Il tributo cinematografico a quarant’anni dalla tragica morte di Piersanti Mattarella

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Grande attesa per un film da non perdere

Tra le uscite cinematografiche sospese dal periodo di isolamento, dovuto al coronavirus, uscirà il prossimo 2 luglio “Il delitto Mattarella“. Un film scritto e diretto da Aurelio Grimaldi, nel quale si evince una lunga e meticolosa ricerca effettuata per raccogliere tanto prezioso materiale. Prodotto da Arancia Cinema, in associazione con Cine1 Italia ed EdiliziAcrobatica, viene definito da Grimaldi stesso «una vicenda dimenticata, dove a Roma e Milano non si trova una via a lui dedicata». Una colonna sonora composta e orchestrata da Marco Werba, che si apre con un tema dal ritmo incalzante, quanto basta per rapire lo spettatore, che si rivela un ottimo refrain, capace di ben introdurre, durante la proiezione, i momenti più crudi del film.

La pellicola ripercorre l’omicidio di Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, impersonato da Davide Coco, con una trama a ritroso, tra date salienti e una voce narrante in grado di accompagnare lo spettatore, sfogliando un vero e proprio diario.
10 maggio 1978: l’emozione di una brevissima telefonata anonima da un telefono fisso, conosciuto da pochi intimi, irrompe per annunciare già l’intimidazione che, dopo il delitto Moro, il prossimo sarebbe stato lui, usando un ” pluralis maiestatis”. È il 6 gennaio 1980, e la famiglia Mattarella si sta recando a messa. Quella data diventa la tristissima epifania di una tragica uccisione, ben pianificata, poiché era stata prevista l’assenza della scorta.

La lucida freddezza di un giovane (Vittorio Magazzù), esecutore materiale del delitto, intento a compiere “il suo operato”, si imprimerà nella mente della moglie Irma, magistralmente interpretata da Donatella Finocchiaro. Un killer dallo sguardo da lei definito, imperturbabile. Un racconto faticoso di quel tragico giorno, in cui era di turno il giovane sostituto procuratore Pietro Grasso (Matteo Contino), futuro procuratore Antimafia nonché successivamente presidente del Senato, con indagini che saranno poi proseguite dal giudice istruttore Giovanni Falcone (Ivan Giambirtone), in grado di scovare pericolose relazioni tra Mafia, Politica, Nar e neofascisti, Banda della Magliana, Gladio (organizzazione paramilitare anticomunista, finanziata dalla CIA) e servizi segreti.

Una sensibilità evidenziata anche nella scena di Grasso con il giovane fratello Sergio (Francesco La Mantia), oggi presidente della Repubblica e allora professore associato di diritto parlamentare, nell’ateneo di Palermo, quando spiega i motivi di assenza della scorta, poiché Piersanti capiva l’importanza dei giorni dedicati alle festività, associati alla vicinanza familiare. Nel dialogo sa emozionare per il suo tono pacato, ma carico di orgoglio, con cui descrive i valori trasmessi dal padre Bernardo (Nicasio Catanese); nominando Dossetti, La Pira, Danilo Dolci, la sua passione politica e «la sua avversione per la mafia e ogni forma di violenza e corruzione».

Il regista sa ben focalizzare l’attenzione sulle scene di vita familiare, cariche di “forze inossidabili”, le quali, quando sedimentano fiducia, è bene definirle famiglia. Una fedele ricostruzione del clima politico di quel periodo, come nel dialogo tra i fratelli Mattarella a pochi giorni dalle festività natalizie, prima dell’omicidio, nel quale Piersanti parlando con Sergio, confida nell’appoggio di Roma, tra una forte Democrazia Cristiana e l’allora presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Un botta e risposta, quasi scherzoso, con suo fratello che risponde nominando Giulio Andreotti e Salvo Lima. Un racconto reso così verosimile, anche dalla confidenzialità espressiva, nel registro autoctono sottotitolato di alcune sequenze, negli incontri tra Salvo Lima (Tuccio Musumeci), Rosario Nicoletti (Leo Gullotta), rispettivamente deputato europeo e segretario nazionale DC, Vito Ciancimino (Tony Sperandeo), assessore ai lavori pubblici, definito potentissimo, l’onorevole Giovanni Gioia (Luigi Bonanno), di corrente fanfaniana e poi con Giulio Andreotti (Umberto Cantone).

Meritano di essere ricordate anche le scene che ricostruiscono la Conferenza Regionale dell’Agricoltura, con l’invito da parte di Pio La Torre (Claudio Castrogiovanni), esponente del PCI, allora responsabile nazionale dell’ufficio agrario, di Piersanti Mattarella, poiché permette di far capire l’importanza di un’eredità, acquisita come allievo politico di Aldo Moro, memore di un “arco costituzionale” e pronto al dialogo con il Partito Comunista. L’elezione del suo successore, Mario D’Acquisto (Angelo Tosto), a quattro mesi dall’omicidio, è in grado di riportare lo spettatore a ricordi dal vago sapore gattopardesco, riproducendo gli interni di Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea Regionale Siciliana e la folta presenza della cittadinanza, definito in quel 1980, sede del “Parlamento Siciliano”.

Mattarella, totalmente avversato dai capi-corrente siciliani del suo partito, non disturbava solo gli equilibri in carica della DC, ma era stato in grado di entrare all’interno di affari e accordi tra politica e mafia. Una mafia che per quest’omicidio decide di allearsi con l’estrema destra romana neofascista, mediata dalla figura di Filippo Calcaterra (Vincenzo Crivello), in cambio dell’evasione dal carcere dell’Ucciardone del leader Pier Luigi Concutelli. L’inchiesta sugli appalti relativi alle scuole di Palermo, cui si celava il nome di Rosario Spatola (Sergio Friscia), viene più volte riportata in auge, per evidenziare decisioni in grado di provocare l’ira e il malcontento di tante figure politiche e non solo, da parte di un presidente che stava lottando per riportare “Una Sicilia con le carte in regola”.

Ritorna la voce narrante, che lucidamente che accompagna lo spettatore in un’accorta altalena di eventi ormai storici, tra sentenze e condanne definitive, per un delitto i cui killer, ancora non hanno un nome, neppure forniti dai cosiddetti “pentiti”. Ne “Il delitto Mattarella” vi è un tentativo di sanificazione, per usare un termine di questo periodo, dettato da un impegno cattolicosociale, da parte di un presidente, cui purtroppo, sono susseguiti delitti postumi: Gaetano Costa, Rocco Chinnici e il “suo maestro” Giovanni Falcone. La pellicola saprà lasciare un segno indelebile, anche per le nuove generazioni, come testimonianza di un periodo storico non facile da comprendere, nel quale si poteva anche riconoscere l’onestà e il senso della forza in un credo politico.

 

Alessandra Broglia

Foto © Luce Cinecittà, L’eco del sud, Globus Magazin, Cinematographe

Video © Eurocomunicazione

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