Zeppole e bignè, storia e tradizione dei dolci con la crema della festa del papà

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Zeppole e bignè

Una storia antichissima, divisa tra Roma e Napoli, dietro ai dolci con la crema di San Giuseppe

San Giuseppe cade il 19 marzo e, a Roma, è un po’ il santo delle frittelle tanto da essere soprannominato San Giuseppe Frittellaro. Checco Durante nel 1950 scrisse anche una sorta di motto, tra preghiera e poesia, proprio per onorare il santo romano delle frittelle.

San Giuseppe frittellaro, ttanto bbono e ttanto caro, tu cche ssei ccosì ppotente, da ajiutà la pora ggente”…

San Giuseppe tra zeppole e bignè

Tanto simili quanto diversi. Stessi ingredienti ed entrambi con la crema, che fa da regina, ma le prime – zeppole – sono di Napoli mentre i secondi – bignè – sono un dolce tipico di Roma. Ognuno si porta dietro una storia che deriva da due diverse antichissime tradizioni. Entrambi possono esser fritti o al forno, le zeppole differiscono principalmente per forma e per l’aggiunta delle ciliegie.

San Giuseppe a Roma

Ci sono alcuni santi a cui il popolo è più affezionato e a cui ci si raccomanda volentieri. A Roma è il caso di San Giuseppe venerato con particolari feste e tradizioni sin dall’antichità.

La festa di San Giuseppe, padre di Gesù, è stata sempre molto sentita. Nel medioevo la confraternita dei falegnami finanziava e organizzava i festeggiamenti del santo e durante le celebrazioni, nella Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, si vendevano per strada proprio i bignè fritti. Da qui il nome di San Giuseppe frittellaro.

La ricorrenza cristiana, come spesso accade, deriva da una più antica ricorrenza romana. Si tratta dei Liberalia, essendo anche il giorno prima dell’equinozio di primavera, era un momento in cui celebrare la fertilità e la rinascita della terra.

San Giuseppe a Napoli

Anche la città partenopea rivendica i suoi dolci. Controversa l’origine del nome che potrebbe derivare da zeppa, un pezzetto di legno, oppure da serpula (serpe in latino) per la classica forma di un serpente acciambellato, o ancora da saeptula (cingere in latino) un oggetto di forma rotonda. Non è chiaro neanche dove sia stata inventata, probabilmente nel convento di San Gregorio Armeno.

La prima testimonianza scritta della ricetta la troviamo nel ricettario del 1837 La cucina teoricopratica di Ippolito Cavalcanti, cuoco e letterato italiano. Tuttavia è un errore associare quella preparazione alle odierne zeppole. Cavalcanti infatti ci parla di semplici frittelle acqua e farina cotte nello strutto. Ciò che si avvicina di più al dolce, come lo conosciamo oggi, lo ritroviamo sotto la voce di “tortanetti di pasta bignè con amarene” ovvero delle “pagnottine di pasta bignè con un forame nel mezzo”.

Già all’epoca Cavalcanti scrive che la pasta bignè poteva essere sia cotta in forno che fritta nello strutto, lasciando libera scelta, ma nello specifico sui tortanetti non dà varianti, vanno fritti nello strutto ben caldo.

Pochi anni dopo, il pasticciere Pasquale Pintauro modificò la ricetta base per la zeppola di oggi e presentò tale variante il 19 marzo del 1840.

 

Sveva Marchetti

Foto © LaCronacadiRoma, GialloZafferano

 

 

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