Post elezioni, e ora? che si fa?

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Elezioni

Riflessioni sul voto da parte di chi non ha vinto, ma non ha nemmeno perso

Nel leggere i commenti da parte degli elettori di centrosinistra, e soprattutto di sinistra, sembra che l’Italia sia appena stata travolta da un colpo di Stato. Qualcuno ha scritto: “una mattina, mi sono svegliato, e ho trovato l’invasor“. Oppure “oggi inizia la resistenza“.

No, ragazzi, non inizia nessuna resistenza. Non ce n’è bisogno. Non c’è nessun invasore.

E parlare di dittatura, di invasione, di fascismo, di libertà negate, oggi, in Italia, è un insulto a quello che sta avvenendo nel Mondo. L’Italia ha scelto, democraticamente chi la governerà.

Abbiamo un sistema elettorale che, per mettere fine all’incapacità di trovare un accordo tra i partiti, permette a chi non ha la maggioranza assoluta dei voti, ma solo relativa, di governare. E questo è un bene. Un bene perché garantisce 5 anni di stabilità politica. O meglio, dovrebbe garantire, perché non si sa mai cosa può capitare. Ma tra 5 anni, al massimo, si torna a votare. E cinque anni passano veloci.

Abbiamo un sistema costituzionale che impedisce di stravolgere il nostro regime democratico. Certo, potrebbero fare delle leggi più restrittive, ma esistono sempre i referendum, esiste la possibilità di manifestare liberamente in piazza.

In Italia puoi manifestare. Lo so che sono 5 anni che i sindacati non fanno grandi manifestazioni, che non le fa l’Anpi (Associazione nazionale partigiani d’Italia), o tutte quelle associazioni democratiche. Gli ultimi grandi scioperi generali erano quando al Governo c’era Renzi. Non quando sono stati fatti i decreti sicurezza, ma spero che nel caso si tocchino aborto, diritti civili, coppie di fatto, si abbia il coraggio di manifestare.

Perché l’Italia, a differenza dell’Iran è un Paese democratico. Certo abbiamo avuto anche noi i nostri morti nelle piazze, ma quando succede, poi si fanno i processi, che finiscono come finiscono, ma si fanno.

Non siamo l’Iran, non siamo l’Ucraina invasa dalla Russia, non siamo la Russia che obbliga la gente ad andare in guerra. Non siamo in Medio Oriente, in Africa, o in Paesi dove non esiste la libertà di stampa. Siamo in Italia.

Quindi, ripeto, immaginare qualsiasi scenario antidemocratico in Italia è un offesa a chi, oggi, nel Mondo, non può esprimere il proprio pensiero, a chi deve difendere la propria casa da veri invasori, a chi non ha la possibilità di vestirsi come si vuole, a chi non può vivere liberamente la propria sessualità.

Chi si appresta a governare, credo, sappia, e se non lo sa gli verrà spesso ricordato, che governa con il consenso di meno della metà degli italiani (il 44% degli elettori equivale al 28% degli italiani). Sono di più quelli che non volevano questo Governo. E questo deve essere il lume che dovrebbe guidare chiunque si appresti a governare un Paese: sapere se ha un mandato pieno, oppure parziale. E il centrodestra lo ha solo parziale.

Spetta poi a chi non governa essere vigile, e ricordare a chi siede nelle poltrone dove si prendono le decisioni che, oltre al consenso parlamentare, deve ottenere anche il consenso popolare.

Di tono diverso sono invece le analisi del voto da parte di vincitori e vinti. I commenti dei vincitori non si discutono. Anche perché la premier in pectore, Giorgia Meloni, sta continuando a dimostrare di essere un passo avanti a tutti, parlando con pacatezza. Forse per tranquillizzare le piazze estere e gli investitori con lo spread già salito a 250.

