Tannaz Lahiji, respirare arte. L’intervista per Eurocomunicazione

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Tannaz Lahiji

Dalla pittura alla performance, una ricerca costante di sperimentazione in un’osmosi di cultura persiana e italiana

Tannaz Lahiji, artista di fama internazionale, nasce l’8 marzo 1978 a Teheran (Iran) da padre insegnante d’arte e madre pittrice, figlia d’arte, inizia ben presto la sua carriera, conseguendo nel 2002 la laurea in pittura presso la Libera Università di Arte e Architettura di Teheran. Si perfeziona poi a Firenze tra il 2004 e il 2005 con un master in Arti Visive alla LABA, dove attualmente lavora come docente.

Nel corso della sua carriera artistica si dedica a una continua ricerca e sperimentazione, abbracciando anche l’arte performativa, sentendo l’esigenza di lavorare attraverso il corpo umano, rappresentando la sua vulnerabilità e realtà. Il suo innegabile talento le concede la possibilità di realizzare numerose mostre all’estero, così come in Italia. Tra le sue esposizioni più importanti ricordiamo l’installazione Riflessioni su Dante, realizzata nel 2019 a Firenze e destinata alla commemorazione di Dante Alighieri con un’interessante combinazione tra tradizione fiorentina e persiana. Un percorso espositivo a più tappe nelle sedi storiche di Palazzo Vecchio, museo casa di Dante e Palazzo Bastogi. Il progetto è un tale successo da essere replicato nel 2021 con la mostra Al di là di Dante tenutasi a Pisa in occasione della settecentesima ricorrenza dalla morte del Sommo Poeta. Estremamente importante per Tannaz è anche la collaborazione con la New York University. Un progetto internazionale che indaga il legame tra l’arte e le neuroscienze, sostenendo che la prima sia un potente strumento in grado contribuire a contrastare malattie degenerative come il Parkinson.

Lei nasce a Teheran, da una famiglia di artisti. Quanto ha influito questo sulla sua arte e cosa significa per lei fare arte?

«Essere cresciuta in una famiglia di artisti, ed essere nata in un ambiente multiculturale come quello di Teheran, sicuramente ha influenzato e continua a influenzare molto la mia arte. L’ambiente nel quale cresciamo ci forma. Ricordo che quando ero bambina, in casa mia, i giocattoli erano colori e pennelli e gli ambienti che frequentavo erano la scuola d’arte, lo studio e la galleria. Ovviamente questo ha influito, non solo sulle mie opere, ma sulla mia vita. L’abitudine fin da piccola di vivere il mondo dell’arte internamente, mi ha fatto apprendere molto senza che me ne rendessi conto, per osmosi. L’arte è stata sin da subito parte della mia vita, della mia persona, come può esserlo un braccio o una gamba. Anche in questo senso, per me fare arte è parte integrante della mia esistenza».

«Non riesco a immaginare di vivere senza progettare e creare, per questo non esiste un momento della giornata in cui stacco. Ogni conversazione e ogni aspetto apparentemente futile della vita può fungere da stimolo per la realizzazione di un’opera. Inoltre, ho la fortuna di essere circondata da artisti, galleristi e anche i miei stessi studenti che ogni giorno mi suggeriscono un sacco di idee. Essi costituiscono un allenamento costante che mi consente di crescere».

Il 2004 segna il punto di svolta nella sua vita: in seguito al conseguimento di una laurea in pittura presso la Libera Università d’Arte e Architettura di Teheran, decide di trasferirsi a Firenze per un master in arti visive presso la Libera Accademia delle Belle Arti (LABA). Come mai ha scelto proprio Firenze?

«In realtà Firenze è capitata casualmente nella mia vita, dato che vinsi una borsa di studio per completare la mia formazione. È una città bellissima e quando mi offrirono la possibilità di studiarci, ovviamente accettai. Non posso però definirla una scelta. Ora però sono a Firenze da molti anni, ho preso la cittadinanza italiana e ho deciso di fermarmi qui perché ormai la considero una parte di me come l’Iran e Teheran, la mia terra natia».

Come nasce una sua opera? Cosa prova durante il processo di creazione?

