Lea Monetti, tanti talenti in una donna con qualità straordinarie

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Lea Monetti

Non le piace parlare del passato perché, secondo lei, ogni giorno è come se fosse il primo

Lea Monetti, artista eclettica, ha trascorso la prima parte della sua vita in Maremma apprendendo le prime armi dai maestri grossetani Teopisto Lubrano, Carlo Gentili, Gino Parrini.

Negli anni ’70 ha seguito i corsi liberi dell’accademia e la “Scuola della Realtà“ di P. Annigoni, Firenze, che è stato il suo vero maestro.

Ad oggi vanta un talento di pittrice, scultrice e ritrattista, esperta in tecniche antiche e affresco di fama internazionale. Dall’esclusiva per la galleria “Cour du Cigne” di Ginevra e la 900 Arte italiana, è stato un susseguirsi di successi che l’hanno portata a realizzare, per l’istituto italiano di Cultura, una personale di affreschi staccati al Cairo; il ministero degli Esteri autorizzò quella personale a Mosca.

Lea Monetti da quegli anni è sempre presente agli Expo e gli eventi più rappresentativi dell’arte internazionale in esclusiva con G. B . R. Bianco, insieme ai fratelli Bueno, R.Squillantini, L.Alinari, E.Bandelli. Negli anni ’90 ha iniziato un fortunato tour di mostre personali nell’Europa settentrionale durato 10 anni. Rientra in Italia nel 2000 per dare nuova vita a un casale in Maremma e creare una fiorente azienda agrituristica come imprenditrice agricola. Per i dieci anni a seguire si dedica alla attività di imprenditore turistico ed edile per organizzare l’assetto delle responsabilità familiari. Nonostante ciò, anche durante la sua inattività artistica, le sue opere sono presenti in prestigiose esposizioni unite a nomi storicizzati quali Cesetti e Gentilini.

Nel 2010 ha ripreso l’attività espositiva con la personale alla galleria dei Georgofili Firenze e a seguire Palazzo Medici Riccardi, Gall.M.Nobile. Bologna, Parigi e Arte Fiera, luoghi che hanno sancito il suo successo di scultore con opere in bronzo che sono state poste da G. Faccenda e V. Sgarbi, fra le più pregevoli del Novecento italiano.

Il suo atelier a Firenze è una galleria di sculture dall’atmosfera magica, di grande fascino, che tira fuori la potenza e grandezza dell’artista.

Abbiamo intervistato per Eurocomunicazione Lea Monetti dandole la possibilità di raccontarsi.

A una lettura delle domande proposte lei esordisce così:

«La maggior parte delle tue domande si riferisce alle origini e lì mi hai riportato. Faccio sempre fatica perché non penso mai a queste lontananze, protesa come sono a vincere la scommessa di domani. Mi ritengo una donna senza passato come se ogni giorno fosse il primo e in realtà credo che lo sia».

«Quello che ha caratterizzato di più la mia vita di allora non sono stati gli studi, dei quali ho amato solo la parte letteraria, quanto il contatto con la natura più selvaggia della Maremma».

«Da adolescente marinavo la scuola per trascorrere tutto il tempo possibile nascosta fra le canne sulla riva della laguna di Orbetello e, quando in inverno le intemperie mi davano la certezza di non incontrare qualcuno, camminavo sulle spiagge deserte, con la sensazione che avrei trovato qualcosa di meraviglioso. La ricerca inconsapevole delmeravigliosonon mi ha abbandonata mai ed era, a ragion veduta, il segno portante della mia vita. L’insegnante di disegno era l’unico professore che mi interessava così come le persone che praticavano l’arte e non ho perso mai l’occasione per imparare da ciascuno i meravigliosi mezzi con i quali si poteva realizzare, e soprattutto fermare, la vita delle cose, il tempo, l’emozione».

Perché ha fatto esperienze fuori città? È riuscita ad avere successo fuori dal nostro Paese?

«Perché è facile giocare nel cortile di casa. Ho avuto bisogno del confronto, della scommessa e anche della sfida per misurare le possibilità delle mani e della mente. Sì, posso dire senz’altro di aver avuto successo. Sono stata scelta dal più grande manager degli anni Ottanta: Giovambattista Remo Bianco. Inoltre, sono stata rispettata da tutti gli esperti e gli addetti ai lavori, sia in Italia che all’estero. Questo non significa che abbia avuto un successo economico poiché, e questo sia ben chiaro ai giovani, gli artisti non sono mai ben pagati. Se hai la fortuna di una posizione di prestigio, già è ritenuto un compenso».

«I rarissimi manager spendono molto per la promozione ma agli artisti occorre la garanzia di una produzione molto alta per assicurarsi un guadagno. Per me fu una conquista la fornitura del materiale e cornici! Una cosa è certa: gli artisti sono gli unici al Mondo che pagano per lavorare».

Quali tecniche artistiche preferisce?

Lea Monetti«Posso dire che non amo dipingere a olio su tela. Amo i colori trasparenti che non consentono pentimenti: l’affresco, la tempera all’uovo, la carta di riso che dialoga con il pennello più della tela inerte».

Ha dovuto cambiare tecniche o tematiche?

«Sì, completamente, perché la scultura mi ha attratta sempre più e ha avuto un impatto su me e sul pubblico fortissimo».

