Afghanistan, una minaccia globale

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La situazione nel Paese rende instabile la realtà internazionale

Afghanistan. Scriverne in queste ore senza ricordare Gino Strada, fondatore, chirurgo, direttore esecutivo, anima di Emergency, sarebbe una odiosa mancanza.

Associazione italiana indipendente e neutrale, Emergency è nata nel 1994 per offrire cure medico-chirurgiche gratuite e di elevata qualità alle vittime delle guerre, delle mine antiuomo e della povertà.

Attiva con équipe specializzate in numerosi Paesi, ha raggiunto con le sue cure oltre 11.000.000 persone.

Leggiamo il saluto dell’organizzazione – che promuove una cultura di pace, solidarietà e rispetto dei diritti umani – al suo fondatore.

La persona al centro

I pazienti vengono sempre prima di tutto”, il senso di giustizia, la lucidità, il rigore, la capacità di visione: erano queste le cose che si notavano subito in Gino.

E a conoscerlo meglio si vedeva che sapeva sognare, divertirsi, inventare mille cose.

Non riusciamo a pensare di stare senza di lui, la sua sola presenza bastava a farci sentire tutti più forti e meno soli, anche se era lontano.

Tra i suoi ultimi pensieri, c’è stato l’Afghanistan, ieri. È morto felice.

Ti vogliamo bene Gino.

Afghanistan

Veniamo a quanto sta accadendo ora nel Paese. Un affare non solo degli Stati Uniti, ma dell’intera comunità internazionale. La Nato indice un incontro urgente.

Dove troveranno rifugio gli afghani in fuga se e quando anche Kabul cadrà nelle mani dei talebani?

La presa di Kandahar ha concluso un feroce blitz di otto giorni. Che si aggiunge alla cattura di Lashkar Gah nel sud, della città occidentale di Herat, la terza più grande dell’Afghanistane, e di QalaeNaw nel nord-ovest.

Ora sono rimaste nelle mani del Governo solo la capitale e pochi altri territori.

I talebani hanno fatto una testa di ponte nei 150 chilometri attorno a Kabul, e la loro rapida avanzata lascia la capitale isolata dal resto del Paese.

Stati Uniti nella bufera

Su di loro converge lo sguardo di tutto il Mondo. E sebbene la decisione di Biden fosse stata anticipata del predecessore Trump, è sulla sua figura che si concentrano le critiche.

«Il presidente Biden sta scoprendo che il modo più rapido per porre fine a una guerra è perderla», afferma il senatore repubblicano McConnell. Egli sostiene che gli Stati Uniti si stiano «avvicinando a un disastro enorme, prevedibile e prevenibile». Secondo il membro più anziano del Congresso, l’amministrazione Biden ha sbagliato ad annunciare il ritiro delle truppe entro l’11 settembre, 20° anniversario dell’attacco terroristico a New York e Washington che ha portato all’invasione americana dell’Afghanistan.

Oltre 2.000 i morti tra i soldati statunitensi, innumerevoli i feriti e i mutilati di guerra.

Morgan Ortagus, ex portavoce del dipartimento di Stato, dà fiato al coro di critiche. Si è trattato di «un enorme fallimento della politica estera con ramificazioni generazionali a soli sette mesi dall’inizio di questa amministrazione. Tutto fa pensare a un crollo completo».

Gli Stati Uniti hanno speso più di 88 miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare l’esercito e la polizia afghani, quasi i due terzi di tutti i loro aiuti esteri al Paese dal 2002. Una scommessa persa?

Dispiegamento delle forze militari

Migliaia di soldati americani torneranno a Kabul per evacuare il personale dell’ambasciata – ora assediata.

Indicazioni: distruggere i documenti sensibili. Ed anche le bandiere a stelle e strisce per evitare che il loro significato e valore vengano in qualche modo umiliati.

Per effettuare l’evacuazione del personale americano dalla sua ambasciata a Kabul, 3.000 soldati statunitensi metteranno in sicurezza l’aeroporto, 1.000 saranno inviati in Qatar come supporto tecnico e logistico, mentre da 3.500 a 4.000 saranno posizionati in Kuwait per essere schierati, ove necessario.

Migliaia di cittadini occidentali e afghani vulnerabili saranno trasportati in aereo fuori da Kabul mentre i talebani lanciano un grande assalto alla città settentrionale di Mazar-i-Sharif.

Canada

Il Canada non starà a guardare. Il ministro degli Esteri, Marc Garneau, ha affermato che il suo Paese «ha un debito di gratitudine con gli afgani, continueremo i nostri sforzi per portarli in salvo».

Il Canada ha intanto accolto il primo aereo carico di richiedenti asilo, atterrato a Toronto. La promessa di accogliere fino a 20.000 rifugiati afgani, particolarmente vulnerabili, si sta già concretizzando. Si tratta di donne e bambini, impiegati governativi, attivisti per i diritti umani, minoranze perseguitate e giornalisti.

