Il voto in Tunisia, un altro passo verso il consolidamento della democrazia

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Kais Said è il nuovo presidente del Paese nordafricano, eletto a guidare il rinnovamento dopo la primavera araba del 2011. Senza discostarsi da un percorso conservatore

Il Paese che per primo ha dato il via alla Primavera Araba nel 2011, si conferma l’unico a continuare il processo di democratizzazione e si è infatti recato al voto per ben tre volte negli ultimi mesi per i due turni delle elezioni presidenziali e per le elezioni legislative. Se le elezioni parlamentari hanno confermato al potere il partito islamico Ennhadha, con uno scarto sempre minore rispetto agli anni precedenti, le presidenziali hanno visto vincitore Kais Saied. Elezioni che dimostrano il  consolidamento democratico e una volontà di rinnovamento che si avvicina sempre più alle dinamiche elettorali europee in cui i cittadini propendono per un orientamentoantisistema” eleggendo a capo dell’esecutivo governi di cambiamento che poco hanno a che vedere con un percorso politico classico.

La scomparsa di Essebsi e l’elezione del nuovo presidente

                         Beji Caid Essebsi

L’ex presidente Beji Caid Essebsi aveva rappresentato per il Paese il legame tra modernizzazione, secolarizzazione e tradizione in Tunisia godendo di sostanziale fiducia, oltre che dal popolo, anche dei partiti islamici. La sua scomparsa, il 25 luglio scorso, ha portato a una procedura anticipata del meccanismo elettorale, spostando le elezioni presidenziali al 15 settembre per un primo turno che ha visto concorrere 26 candidati e garantire il ballottaggio del 13 ottobre all’imprenditore Nabil Karoui e al docente universitario conservatore Kais Saied. Entrambi si potevano considerare come il prodotto di una volontà di rinnovamento sulla scena politica tunisina e si sono confermati come due outsider accomuniati dall’essere due facce dello stesso populismo. Se del primo ci si aspettava già dai sondaggi un buon risultato, anche se non così eclatante, l’elezione del secondo ha costituito una vera sorpresa.

Kais Said, nuovo presidente eletto, dovrà guidare un Paese che con ogni probabilità è destinato a scrivere una pagina nuova rispondendo a un cambiamento sempre più evidente. Candidato indipendente, Said è stato definito un conservatore liberale e non fondamentalista e ha a malapena condotto una campagna elettorale per il primo turno, annunciando che non avrebbe fatto campagna per il secondo turno.

Kais Said

Il suo programma elettorale sembra essere molto controverso e forse paradossale rispetto a quanto affermato nella rivoluzione del 2011, alla quale ha preso parte; parla di omosessualità come estranea alla società tunisina, sostiene che la pena capitale dovrebbe essere mantenuta e si oppone alla parità di eredità tra uomini e donne. Suo grande punto di forza, soprattutto con i giovani elettori tunisini, è l’aumento di potere per governi locali promuovendo un processo decisionale inclusivo in cui probabilmente si è potuta riconoscere anche una frangia islamica più tradizionale e che forse è stato il vero motivo della sua vittoria. Il nuovo presidente dovrà trovare soluzioni a temi quali l’alto tasso di disoccupazione nel Paese, uno sviluppo economico che fatica a decollare, l’ inflazione crescente e le grandi diseguaglianze regionali. Rimangono inoltre centrali i temi della lotta alla corruzione e quello della sicurezza nazionale.

A sfidare Said vi era Nabil Karoui, magnate dei media, arrestato a fine agosto con l’accusa di riciclaggio e frode finanziaria e rilasciato il 9 ottobre scorso. Molto discussa è stata la sua possibilità di fare campagna elettorale, che se da un lato sembra essere stata danneggiata dalla detenzione dall’altra ha forse rafforzato la sua candidatura. Anche lui attivo durante la rivoluzione del 2011 e vicino all’ex presidente Essebsi con il quale ha fondato il partito Nidaa Tounes e dal quale si è poi distaccato fondando nel 2019 il partito Au Coeur de la Tunisie. Appare agli occhi del popolo come un riformista modernizzatore sempre più impegnato in attività benefiche da quando ha fondato la sua associazione Khalil Tounes che ha in parte condizionato anche i suoi obiettivi politici primari, uno fra tutti la lotta alla povertà.

Tunisia ed Europa tra passato e futuro

La Tunisia, con la sua Primavera Araba, è stata il  primo Paese nel mondo musulmano che ha chiesto libertà di espressione e di manifestazione del voto. A differenza degli immediati vicini in Nord Africa quali l’Algeria che non ha visto alcun sovvertimento istituzionale né grandi manifestazioni di piazza, l’Egitto guidato dal presidente Al Sisi ex capo di Stato maggiore o la Libia ad oggi un non Stato; qui la primavera tunisina sembra resistere. Storicamente seppur la Tunisia sia una ex colonia francese, la città di Tunisi è stata fino al 1881 una città sostanzialmente italiana per migrazione e  accordi internazionali. La vicinanza geografica alla Sicilia e Lampedusa la rende obbligatoriamente di interesse per il governo italiano con il quale ha solidi rapporti. Anche il governo tunisino conferma il suo forte interesse alla stabilità nel Belpaese per mantenere in vita le relazioni bilaterali ivi incluse quelle sui rimpatri. In passato l’Europa della primavera araba tuinisina era forse un’altra Europa più orientata ai partenariati con i Paesi confinanti per armonizzare i sistemi, le legislazioni commerciali, sociali e i diritti fondamentali con i Paesi immediati vicini all’Unione europea. Si può sostenere che l’avviamento di un dialogo per le riforme era una leva per i modernizzatori degli Stati islamici e faceva credere a un rafforzamento dell’Ue stessa a Bruxelles. Ora vi è forse un’Europa diversa, indebolita dalla Brexit e dai vari regionalismi e populismi.

Seppur da molti le proteste del 2011 vengano considerate ormai storia, forse la Tunisia che ha scelto dimostra che non è così, che a guidare il consolidamento democratico è stato il non aver mai abbandonato un percorso conservatore ma allo stesso tempo progressista verso la democrazia.

 

Marisella Tonica

Foto © Al Jazeera

 

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