Nel Cara di Mineo, il più grande d’Europa

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«Italia sta dimostrando un impegno fuori dal comune, capace di salvare e accogliere vite umane con una solidarietà che si trova in pochi Paesi al mondo»

È un piccolo paese nella Piana di Catania il Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di Mineo, il più grande d’Europa, che in un giorno di assolata estate siciliana, col termometro che segna 48 gradi, sembra essere un colorato villaggio turistico. 3.000 migranti, 380 dipendenti, più centinaia di persone tra volontari, militari e forze dell’ordine. Strade libere e poche persone a passeggio, mentre nelle villette a schiera, che fino a pochi anni fa ospitava i marines degli Stati Uniti, sono accesi i climatizzatori. Ma ci sono anche locali comuni pieni: le strutture adibite a scuola, per esempio, 42 classi che impegnano 1.650 studenti con un obiettivo principale: imparare l’italiano. Lezioni cinque giorni su sette. Chi comincia a venire e studiare non se ne va più.

Come riporta l’Agenzia Ansa tra i migranti ospitati a Mineo c’è un regista iracheno, Sheban Al, che ha lasciato il suo Paese perché «la vita lì ormai aveva un solo colore: grigio» e non «c’era futuro per la famiglia». È partito dall’Egitto con moglie e quattro figli: «16 giorni su una barca: la sera ci abbracciavamo con la morte perché non sapevamo se saremmo sopravvissuti». Con l’esperienza fatta, ora si sente di dire agli altri: «non partite, non mettete a rischio la vita dei vostri figli». Lui è uno dei pochi ammessi al ricollocamento in Europa, tra pochi giorni con la sua famiglia andrà in Belgio. La sua vita adesso la immagina a “colori”, soprattutto «per i miei figli che avranno un futuro e saranno europei».

Ma non tutte le storie del Cara sono a lieto fine. Nella struttura ci sono persone che hanno perso genitori, figli, amici. Storie struggenti di un dolore che il tempo non riesce a lenire. Cercano di aiutarli gli psicologi che lavorano nella struttura, dove sono nati anche tanti bambini. In 88 tra un giorno di vita e 5 anni sono ospiti della zona “mamma”. Di fronte in un ufficio ci sono i legali del centro che spiegano diritti e doveri ai migranti. Il più difficile da far capire, rivelano, «è la proprietà privata, concetto giuridico che nei loro Paesi non esiste». Accanto s’istruiscono le pratiche per le richieste di concessione dei visti per lo status di rifugiato. La gente in fila all’ombra attende il turno di essere sentita dalla commissione. Le richieste respinte possono essere appellate, e il Cara mette a disposizione legali esterni alla struttura per seguire le pratiche.

Per i migranti c’è anche la possibilità di redigere curriculum per essere inseriti nel mondo del lavoro: «abbiamo avuto anche grandi professionisti» – dice una delle vicedirettrici del Cara, Ivana Galanti – «adesso la maggior parte sono artigiani, braccianti, muratori». «Il nostro obiettivo» – sottolinea il direttore ed ex commissario del Cara, Giuseppe Di Natale – «è di fare accoglienza e di puntare tutto sull’umanità e sulcontatto con il territorio». «La percezione della sicurezza nei centri vicini» – osserva – «è aumentata, c’è una grande sinergia. Il modello Cara messo in campo dal governo dal punto del servizio funziona, ed è un esempio di uno Stato, quello italiano, che sta dimostrando al mondo un impegno fuori dal comune, capace di salvare e accogliere vite umane con una solidarietà che si trova in pochi Paesi al mondo».

Per quanto riguarda la mensa tra colazione, pranzo e cena sono serviti circa 1.600 pasti giornalieri. «Facciamo tutto noi» – spiega il responsabile del servizio ristorazione, Vincenzo Surace – «tenendo conto delle esigenze anche religiose degli ospiti, nel rispetto di tutti». Anche durante il Ramadan. Il piatto preferito? Spaghetti, con qualsiasi condimento. Li chiedono espressamente e, si vede, li mangiano molto volentieri, oggi conditi con una salsa al nero di seppia. Il menù è scelto assieme aipresidenti delegati” eletti da ciascuna comunità presente: una sorta di Onu del Cara, interfaccia con la direzione e le Istituzioni, che fanno sentire la loro voce anche su Internet con una webradio sul sito caranews.

Uno dei locali maggiormente frequentato è il bazar, dove si può comprare il necessario. Ogni migrante ha una card sulla quale vengono accreditati tutti i giorni 2 euro e 50 centesimi, che si possono spendere soltanto lì. Somme che possono accumulare fino al raggiungimento della somma che serve per comprare quello che si desidera, o si ritiene utile. Ma anche la sala con l’internet point è affollata. Dietro al cancello dal Cara decine di persone in fila, con la bici, aspettano di uscire. I 48 gradi e il sole che brucia accecando sembrano non esistere per loro: la voglia di libertà è più forte di qualunque sofferenza, anche del caldo.

 

Lena Huber

Foto © Antonello Mangano, Esercito italiano

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