Sicurezza

Alti funzionari degli Stati Uniti hanno parlato con il presidente dell’Afghanistan, Ashraf Ghani. Il dipartimento di Stato ha sottolineato che gli Stati Uniti sono – e restano – investiti “nella sicurezza e nella stabilità dell’Afghanistan” di fronte alla violenza dei talebani.

Antony Blinken, segretario di Stato americano, e Lloyd Austin, segretario alla Difesa, hanno detto a Ghani che il dipartimento di Stato, data la “situazione della sicurezza in continua evoluzione” avrebbe aumentato il ritmo dei voli speciali per i visti di immigrazione.

Destinatari della politica gli afghani che hanno aiutato lo sforzo immane degli Stati Uniti nel Paese.

Il portavoce del Pentagono, John Kirby, ha rifiutato di descrivere la missione come una cosiddetta “Operazione di Evacuazione non Combattente” o NOE. Tanto la sua denominazione, che l’ipotesi di evacuazioni, sono state taciute.

Parallelismi?

La missione NOE più famosa fu l’operazione Frequent Wind, durante la quale più di 7.000 civili vietnamiti furono evacuati  in elicottero da Saigon tra il 29 e il 30 aprile del 1975.

L’immagine dei diplomatici americani che partono sotto la protezione militare dall’alto di un condominio (sì, un almeno apparentemente normale condominio!) usato dalla CIA è arrivata a rappresentare il fallimento americano in Indocina.

Quali parallelismi tra questo scenario e quello di quasi 50 anni fa a Saigon? Interrogato in tal senso, Kirby ha cercato di sottolineare le differenze. «Non stiamo eliminando completamente la nostra presenza diplomatica sul campo», ha affermato.

«Nessuno sta abbandonando l’Afghanistan, nessuno se ne sta andando». il nostro approccio equivale a «fare la cosa giusta al momento giusto per proteggere la nostra gente».

Maggiore sostegno alle forze afgane

Washington ha speso più di un trilione di dollari nella guerra più lunga d’America e ha perso migliaia di truppe. Secondo il presidente gli Stati Uniti hanno continuato a fornire supporto aereo, cibo, attrezzature e stipendi significativi alle forze afgane.

Ma occorre un ulteriore sforzo per garantire il sostegno alla forze locali.

«Senza il quale, alQaeda e i talebani potrebbero celebrare il 20° anniversario degli attacchi dell’11 settembre incendiando la nostra ambasciata a Kabul», osserva ancora McConnell.

Collaboratori

AfghanistanIl destino del personale afghano che ha lavorato per gli States potrebbe subire ritorsioni da parte dei talebani. Secondo i diplomatici oltre 100 membri del personale locale che lavorano per l’Ue in varie forme in Afghanistan, per un totale di 456 familiari a carico, sono a rischio.

Le strategie per il loro reinserimento sono al vaglio: disponibili all’accoglienza Francia e Paesi Bassi. Altra opzione potrebbe essere quella di offrire congedo non retribuito o un pacchetto di fine rapporto finanziario a quei dipendenti locali che vogliono prendere accordi con i Paesi vicini.

Alleati

Il Regno Unito invierà 600 soldati e il segretario alla Difesa, Ben Wallace, ha affermato che la Gran Bretagna sta trasferendo la sua ambasciata dalla periferia della Zona Verde sicura in un luogo potenzialmente più adeguato, maggiormente vicino al centro della capitale.

Unione europea attonita. Reazioni in ordine sparso, mentre il timore di un esodo ben superiore a quello del 2015 preoccupa le Nazioni confinanti e quelle che, a vario titolo, potrebbero essere interessate dall’emigrazione forzata di centinaia di migliaia di afgani.

Esodo

«Tutti quelli che conosco stanno pianificando di andarsene», dichiara un ex ministro afghano a un collega di Politico. «E conosco un sacco di gente».

I talebani non impediranno loro di lasciare il Paese. Almeno questa è la prima suggestione che arriva dal confine iraniano. Rimuovere l’opposizione interna aprendo i cancelli darebbe un notevole vantaggio internamente e fiaccherebbe la capacità di rispondere adeguatamente oltre i confini.

Ottima strategia per destabilizzare la situazione.

Il Pakistan probabilmente non accoglierà i rifugiati dello Stato vicino, poiché la maggior parte degli afghani che lasciano il Paese ritiene proprio il Pakistan responsabile della tragedia in corso.

L’Iran stima già che il numero totale di rifugiati afgani che lo raggiungeranno si attesterà intorno ai tre milioni. Che, secondo i diplomatici a Kabul, potrebbe essere disposti a costruire campi profughi sul confine orientale.

La Russia segue con attenzione la situazione, in particolare guardando alle aree confinanti con il suo ampissimo territorio. Attualmente dichiara di non voler disporre il rientro dei propri diplomatici o evacuare la sua ambasciata a Kabul. Il clima, anche a Mosca, è di massima allerta.

Uno sguardo a Oriente

AfghanistanL’instabilità in Afghanistan genera doverose preoccupazioni geopolitiche. Quale atteggiamento manterrà la Cina?

