Nagorno-Karabakh, sessione speciale del Consiglio di Sicurezza Onu per risolvere la crisi

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Per il terzo giorno consecutivo l’Armenia e l’Azerbaigian si sono scontrati nella regione separatista

Le Nazioni Unite hanno convocato una sessione speciale del Consiglio di Sicurezza sul conflitto azero-armeno a porte chiuse per oggi.

Nel Nagorno-Karabakh, regione separatista ufficialmente appartenente a Baku ma di fatto governata da un’amministrazione autonoma vicina a Erevan, da tre giorni si è tornati a combattere. Dopo anni di fragile tregua e obbligata convivenza, Azerbaigian e Armenia si sfidano di nuovo. E sullo sfondo si affaccia lo spettro di uno scenario libico nel Caucaso meridionale dove a distanza si affrontano Turchia e Russia.

L’Azerbaigian, Paese di lingua turca a maggioranza sciita, chiede il ritorno sotto il suo controllo della regione montuosa popolata principalmente da armeni, cristiani, la cui secessione nel 1991 non è stata riconosciuta dalla comunità internazionale. In gioco c’è la stabilità della regione e, ancora una volta, il duello per la supremazia tra le due principali potenze dell’area: Ankara e Mosca. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha invitato ieri l’Armenia a porre fine a quella che ha definito “l’occupazione del Nagorno-Karabakh”. «La Turchia continuerà a stare al fianco dell’Azerbaigian, Paese fratello e amico, con tutto il cuore e con tutti i mezzi», ha dichiarato, incoraggiando Baku a “prendere in mano la situazione”. Gli altri attori internazionali – Russia, Stati Uniti, Francia, Iran, Unione europea, Onuhanno chiesto l’immediata cessazione delle ostilità.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunisce oggi con urgenza a porte chiuse, su appello di Parigi e Berlino. Per il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, la priorità è «porre fine alle ostilità, non determinare chi ha ragione e chi torto». Armenia e Nagorno-Karabakh denunciano invece una “interferenza” turca e accusano Ankara di fornire a Baku armi, “consiglieri militari”, piloti di droni e caccia F-16. Non è tutto. Erevan sostiene che la Turchia abbia schierato migliaia di “miliziani mercenari” trasferiti dalla Siria. Come ha già fatto in passato con la Libia. L’Osservatorio siriano per i diritti umani stima la prima spedizione in trecento combattenti.

Il ministero della Difesa azero respinge le accuse, denunciando invece che “mercenari di etnia armena” dal Medio Oriente stanno combattendo al fianco dei separatisti.
«Nessuna ingerenza è accettabile» in questo conflitto la cui escalation è “molto preoccupante“, ha dichiarato da parte sua la portavoce della diplomazia europea. Prevenire una guerra perché è «l’ultima cosa di cui la regione ha bisogno», ha detto Peter Stano, portavoce dell’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell. «Invitiamo tutte le parti a tornare ai negoziati», ha dichiarato Stano, perché «non c’è soluzione militare» al conflitto. Ma calmare le acque non sarà facile. L’ambasciatore armeno in Russia, Vardan Toganyan, ha avvertito – in una dichiarazione all’agenzia stampa Ria Novosti – che il suo Paese non esiterà a utilizzare i missili balistici Iskander forniti da Mosca se Ankara dovesse mobilitare gli F-16.

L’Armenia ha richiesto un intervento urgente della Corte europea dei diritti dell’uomo per parlare dei combattimenti nella provincia separatista. Il ricorso s’incardina sull’articolo 39 della CEDU, che è il braccio giudiziario del Consiglio d’Europa, in base al quale è consentito alla corte assumere misure d’ugenza laddove ci sia il rischio imminente di
un danno irreparabile. Il rischio è che gli scontri abbiano un’escalation e portino a
una guerra aperta tra Baku ed Erevan. Già negli anni ’90 un sanguinoso conflitto fece qualcosa 30mila morti.

 

Goran Marsich

Foto © Al Jazeera, Pars Today, Daily Sabah

Video © Eurocomunicazione

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