugno 2007. Mediante tale comunicazione il datore di lavoro aveva domandato ai propri lavoratori di leggerne il contenuto e di sottoscriverla;
  • in sintesi nella prefata nota il datore di lavoro aveva precisato che gli strumenti di lavoro quali telefono, computer, etc avrebbero dovuto essere utilizzati esclusivamente per finalità professionali e che gli inadempimenti sarebbero stati oggetto di sorveglianza e di conseguente sanzionamento;
  • a seguito di ripetuti utilizzi pe fini privati della strumentazione di lavoro la Sig.ra B.A. era stata licenziata per motivi disciplinari. Da tale evento i lavoratori avrebbero dovuto trarne una lezione;
  • dalla documentazione versata in atti dal governo rumeno era risultato che il ricorrente aveva preso visione di detta nota sottoscrivendola nel periodo dal 5 al 13 luglio 2007;
  • nel periodo dal 5 al 13 luglio 2007 il datore di lavoro aveva monitorato le comunicazioni elettroniche del ricorrente effettuate tramite Yahoo Messenger;
  • il 13 luglio 2007 alle ore 16.30 il ricorrente era stato convocato dal datore di lavoro. In quel frangente il lavoratore aveva appreso che le sue comunicazioni elettroniche erano state sorvegliate e che un certo numero di elementi indicavano che il sig. Bãrbulescu aveva utilizzato internet per fini personali contravvenendo al regolamento interno. A tale comunicazione era allegato un grafico dal quale era possibile evincere che il suo traffico internet era stato superiore a quello dei suoi colleghi;
  • lo stesso giorno il ricorrente aveva comunicato per iscritto al datore di lavoro che egli aveva utilizzato Yahoo Messenger solo per finalità professionali;
  • alle 17.20 del medesimo giorno il datore di lavoro aveva nuovamente convocato il ricorrente chiedendogli di spiegare perché tutta la corrispondenza che egli aveva prodotto tra il 5 e il 13 luglio 2007 utilizzando la strumentazione di lavoro fosse di natura personale. Ciò risultava dimostrato da 45 pagine contenti le trascrizioni delle conversazioni tenute dal lavoratore nel prefato periodo con la sua fidanzata e con suo fratello. Dette comunicazioni avevano ad oggetto argomenti personali ed intimi;
  • sempre nella stessa giornata del 13 luglio 2007 il ricorrente aveva informato il datore di lavoro che il suo comportamento rilevava penalmente in quanto si era sostanziato in una violazione del segreto epistolare;
  • il 1 agosto 2007 il datore di lavoro aveva licenziato il ricorrente;
  • Il ricorrente aveva impugnato il licenziamento davanti al Tribunale dipartimentale di Bucarest assumendo che il recesso datoriale risultava nullo in quanto posto in essere in violazione del diritto alla vita privata ex 8 della Convenzione ed in palese contrasto con la legge penale rumena;
  • Il 7 dicembre 2007 il Tribunale di primo grado rumeno aveva rigettato la domanda del sig. Bãrbulescu confermando la legittimità del licenziamento;
  •  Successivamente il sig. Bãrbulescu impugnava la sentenza emessa dal Tribunale dipartimentale di Bucarest innanzi alla Corte d’appello la quale confermava la legittimità del licenziamento rigettando l’impugnazione del sig. Bãrbulescu. Contestualmente, l’appellante presentava una querela per violazione del segreto epistolare presso le autorità rumene competenti;
  • il ricorrente presentava istanza alla CEDU che in prima battuta non ravvedeva nelle sentenze emesse dai tribunali rumeni una violazione dell’art. 8 della Convenzione. Di conseguenza la controversia giungeva innanzi alla Grand Chambre.

A questo punto la CEDU osservava come fosse necessario comprendere se i fatti per cui era causa rilevassero ai fini dell’applicazione dell’art. 8 della Convenzione.

La “vita privata” prevista nell’art. 8 della Convenzione ricomprendeva certamente le attività che consentono all’individuo di sviluppare la sua identità sociale. Di talché, secondo la  CEDU, nella nozione di “vita privata” rientravano certamente anche le attività professionali; le restrizioni  alla vita professionali potevano riverberarsi sulla vita privata e, quindi, essere certamente ricomprese nelle fattispecie disciplinate dall’art. 8 della Convenzione.

Non a caso, notava la CEDU, è proprio nel luogo di lavoro che la maggioranza delle persone possono sviluppare la loro personalità e i loro rapporti con il mondo esteriore. Ciò premesso, si rilevava come le autorità rumene non avessero adeguatamente tutelato il diritto del sig. Bãrbulescu al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza. Di conseguenza le autorità rumene avevano omesso di porre in essere un corretto ed equo bilanciamento degli interessi in esame: quello del datore di lavoro ad effettuare controlli finalizzati al buon funzionamento dell’azienda e quello del lavoratore a vedere tutelato il suo legittimo diritto ad una vita privata ed alla segretezza della sua corrispondenza.

Alla Romania si contestava, in buona sostanza, di non aver adempiuto ad una obbligazione positiva prevista dall’art. 8 della Convenzione consistente nel porre in essere il dovuto bilanciamento dei prefati interessi. Nello specifico, le corti nazionali avevano omesso di verificare se il ricorrente avesse ricevuto dal suo datore di lavoro una preventiva comunicazione in merito alla possibilità che le sue comunicazioni potessero essere sorvegliate. Al riguardo, notava la Corte di Strasburgo, le corti nazionali non avevano preso in esame il fatto che il ricorrente non fosse stato informato della tipologia di controllo, della sua estensione e del suo grado di pervasività in relazione alla sua vita privata ed alla sua corrispondenza.

Inoltre, le corti rumene avevano omesso di: (i) determinare quali fossero le specifiche motivazioni che avrebbero dovuto giustificare l’utilizzo di misure di controllo; (ii) se il datore di lavoro avrebbe potuto utilizzare misure di controllo meno intrusive nella vita privata e nella corrispondenza del ricorrente; (iii) se le comunicazioni avrebbero potuto essere controllate ad insaputa del lavoratore.

Ciò premesso la Grand Chambre riteneva che i tribunali rumeni non avevano tutelato in maniera appropriata il diritto del lavoratore al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza e che, dette corti, non avevano operato un giusto equilibrio tra gli interessi in  gioco.

Dunque, vi era stata violazione dell’art. 8 della Convenzione.

In conclusione, la sentenza richiamata, ribadisce alcuni principi già espressi dalla CEDU in relazione alla delicata questione della tutela della sfera privata del lavoratore e della sua dignità a fronte dell’altrettanto legittimo diritto del datore di lavoro di effettuare controlli sull’attività d’impresa.

 

 

Roberto Scavizzi

Foto © Council of Europe, Giovanni De Negri, European Court of Human Rights

 

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Roberto Scavizzi
Avvocato e docente universitario a contratto presso università private. L'attività accademica ha ad oggetto la materia dell'Informatica giuridica in ambito internazionale e la materia dei diritti d'autore. Come legale opera principalmente nel settore del diritto dell'impresa e svolge attività formativa professionale nel settore giuridico in ambito pubblico e privato. Inoltre è autore di pubblicazioni di diritto e articoli giornalistici per riviste d'arte e d'attualità.

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