Pechino potrebbe acquisire ulteriore influenza in una Regione tanto strategica se il Governo centrale appoggiato dagli Stati Uniti a Kabul cadesse?

 

Per avere risposta occorre attendere, ma tutti guardano attoniti all’immagine dell’incontro tra il ministro degli Esteri cinese Wang Yi e il leader talebano Mullah Abdul Ghani Baradar.

Solo lo spettro della minaccia terroristica islamista potrebbe far desistere la Cina dalla tentazione di sparigliare le carte. La stabilità in Afghanistan è anche di suo interesse.

Turchia

Quale il ruolo della Turchia? Ankara – in stretto contatto con gli Stati Uniti – si è offerta di schierare truppe all’aeroporto di Kabul dopo il ritiro delle truppe Nato. Secondi alti funzionari chiede però che siano soddisfatte determinate condizioni, quali il via libera dei talebani, non ancora arrivato. L’opzione sembra tuttavia gradita all’Ue.

Dubbiosa la diplomazia. E se, rafforzato il proprio ruolo in Siria e Libia, la Turchia sfruttasse la presenza in Afghanistan per aumentare la sua influenza sui flussi migratori verso l’Europa?

Già, la nostra Europa

L’Ue ha riversato nel Paese immani risorse. Dal 2002 ha fornito più di 4 miliardi di euro in aiuti allo sviluppo all’Afghanistan, rendendolo il maggiore beneficiario dell’assistenza allo sviluppo dell’Unione europea nel Mondo. Il contributo si è esplicitato attraverso il dispiegamento di uomini – donne – e mezzi.

L’Italia interviene anche attraverso il generale Claudio Graziano, presidente del comitato militare dell’Unione europea.

«Temevamo che in 20 settimane le lancette del tempo sarebbero tornate indietro di 20 anni – e invece sfortunatamente 20 giorni sono stati sufficienti», ha commentato alla stampa.

La Germania, ad esempio, ha dispiegato un totale di oltre 150.000 soldati nel Paese negli ultimi 20 anni. Un totale di 59 soldati tedeschi hanno perso la vita in Afghanistan e le operazioni della Bundeswehr sono costate circa 12,5 miliardi di euro.

C’è poi ancora la Turchia, la quale ha raggiunto la sua capacità di assorbimento. Oltre tre milioni di rifugiati siriani ora la chiamano la loro casa, ma l’opinione pubblica turca è apertamente contraria a qualsiasi ulteriore arrivo, in particolare dall’Afghanistan. Cultura e costumi differiscono notevolmente dai loro, e ciò evidenzia il pericolo di una mancata integrazione.

Flussi inarrestabili

Uno dei timori più grandi dei funzionari europei è, naturalmente, che il conflitto e la prospettiva di un governo talebano possano innescare una nuova ondata di migrazioni di massa. Moltissimi cittadini afgani potrebbero cercare asilo e chiedere sicura accoglienza nel Vecchio Continente.

Dall’inizio dell’anno, quasi 400.000 afgani – prima nazionalità per arrivi irregolari nell’Ue nel 2019 e nel 2020 – sono stati sfollati.

L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati – UNHCR stima che da maggio ad oggi siano stati 244.000.

La preoccupazione cresce, i politici mettono le mani avanti. I ministri di Germania, Austria, Belgio, Paesi Bassi, Grecia e Danimarca hanno chiesto questa settimana la continuazione delle espulsioni dall’Europa per gli afgani le cui richieste di asilo sono state respinte.

Polemiche alle stelle. Tanto da far fare quasi immediata marcia indietro a Germania e Paesi Bassi, che sospendono i rimpatri forzati verso il Paese dilaniato dalla guerriglia talebana. Che avanza anche grazie al sostegno dei social media e network pro talebani. Questa mattina è stata presa Radio Kandahar, ribattezzata Voice of Sharia.

Le immagini del bottino di guerra che mostrano veicoli corazzati, armi pesanti e persino un drone sequestrato dai loro combattenti nelle basi militari abbandonate, ci riportano indietro a tristi ricordi e acuiscono la tensione internazionale.

Giunge intanto la notizia che i talebani sono a un pugno di chilometri dalla capitale Kabul.

 

 

Chiara Francesca Caraffa

Foto © Chiara Francesca Caraffa, Rahmat Gul/AP, AFP/Getty Images, Sidiqullah Khan/AP, Ben Shread/MoD/Crown/PA

Video © Eurocomunicazione

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Chiara Francesca Caraffa
Impegnata da sempre nel sociale, è Manager del Terzo Settore in Italia, ove ricopre ruoli istituzionali in differenti Organizzazioni Non Profit. Collabora con ETS in Europa e negli Stati Uniti, dove promuove iniziative per la diffusione della consapevolezza dei diritti della persona, con particolare attenzione all'ambito socio-sanitario. Insegna all'International School of Europe (Milan), dove cura il modulo di Educazione alla salute. Cultrice di Storia della Medicina e della Croce Rossa Internazionale ed esperta di antiquariato, ha pubblicato diversi volumi per Silvana Editoriale e per FrancoAngeli.

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