«Buffo perché questa è proprio una di quelle domande che io stessa faccio ai miei collaboratori, in quanto in realtà non lo so di preciso. Quando creo non sono completamente in me, o anzi, sono totalmente immersa in ciò che sto facendo. Il mondo esterno sparisce, infatti anche i sensi non si comportano in maniera usuale, vedo soltanto l’opera e le mie mani su di essa. Il tempo ha un’altra dimensione. I miei collaboratori mi hanno riferito che spesso sembro strana, con gli occhi fissi a scrutare un punto oltre la tela, muovendomi senza una piena consapevolezza di ciò che mi circonda. Però per me è sempre un momento bellissimo, di sollievo, come se stessi nuotando, o quasi volando».

Nella sua produzione artistica più recente lei indirizza la sua continua investigazione verso uno studio dei colori e in particolare della luce, cercando di trasmettere il senso dell’energia cosmica. Da cosa nasce questo suo intento e c’è qualcosa a cui si ispira?

Tannaz Lahiji«La mia ricerca artistica è iniziata proprio da me stessa. Volevo capire bene chi fossi e come fossi fatta in modo da poterlo trasmettere al meglio nelle mie opere. Dallo studio su me stessa come individuo sono passata allo studio dell’energia come elemento che caratterizza ciascuno di noi e tutto ciò che ci circonda. Su questo argomento scrissi la mia tesi di laurea a Teheran, grazie alla quale vinsi la borsa di studio per Firenze. Per poter rappresentare al meglio il concetto dell’energia, la mia ricerca partì proprio dallo studio della luce, e collaborando con diversi esperti, fra i quali alcuni miei amici conosciuti in Germania, ne conseguirono una serie di mostre (In luce e Oltre la luce)».

Questa sua costante ricerca la porta a sperimentare forme sempre nuove di rappresentazione artistica. Il suo genio, infatti, non si ferma solo alla pittura, ma si esplicita anche attraverso istallazioni di arte contemporanea e performance di body painting. Cos’è per lei la performance?

«Per me la performance è una comunicazione senza limite. Parte dalla collaborazione di diversi artisti che devono sincronizzarsi tra loro e creare un prodotto che armonizzi suoni, movimenti, forme e colori. In questo senso la performance è una comunicazione. Ma a differenza della comunicazione quotidiana, non conosce vincoli. Nella vita di tutti i giorni puntiamo alla libertà totale, ma allo stesso tempo sarebbe difficile convivere senza dei limiti precisi. La performance invece è una cosa spontanea, un muoversi e agire liberamente, in un moto insieme ad altre persone con le quali si raggiunge un livello di comprensione reciproca molto profondo. Il fatto che una performance possa anche non essere stata preparata, e quindi che gli artisti non si conoscano tra loro, rende la comunicazione viscerale e immediata. È necessario arrivare a un alto livello di conoscenza di chi ti sta di fronte in poco tempo attraverso lo sguardo, il corpo, il respiro e tutto ciò che è a nostra disposizione».

Perché per lei è importate lavorare con il corpo?

«La mia ricerca, come ho detto prima, è iniziata proprio dallo studio del mio corpo, non solo come energia ma anche in quanto mero strumento fisico attraverso il quale relazionarsi e interagire con il Mondo. Per questo per me parlare e trasmettere attraverso il corpo è molto importante, e da questo si possono comprendere le mie performance di body painting».

Lei collabora come ricercatrice e professionista con la New York University per un progetto di ricerca per la cura di malattie degenerative come il Parkinson. Perché sostiene che l’arte possa aiutare a contrastare questa malattia?

Tannaz Lahiji«Sì, esatto. Collaboro con la New York University per comprendere quanto sia possibile migliorare le condizioni delle persone affette dalla sindrome di Parkinson. Ho una borsa di ricerca con la mia sede e lavoro presso uno stabile offerto dal comune di Firenze. Sono già due anni che facciamo lezioni di arteterapia con pazienti affetti dal morbo e utilizziamo questo tempo per vedere come l’ambiente artistico, la musica, i colori, i movimenti, possano alleviare i sintomi, anche solo per il tempo in cui sono a lezione. Devo dire che durante questo periodo gli studenti hanno dato delle grandi soddisfazioni e sono stati rilevati risultati molto interessanti, sia per me che per gli scienziati di neurologia che hanno riscontrato dei miglioramenti nelle loro condizioni. Umanamente parlando, la massima soddisfazione consiste nel vederli motivati ed entusiasti di dipingere, con l’emozione di poter creare qualcosa che non hanno mai fatto, come realizzare dipinti o fare una scultura di argilla».

