«Sappiamo di avere una comunità unica composta da co-working e studenti che vogliono essere interamente connessi tra di loro»
Nato a Edimburgo, Scozia, Charlie MacGregor è il fondatore e Ceo di The Student Hotel. Oltre alla società olandese ha co-fondato Movement on The Ground, un’organizzazione non-profit impegnata nella crisi globale dei rifugiati. È inoltre membro dei “Tuscany Business Advisors”, i dirigenti aziendali che collaborano con gli organi regionali per gli investimenti in Toscana.
L’inizio della carriera di Charlie MacGregor
Comincia la sua carriera nelle costruzioni a 16 anni, seguendo le orme del padre, che aveva costruito nel 1980 la sua prima residenza per studenti all’Università di Edimburgo e successivamente in altre città. Già a 25 anni Charlie rileva una piccola società di alloggi per studenti che cederà 10 anni dopo.
Non soddisfatti del terribile design, dei colori orribili e dei mobili noiosi tipici delle stanze degli studenti, prima il padre, e poi Charlie decidono di creare ambienti più accoglienti e come lui stesso afferma «se trattassimo gli studenti come clienti, e offrissimo loro un design di ottima qualità, godrebbero di quell’ambiente». Nel 2008 esporta questo modello in Olanda.
Il modello ibrido di TSH e la sua attrattiva
La missione di Charlie è quella di creare una comunità connessa, un modello inclusivo in cui ospiti di tutte le estrazioni sociali possano incontrarsi e condividere lo spazio. Un luogo in cui possono soggiornare studenti, clienti, imprenditori e giovani professionisti.
Fin dal primo giorno, ricorda MacGregor, il modello ibrido ha sconvolto “notevolmente” il settore dell’ospitalità in Europa. Oggigiorno, sulla scia della pandemia, dimostra di essere un prodotto di investimento vantaggioso in grado di attraversare molto bene una recessione e sarà molto richiesto nei prossimi anni. È la strada per il futuro.
È cresciuto nel Regno Unito, giusto?
«Sono nato in Scozia e vi ho abitato fino ai 21 anni, poi mi sono trasferito a Londra per otto anni e più tardi, a 29 anni nei Paesi Bassi».
Cosa pensa della cultura olandese? Pensa che questo aiuti in qualche modo il senso imprenditoriale?
«Sì, mi sono sentito molto a mio agio e provo un’affinità con i Paesi Bassi. Ad Amsterdam, mi sono innamorato dell’energia delle persone che stavano sviluppando la città, dell’apertura mentale e della trasparenza».
«Amsterdam è molto internazionale. All’inizio ho viaggiato molto in Olanda per andare a parlare in ogni università e college. Sono arrivato anche nei posti più piccoli e ho provato un senso di armonia, accoglienza e apertura».
Come ha iniziato con TSH e perché ha cominciato a visitare le varie università?
«Quando TSH era un’azienda appena avviata andavo in giro per università chiedendo se erano interessate a residenze per studenti. Avevo un’impresa di alloggi per studenti nel Regno Unito. Sono cresciuto con mio padre che costruiva abitazioni per studenti quando ero bambino».
«Avevo 25 anni quando mio padre decise di vendere la sua attività, rimanendo con solo tre proprietà ancora da cedere. Al tempo, lavoravo per un’azienda a Londra e mi domandai perché non rilevare io questi beni immobiliari, svilupparli e poi usarli per avviare una sorta di azienda di alloggi per gli studenti. Ed è così che ho fatto, ho comprato da lui le tre strutture a Aberdeen, Edimburgo e a Londra».
«Una volta scaduti i contratti di locazione, ho iniziato a ristrutturare gli immobili e a trasformarli in residenze per gli studenti, ampliandoli e aumentando la disponibilità di alloggi per gli studenti nel Regno Unito. Sono arrivato in Olanda, solo con l’intenzione di vivere lì, e per poi trasferirmi a Barcellona. All’epoca si stava diffondendo il mobile working, si potevano inviare email con il cellulare rimanendo così tutti collegati o lavorando in remoto. Era tutto ancora agli albori, ma ho adottato questo stile di lavoro molto presto e ho gestito un business da Amsterdam nel Regno Unito».
