Covid, perché la Cassazione conferma il sequestro

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La sentenza della Suprema Corte sulla fornitura di mascherine a inizio emergenza Covid e sul traffico illecito di influenze

L’emergenza sanitaria da Covid19 è stata indubbiamente fonte di immensa sofferenza per gli italiani sotto moltissimi aspetti. Quelli che ci hanno più o meno toccati tutti da vicino sono principalmente quello della salute e quello economico.

È del 23 settembre la pubblicazione della sentenza (n° 35280/21) con la quale la Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso da Mario Benotti contro l’ordinanza emessa dal Tribunale di Roma che disponeva il sequestro preventivo dei saldi attivi giacenti sui rapporti finanziari e bancari sino alla concorrenza dell’importo di euro 872.000,00 quale parte del prezzo pagato relativo al reato contestatogli di traffico di influenze illecite, riconoscendo altresì la circostanza aggravata della trasnazionalità.

Attività di mediazione illecita

Al Benotti era stato difatti contestato detto reato poiché aveva svolto un’attività di mediazione illecita non motivata da un preciso incarico istituzionale né tantomeno professionale. Difatti, scrive la Cassazione, detta attività era fondata esclusivamente sul rapporto di conoscenza personale con Domenico Arcuri commissario nazionale per l’emergenza epidemiologica da Covid-19, in seguito alla quale furono ordinate delle commesse per la fornitura di 801.617.647 dispositivi di protezione individuale quali mascherine di tipo chirurgico le Ffp2 e Ffp3. Detti dispositivi furono appunto ordinati dal commissario straordinario nel periodo tra il 25 Marzo e il 15 Aprile del 2020.

In seguito a tale commessa fu corrisposto nel prezzo complessivo di 1.251.500.500 a tre società cinesi individuate attraverso l’intermediazione di Andrea Vincenzo Tommasi quale titolare della società Sansky Srl. La sentenza precisa che quest’ultimo soggetto, non agiva da solo, ma di concerto con altre persone tra le quali il Solis (Jorge Edisson Solis San Andrea), amministratore di fatto della società Guernica Srl.

Chi ha ricevuto gli accrediti

Si legge nella tesi accusatoria riportata in sentenza, che proprio il Tommasi e il Solis avrebbero ricevuto accrediti disposti dalle società cinesi direttamente sui conti correnti intestati alle società di proprietà degli stessi.

Benotti invece, avrebbe ricevuto sui conti correnti delle società a lui riconducibili, la somma di euro 11.948.852.

Secondo la Cassazione si tratta dunque di un compenso ricevuto a titolo di mediazione svolta per accreditare le tre società cinesi aggiudicatarie presso la struttura commissariale.

Il punto di vista della difesa

Era un periodo di grande emergenza per il nostro Paese, quando – sostiene la difesa – il commissario Arcuri richiese a Benotti di attivarsi per la ricerca di dispostivi di protezione contro la propagazione del contagio da Covid-19. La difesa chiarisce – a sostegno della sua tesi – che il pagamento delle provvigioni avvenne soltanto dopo l’esecuzione del contratto e non in un momento precedente, e che soltanto dopo aver individuato detti possibili canali furono predisposte le tre offerte economiche oggetto del suindicato contratto di forniture delle mascherine. La struttura commissariale ne valutò la convenienza e l’utilità. Infine, sempre a parere della difesa, la vicenda sembra essere carente dell’elemento patrimoniale del conseguimento dell’utilità come prezzo, atteso che somma di denaro percepita da Benotti fu a titolo di provvigione.

In più detta provvigione fu pagata dai fornitori cinesi – le  citate società appunto – e non dalla struttura commissariale.

Cassazione: il provvedimento del Tribunale di Roma è fondato

Tale tesi però, sembra non aver convinto la Suprema Corte che ha ritenuto infondato il ricorso promosso da Mario Binotti. Spiega chiaramente che il provvedimento emesso dal Tribunale di Roma si fonda su un complesso di elementi indiziari puntualmente richiamati nel provvedimento, con specifico riferimento al rapporto di conoscenza con il commissario Arcuri ancor prima che questi venisse nominato. Tale rapporto confidenziale era già noto al Tommasi, ciò testimoniato non soltanto da uno scambio di messaggi, ma anche dal fatto che lo stesso Benotti gli avrebbe riferito di aver contribuito alla stesura del suo decreto di nomina dando alcuni suggerimenti in merito. Fu il Tommasi a dare la disposizione di provvedere al versamento in favore di Benotti di una ragguardevole parte della provvigione riconosciuta, mediante l’accredito su conti correnti appositamente accesi dal Benotti e intestate a due società a lui stesso riconducibili.

Afferma la Cassazione che la somma di denaro corrisposta a Mario Benotti costituiva la remunerazione per la sua attività di intermediazione prestata direttamente per averlointrodotto nell’affare”. Non trascurabile è anche il fatto che la considerevole somma riconosciuta appunto per l’attività suindicata, fu pattuita quando ancora non vi era certezza dell’esito della sua attività di mediazione. E che gli accordi tra le società del Tommasi e quelle riconducibili a Mario Benotti erano precedenti alla stipula dei contratti di fornitura stipulati tra le società cinesi aggiudicatarie e il Governo italiano.

Si aggiunga anche il fatto che nessun incarico ufficiale – istituzionale o professionale fu affidato a Benotti.

Le stesse società che hanno ricevuto i citati bonifici, svolgono attività in un settore totalmente estraneo, mentre il commissario Arcuri – specifica ancora la Cassazione –  non era a conoscenza dei contatti tra il committente Tommasi e il mediatore Benotti.

 

Cristiana Rossi

Foto © Cnet, Il Sussidiario, Startmag

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Cristiana Rossi
Commercialista giudiziario - CTU - Perito della Procura - Amministratore Giudiziario Antimafia e docente universitario

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