«Molti di loro scelgono di portare il materiale a casa per condividerlo con i familiari, felici di dipingere e migliorare poco alla volta, con meno tremori rispetto all’inizio e una maggiore sicurezza nei movimenti».

A Teheran però fin da piccola è stata costretta a conoscere l’atroce realtà della guerra. Che impatto ha avuto questo sulla sua produzione artistica e cosa simboleggia per lei oggi?

«Questa è una domanda complessa. Come le ho detto precedentemente, siamo fatti del nostro vissuto, l’ambiente in cui siamo cresciuti ci forma. Dunque, certamente la guerra ha avuto un impatto importante sulla mia vita e di conseguenza sulla mia produzione artistica. È stata un’esperienza negativa nel momento in cui l’ho vissuta ma, a posteriori, si è rivelata costruttiva. Aver vissuto in condizioni così difficili, ad oggi mi dà la forza e la sicurezza necessarie per affrontare i momenti di difficoltà».

Lei sostiene che il distacco da sua madre trasferitasi a Londra in seguito alla separazione da suo padre, e poi dai suoi fratelli, fuggiti in Germania a causa della guerra, abbia determinato in lei una sensazione di vuoto originato dalla “Perdita” e di “Attesa” di un ricongiungimento con essi. Come esprime tali sentimenti nelle sue opere?

«Ho diversi scritti a riguardo, Pinocchio e Racconto della guerra, peculiari in quanto l’esperienza della guerra è descritta in prima persona, e nelle due mostre da lei citate, viene narrata la stessa storia».

Oltre a una notevole carriera artistica, lei ha scelto di intraprendere anche quella di insegnante di disegno per bambini tra 6 e 12 anni a Teheran. Da cosa nasce questa passione e come mai decide di insegnare ai più piccoli?

«Sono cresciuta al fianco di mio padre nella scuola d’arte dove lui insegnava e osservandolo ho imparato un po’ alla volta come si possa strutturare e gestire una lezione. È una cosa che ho iniziato a fare da subito, inizialmente con bambini piccoli e poco alla volta con persone sempre più grandi. Si può dire che sono cresciuta trasmettendo concetti e idee e mi viene spontaneo, non mi devo impegnare, mi viene assolutamente naturale. Soprattutto però, adoro insegnare perché sono io la prima a crescere e apprendere. Durante le lezioni, mentre esprimo il concetto, si aprono in me nuovi punti di vista e prospettive che non avevo considerato prima. A volte le stesse domande e le idee degli studenti fungono da stimolo e aprono in me visioni nuove. Pertanto, l’insegnamento come l’arte, fa parte di me e continuerò a portarlo avanti».

Ha in programma nuovi progetti?

«In questo momento sto lavorando in collaborazione con il comune di Pisa a una serie di installazioni per un progetto intitolatoAl di là di Dante“, in omaggio al 700° anno dalla morte. Le prime due installazioni, il “Ghiaccio di Dante” e il “Vortice infernale”, sono state esposte a dicembre presso la chiesa di Santa Maria della Spina e ora il vortice è stato trasferito permanentemente presso la biblioteca. Le prossime installazioni saranno una barca di specchi e altri due vortici, che saranno tutte donate al comune di Pisa come opere permanenti. Oltre a questo, dato che il capodanno fiorentino (25 marzo) cade vicino al capodanno persiano (21 marzo), ogni anno decido di celebrare questo evento con una mostra o un’esposizione, la quale quest’anno si terrà presso ilKoob experience” nel giorno del capodanno fiorentino. Inoltre recentemente ho creato un nuovo studio, una casa d’artista in cui invitare artisti internazionali per vivere e creare opere d’arte».

 

Cecilia Sandroni

Foto © Tannaz Lahiji

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Cecilia Sandroni
Fondatrice della Piattaforma internazionale ItaliensPR. Cecilia Sandroni, per formazione semiotico del teatro, è membro della Foreign Press di Roma come Italienspr (italienspr.com/global press), oltre ad essere un'esperta di relazioni internazionali nella comunicazione. Le sue competenze spaziano dal teatro-cinema, alla fotografia, all'arte e al restauro, con la passione per i diritti umani. Indipendente, creativa, concreta, ha collaborato con importanti istituzioni italiane e straniere per la realizzazione di progetti culturali e civili.

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