Come ha sviluppato le competenze nel settore delle residenze per studenti?
«Sono cresciuto osservando le costruzioni di edifici. Quando ero bambino, mio padre costruì la nostra casa insieme con degli amici e sono dunque cresciuto costruendo e vedendo costruttori. Ero solito aiutarlo a sgomberare gli edifici e a trasportare i letti dentro, seguendo così tutta la trasformazione, ed era un ambiente in cui mi sentivo molto a mio agio».
«Sono stato espulso da scuola quando avevo 15 anni, quindi non ero neanche accademicamente preparato a poter trovare un lavoro. Ho così iniziato a lavorare in un cantiere, che ovviamente non richiede molte qualifiche. Per me, le competenze consistevano nell’imparare a costruire gli edifici, come progettare, i diversi mestieri, e poi imparare a vendere. Ciò che penso di me è che sono un venditore eccellente».
Da quando ha lasciato la scuola all’età di 15 anni, ha ottenuto altre certificazioni?
«No, spero un giorno di riuscire a farlo con successo e di ottenere un diploma onorario».
Può raccontare come ha conosciuto Frank Uffen, azionista e amministratore delegato di Community and Learn presso TSH?
«Ho fondato questa azienda 17/18 anni fa ma ho incontrato Frank ad Amsterdam 10 anni fa, quando già avevo avviato la mia attività. Nel 2008 ho inaugurato il mio primo progetto in Belgio, chiamato City Living of the Student Hotel, al quale mi ero dedicato fin dal 2003. Successivamente acquistai un edificio a l’Aia insieme a Carlyle Group, un fondo di private equity molto famoso. La notizia finì in prima pagina del Financial Times, dove si annunciava che Carlyle Group aveva appena investito 150 milioni di euro in City Living, la mia azienda».
«Ad una conferenza sul mercato degli alloggi per studenti in Olanda, dove nessuno ancora mi conosceva, intervenni per esprimere il mio disaccordo con ciò che veniva detto. Ricordo che Frank mi vide dall’altra parte del corridoio e ci incontrammo in mezzo a quella folla di persone, tutte vestite di grigio, che non avevano alcuna idea su cosa volessero».
«Chiesi a Frank di aiutarmi ad educare il mercato olandese e quale sarebbe stato il modo migliore per farlo. Così nacque l’idea di organizzare una conferenza insieme, raccontando la nostra storia. Per dimostrare che lo “studente” non è una persona sola, pubblichiamo un libro in cui elenchiamo 20 tipi di studenti: lo studente di magistrale, la matricola senza soldi, lo studente del primo anno ricco e persone che possono comprare case sui canali. La nostra tesi è “bisogna identificarsi con una comunità studentesca composta da tutti questi profili diversi”».
«La conferenza “The Class of 2020”, come è stata intitolata prima del Covid-19, è stata la più grande piattaforma e conferenza europea sugli alloggi per gli studenti e per i giovani professionisti in Europa».
“The Class of 2020”, avviata nel 2011, è ora la Class Foundation, un’organizzazione non-profit con sede ad Amsterdam, e think-tank istituita per promuovere collaborazioni, condurre ricerche e ospitare eventi, per contribuire a costruire un futuro migliore e più sostenibile per la vita degli studenti e le città universitarie.
Cosa comporta il suo lavoro come fondatore e CEO di The Student Hotel?
«È in evoluzione, ovviamente. Penso che il ruolo di amministratore delegato e di fondatore evolva a seconda della fase in cui si trova l’azienda e delle necessità. Quando ho iniziato, ero molto consapevole di non avere le abilità adeguate. Il mio ruolo principale è quello di costruire un team di persone fantastiche, che credono tutti nella stessa visione e nello stesso sogno, in grado di fare tutto ciò che non posso fare io. Questo è, probabilmente, sempre stato il mio compito più importante».