Quali tematiche della Maremma ha esportato nella sua arte fuori città?

«Forse la malinconia del Padule della Trappola che tanto ho amato e che sicuramente è riflesso anche nelle opere successive. Qui le nature morte sono colte in una bellezza che si disfa e nei ritratti che hanno un’anima che si ripiega sulla sua solitudine».

Come viene considerata l’arte maremmana nel Mondo al giorno d’oggi?

«Non mi risulta abbia una propria immagine. Credo che in tutte le Province del Mondo, la qualità della vita sia inversamente proporzionale alla presenza in prima linea».

Chi sono gli artisti che hanno raffigurato la Maremma ad oggi più conosciuti?

«Sicuramente quelli del primo Novecento e mi permetto di includere anche me stessa».

C’è un’opera recente di cui vai fiera?

«Forse non se n’è parlato ma, quest’anno è stata inaugurata una chiesa intitolata a Madre Teresa di Calcutta e che ha due sculture di bronzo: Madre Teresa e una Madonna realizzate da me. Al santuario di Pristina si dice che questa mia sia la più bella madre Teresa esistente, ma mi sono accorta che ne abbiano parlato i giornali locali. Questo fa pensare che, anche se ci fossero delle iniziative, finirebbero per affogare nella palude come cinquant’anni fa».

Ha detto all’inizio di essere una donna senza passato, ma non c’è proprio nulla che appartenga al suo passato che possa regalare benefici al presente e al futuro?

«Tutto. Tutto si costruisce sulle esperienze passate! Come ho detto sono una donna senza ricordi però ne avrei da ricordare! Ho creato una famiglia di cui essere orgogliosa, restaurato un casale e creato il mio bosco con tantissimi figli alberi; realizzato poesie visive. Ho creato una fiorente azienda agrituristica in Maremma e condotta felicemente come imprenditrice agricola».

«Sono stata progettista, costruttrice, interior designer, arredatrice. Ho realizzato opere in chiese ed edifici pubblici e come patronessa della Croce Rossa italiana, ho promosso da sola, presso l’Unire Roma (Unione nazionale incremento razze equine), la realizzazione di un Centro rieducazione Ippica handicappati, ho finanziato da sola l’impianto con un’asta televisiva delle mie opere, e ottenuto le dovute autorizzazioni, coadiuvata dalla signora M.P. Fanfani e dal generale Ferrone. Ho posto io la prima pietra insieme al prefetto Colombo e all’architetto Picchi, esecutore del progetto, nel centro militare quadrupedi di Grosseto e istruito, presso il centro Unire di Milano, cavalli ed educatori».

«Questo centro in Maremma è tuttora un punto di riferimento nazionale e internazionale per la rieducazione ippica degli handicappati. Ho avuto il riconoscimento dedicato ai cittadini che onorano le città in cui hanno vissuto, poi commendatore della Repubblica, Paul Harris Fellow, socia fondatrice e scultrice ufficiale nel Soroptimist International, accademica corrispondente dell’Accademia delle Arti e del Disegno di Firenze, socia ad honorem delle più antiche associazioni artistiche di Firenze».

«I più affezionati collezionisti sono i galleristi che hanno scelto di trattenere per se stessi le mie opere di pittura e scultura nelle loro residenze. Come vedi mi hai fatto tornare alla storia della vita anche se non amo farlo».

«Non conta quello che è fatto ma quello che è da fare: il progetto da portare avanti è, anche oggi, l’unica realtà esistenziale».

Quale sarà il presente e il futuro di Lea?

La mia opera più recente rappresenta il punto di svolta di un percorso artistico in cui la mela – carica del suo simbolismo millenario – è stata un elemento ricorrente ma non protagonista nelle mie opere».

«Mentre lavoravo sulle mele morsicate del sedile di bronzo della scultura EVA nella fonderia Mariani di Pietrasanta, 2019, capii chiaramente che questo soggetto è sempre stato ricorrente nella mia mente perché quel morso solitario mi disturbava. Infatti, le esposizioni avevano sempre come soggetto l’innocenza di Eva: ma perché un solo morso alla mela? Rattoppata, ricucita, consumata ma sempre un morso soltanto. Allora ho deciso di mordere una mela, insieme a qualcuno per rompere la simbologia del consumo unilaterale del simbolo “mela”, qualsiasi significato le si voglia dare».

«La mela è stata il filo conduttore: il fil rouge, del mio lavoro, negli ultimi 20 anni».

«Due morsi alla mela costituisce lo sdoganamento della simbologia consolidata nei secoli: da simbolo del consumo unilaterale a simbolo di condivisione».

«Su questo pensiero sto lavorando e ho progetti futuri che il tempo svelerà. La scommessa quotidiana continua!».

 

Cecilia Sandroni

Foto © Lea Monetti

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Cecilia Sandroni
Fondatrice della Piattaforma internazionale ItaliensPR. Cecilia Sandroni, per formazione semiotico del teatro, è membro della Foreign Press di Roma come Italienspr (italienspr.com/global press), oltre ad essere un'esperta di relazioni internazionali nella comunicazione. Le sue competenze spaziano dal teatro-cinema, alla fotografia, all'arte e al restauro, con la passione per i diritti umani. Indipendente, creativa, concreta, ha collaborato con importanti istituzioni italiane e straniere per la realizzazione di progetti culturali e civili.

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