Italia, addio a 79 milioni di contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale

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La Corte di Giustizia conferma decisione Tribunale Ue. Contributo che era stato concesso al Belpaese relativamente al Por Puglia per il periodo 2000-2006

Sarà ridotto il contributo finanziario comunitario inizialmente concesso dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale (Fesr) all’Italia di ben 79 milioni di euro. La soppressione di una parte della partecipazione del Fesr destinata alla Repubblica italiana in attuazione della decisione C (2000) 2349 della Commissione europea dell’8 agosto 2000, recante approvazione del Programma operativo regionale (Por) Puglia, per il periodo 2000‑2006, a titolo dell’obiettivo n. 1. L’esecutivo comunitario aveva in quell’occasione stanziato a favore delle autorità italiane un importo pari a € 1.721.827.000.

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L’allora presidente pugliese Nichi Vendola con l’ex commissario (competente per la Pac) Cecilia Malmström

Successivamente la Commissione europea aveva ridotto di oltre 79 milioni di euro il contributo del Fondo europeo di sviluppo regionale perché nel 2007, nell’ambito di una missione di audit dei servizi della Direzione generale politica regionale, la Commissione rilevava come il sistema di controllo sulla gestione dei fondi in questione vigente nella Regione Puglia non fosse idoneo a garantire la legalità e l’efficienza della spesa comunitaria.

In particolare, la Commissione evidenziava quattro aree critiche: l’indipendenza dell’autorità di pagamento dall’autorità di gestione; il numero e la qualità dei controlli di primo livello tanto dell’autorità di gestione quanto dell’autorità di pagamento; il numero e la qualità dei controlli di secondo livello; l’effettiva attuazione delle revoche e dei rimborsi conseguenti al rilievo di irregolarità in sede di controllo. Pertanto l’esecutivo Ue sospese nel 2008 i pagamenti del Fesr intermedi per il programma Por Puglia, Un troupeau de moutons dans la campagne de campagne près de Bitti, en Sardaigneconcedendo all’Italia un termine di tre mesi per effettuare i controlli e le correzioni necessarie a garantire che solo le spese ammissibili fossero coperte dal contributo.

Nel 2009 la Commissione constatava che l’Italia non aveva adempiuto alle prescrizioni e quindi concludeva per la mancanza di una ragionevole certezza che i sistemi di gestione e di controllo del Por Puglia consentissero di garantire la legittimità, la regolarità e l’accuratezza delle spese dichiarate per il periodo compreso tra l’inizio del periodo di programmazione e la data di sospensione dei pagamenti intermedi. Seguiva quindi, in data 22 dicembre 2009, una formale decisione di riduzione dei contributi finanziari per un totale di € 79.335.741,11 corrispondente a una correzione forfettaria del 10% sulle spese certificate sino alla data di sospensione dei pagamenti intermedi.

CGEIl Tribunale Ue, adito dall’Italia, con sentenza del 28 marzo 2014 (causa Italia/Commissione T-117/10), respingeva il ricorso dell’Italia diretto all’annullamento della decisione della Commissione del 22 dicembre 2009. Ma con successivo ricorso, l’Italia ha chiesto l’intervento della Corte di Giustizia dell’Unione europea per l’annullamento della predetta sentenza del Tribunale. Con sentenza odierna, la Corte respinge l’impugnazione e conferma la sentenza del Tribunale.

CGEIn particolare, il Tribunale ha ribadito il principio, già più volte espresso dalla giurisprudenza dell’Unione in materia di Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia (Feoga), per cui alla Commissione, che intenda dimostrare una violazione, da parte di uno Stato membro, delle norme della Politica agricola comune (Pac), non incombe l’onere di provare puntualmente e specificamente l’insufficienza dei controlli effettuati dalle amministrazioni nazionali o l’irregolarità dei singoli dati da loro trasmessi, essendo sufficiente che la Commissione offra elementi tali da far sorgere dubbi seri e ragionevoli in merito al sistema nazionale di controlli e verifiche.

Porto Tolle, dans le delta du Pô en ItalieQuesto “alleggerimento” dell’onere della prova a carico della Commissione si spiega con quello che i giuristi nazionali definiscono “criterio di vicinanza (o disponibilità) della prova” e cioè, nella specie, con il fatto che nessuno meglio dello Stato membro è in condizione di raccogliere e verificare i dati necessari alla liquidazione dei conti del fondo in questione. E’ quindi lo Stato membro a dover fornire la prova più circostanziata, puntuale ed esauriente circa l’effettività dei propri controlli e, se del caso, l’inesattezza delle affermazioni della Commissione. Secondo la Corte gli stessi princìpi si applicano, mutatis mutandis, anche al Fesr.

 

Elena Boschi

Foto © European Union e Corte di Giustizia dell’Unione europea

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Elena Boschi
Aretina, classe '81. Laureata in giurisprudenza e storia, si avvicina all'attività multimediale dopo un master e anni di pratica pubblicistica, occupandosi principalmente di politica e cronaca nazionale. Ultimamente la sua attenzione e passione si cimenta con l'attualità europea, grazie anche alla collaborazione con una importante associazione internazionale.

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