«Con l’arrivo del Covid-19, ho dovuto immergermi a fondo nella compagnia e assumere diversi ruoli all’interno della stessa. Un aspetto molto importante è il rapporto con gli investitori e quindi mi occupo spesso del settore immobiliare. Inoltre, sto curando i rapporti con gli urbanisti o con i sindaci per l’avvio dei lavori, per le licenze edilizie, ecc. All’inizio, ciò di cui avevi bisogno era di correre o trovare persone da portare al tuo fianco, ma adesso tutto è cambiato. Al momento, con il Coronavirus, l’azienda si trova in una fase in cui ha bisogno di un piano ben definito, di più organizzazione, e di rallentare per far in modo che inizi a funzionare in maniera autonoma. Quindi sono indispensabili nuove competenze e un diverso stile di management».
Qual è la sua visione per The Student Hotel nel prossimo e lontano futuro? Per esempio tra un anno e tra venti anni?
«Spero siano abbastanza allineati. Il nostro metodo è quello di finanziare progetto per progetto e non avremmo mai immaginato di avere poco meno di 30 hotel. Non era qualcosa che avevamo pianificato, per questo non eravamo organizzati ne avevamo una strategia di uscita. Abbiamo deciso di offrire più servizi nella nostra struttura, il che significa che quando aggiungiamo uno spazio co-working, lo facciamo come società separata, autonoma con un P&L indipendente. Spesso i servizi offerti nella struttura corrispondono a società diverse che possono essere vendute anche domani. Con il tempo, abbiamo però notato che questo rende TSH una struttura molto complessa anche dal punto di vista del cliente che si trova in difficoltà a pagare i conti di tre diverse società come il co-working, il F&B e l’hotel. Tecnicamente diventa molto difficile».
«L’arrivo del Covid-19 ci ha dato la possibilità di fare un passo indietro e chiederci cosa volessimo fare. Oggi sappiamo che il nostro portafoglio combinato è più prezioso dei pezzi separati. Ciò che piace di TSH è il poter muoversi liberamente dal co-working al F&B, all’hotel. Sappiamo di avere una comunità unica composta da co-working e studenti che vogliono essere interamente connessi tra di loro. Di conseguenza possiamo costruire un un’unica struttura aziendale».
«Ora, per soddisfare i clienti, l’emissione delle fatture è molto più semplice e creando un unico team facciamo in modo di colmare la distanza tra lo spazio dell’hotel e quello del co-working, ad esempio ci assicuriamo che i vari receptionist conoscano l’intera comunità e che si alternano nei diversi turni e spazi. Un team, una community».
«Crediamo che i nostri clienti cerchino proprio questo, una community che comprenda studenti e professionisti e per questo stiamo semplificando la struttura e unendo tutto insieme. Penso che questo che stiamo facendo adesso ci renderà un’organizzazione molto più efficiente. Semplificando e rafforzando questo modello diventeremo un marchio globale».
Quali sono i vostri piani di espansione? Vedete una via di uscita? Volete continuare a crescere?
«Vorremmo sicuramente espanderci ancora in Europa. La nostra presenza in Germania è molto limitata, l’Italia sta andando bene e per la Spagna qualche altro progetto potrebbe aiutare. La Francia rappresenta per noi una grande sfida mentre il Regno Unito è molto interessante perché probabilmente potremmo avere fino 10 TSH solo a Londra. Credo ci sia una buona opportunità crescita in Europa, ma rappresenta un buon potenziale anche il Nord America con il Canada e le varie città degli Stati Uniti. E poi in Asia. La nostra mentalità è che i nostri clienti sono ovunque e non solo in Europa».
E quali sono i progetti di espansione per l’Italia?
«TSH è diventato il primo investitore internazionale nel mercato di co-living e co-working in rapida espansione in tutta Italia, in un tempo eccezionalmente breve, grazie alle partnership di successo create con i comuni locali per realizzare il suo pluripremiato modello ibrido che collega le comunità locali e internazionali».
«Il nostro modello di business ibrido che riunisce investitori, imprenditori e gestori, ci permette di avere una visione a lungo termine, adottare nuovi approcci allo sviluppo e offrire servizi di prima qualità a tutti i nostri ospiti e diventare così un fiorente community hub per le città».
«Continuiamo ad espanderci. Abbiamo infatti appena chiuso l’affare sul nostro quinto hotel in Italia con l’acquisizione di una grande proprietà a Roma, che dovrebbe essere aperta entro la fine del 2023. Altri nuovi hotel in fase di apertura nei prossimi anni sono Madrid, San Sebastian, Barcellona Provencal, Parigi La Villette, Tolosa, Lisbona Carcavelos, Porto, Torino e una nuova a Firenze. Questo aggiungerà circa. 6.000 camere al nostro portafoglio».
Perché avete deciso di investire in un’altra proprietà a Firenze?
«La bellissima città di Firenze è una calamita per la comunità studentesca internazionale di TSH, ma la sua popolarità è dovuta anche alla vicinanza al centro storico. Il progetto previsto in viale Belfiore è uno dei più grandi della città e il secondo a Firenze. È da molto tempo che The Student Hotel è impegnato con Firenze e il nostro primo progetto, TSH Florence Lavagnini, ha vinto il prestigioso ‘Best Mixed Use Development Award’ presso MIPIM a Cannes, la più grande fiera immobiliare e vetrina delle città del mondo».
Qual è il vostro scopo generale nel partecipare ad attività come Triathlon e Movement on the Ground?
«L’obiettivo è molto semplice, quello di mantenermi in forma. Ma la mia passione principale sono la mia famiglia e i miei figli. Ho due maschi e due femmine. Hanno un anno e mezzo, due anni e mezzo, undici e tredici anni».
Cosa vuole trasmettere ai suoi figli? Crescendo in un’azienda di famiglia, vorresti che proseguissero?
«Non voglio esercitare alcuna pressione su di loro e sono consapevole che dal momento che TSH sta diventando abbastanza grande, devo stare attento a non comprometterli. Voglio che siano felici, premurosi e connessi con un’energia più grande. Vorrei che riuscissero meglio di me a scuola, ma so anche che non è per tutti. Quindi, mi sto concentrando sul fatto che facciano del loro meglio a qualsiasi livello. Se i miei figli riescono a farlo da soli, allora sono davvero felice, non conta nient’altro. Non ho vere ambizioni per loro, a parte la loro genuina felicità. Non entreranno nel TSH a meno che non vengano naturalmente in questa direzione».
«Cerco di essere davvero aperto con i miei figli e di parlare con loro attraverso le mie esperienze. Cerco di insegnare ai miei figli dando esempi di apprendimento personale, di apertura a cose nuove, di cambiamento, di adattamento. I miei figli sanno che sono molto appassionato di Movement on the Ground, sanno che traggo molta energia da esso. Non mi hanno mai visto piangere finché non ne sono stato coinvolto, è successo alcune volte. Ho il disperato bisogno di portare i più grandi a Lesbo e di coinvolgerli in qualche lavoro di volontariato».
Perché Movement on the Ground è così importante?
«Ho deciso di partecipare perché ciò che stava accadendo in Europa era tragico. Sono lì ora perché sono veramente deluso dal sistema. Specialmente per quanto è grande il sistema e l’assetto, non può correggersi da solo ma deve essere ripristinato».
«Come un gruppo di cinque amici senza alcuna esperienza umanitaria, abbiamo osservato la crisi dei rifugiati con occhi nuovi. Vediamo chi sono queste persone e per rendere tutto più facile chiediamo loro di essere parte della soluzione e tutti ne sono vincitori. Con Movement on the Ground il modello dei costi semplicemente diminuisce, è più sostenibile perché possiamo gestire un campo al 20% dei costi dell’UNHCR. Ci sono meno droghe, alcol, incidenti e più senso di comunità. Tutto funziona meglio».
«Vedo il problema e trovo la soluzione, per me è molto semplice. I poteri con i quali mi scontro insieme a Movement on the Ground sono folli e ciò mi turba profondamente. È tutta una questione di soldi ed è così triste. Abbiamo appena iniziato con la crisi dei rifugiati. E nessuno vuole parlare del bene. Parliamo della cosa più bella che vedo in continuazione: essere invitato per il tè da una famiglia che non ha nulla. Stiamo iniziando a fare lobbying contro Bruxelles perché abbiamo un modello che è semplicemente più economico e migliore, tutti lo sanno».
Ginevra Larosa
Foto © Teknoring, Hospitality News, The Student Hotel, Hrs