I vinti invece confermano che in Italia non ci sia la cultura della sconfitta. Sembra di assistere a conferenze stampe di allenatori. C’è chi si dimette, chi non si dimette, ma tutti che danno la responsabilità di quanto accaduto ad alleati, all’astensionismo, o ad altro. Nessuno che si assuma le proprie responsabilità. Mi piacerebbe che un allenatore di calcio, così come il segretario di partito, che sia di una singola sezione di Paese che sia il segretario nazionale, difronte a un risultato al di sotto delle aspettative dicesse: “ho sbagliato! E mi assumo tutte le conseguenze”.

In ogni caso, di fronte alla sconfitta, elettorale o calcistica, si cambia. Il problema è: come si mettono in atto i processi di cambiamento nei partiti?

Nel calcio spetta al gruppo dirigente o alla proprietà. Ma nei partiti? La proprietà dovrebbe essere quella degli iscritti. Nei primi esperimenti di partito liquido, quello voluto da Veltroni, a scegliere il gruppo dirigente erano addirittura gli elettori.

Ora il problema è che non esistono più i partiti di massa. I partiti sono in mano a pochi iscritti. Per lo più coloro che sono attivi, sono quelli che svolgono un ruolo a iniziare dal consigliere comunale o municipale. Qualche giovane. Qualche pensionato. Ma la gran parte degli iscritti non partecipa. Si fa fatica anche a trovare le persone per l’organizzazione delle tradizionali feste di partito. Quando avevo 18 anni e iniziavo a frequentare le feste dell’Unità, il pomeriggio le donne e gli uomini si ritrovavano in cucina a preparare i tordelli, i muscoli ripieni. Qualche anno fa, ho scoperto che i tordelli (un raviolo con ripieno di carne tipico della mia zona) li prendevano da un fornitore.

Manca la partecipazione. I partiti sono diventati sempre più autoreferenziali. Anche per questo è aumentato il numero delle persone che non vota.

Anche per questo il voto è così fluido. Nel 2013 il PD era il primo partito con il 25,4% che raggiunse il 40% nelle europee di un anno dopo. Ma nel 2018 il primo partito fu il nascente Movimento 5 stelle con il 28,1%, nelle europee del 2019 fu la Lega a raggiungere il 34,3%. E oggi abbiamo Fratelli di Italia al 26%. Negli ultimi 10 anni, solo il PD è arrivato due volte primo, per poi lasciare la leadership a tre diversi partiti.

Questo dovrebbe anche tranquillizzare i perdenti e coloro che sono preoccupati di una deriva autoritaria. Senza contare le elezioni amministrative che si svolgono tutti gli anni ma che hanno delle dinamiche differenti, le prossime elezioni europee, quelle che daranno un po’ il polso della situazione, ci saranno tra poco più di un anno. Vedremo chi le vincerà.

Ma torniamo al cambio della leadership. Chi sceglierà il nuovo segretario del PD? Gli stessi che hanno scelto Letta, e prima di lui Zingaretti, Renzi, Bersani e così via. Anzi. Saranno sempre meno, e saranno sempre più legati a chi occupa un posto di potere (nella sua accezione sia positiva che negativa).

La stessa cosa vale per la Lega: a scegliere il successore di Salvini, saranno gli stessi che lo hanno eletto.

Una mia amica, in un post, oggi ha scritto che forse sarebbe stato opportuno cambiare Paese. Le ho risposto: più che cambiare Paese, cambia il Paese. È una delle tante under 35 delusa dal voto, dall’astensione. Una persona che nel suo piccolo è attiva per cambiare il Mondo. La domanda che mi faccio e le faccio, e che rivolgo a tutti i ragazzi che oggi non si riconoscono nell’attuale classe dirigente politica: state, stiamo facendo abbastanza?

La partecipazione dei giovani alla politica è sempre minore, e, come conseguenza, abbiamo un forte disinteresse della politica verso di loro, che votano e partecipano meno. Sono molto più interessanti i pensionati che votano di più, e cambiano meno il loro voto.

Solo attraverso la partecipazione alla vita politica della propria comunità si possono attivare processi reali di cambiamento. Come direbbe Gaber: la libertà è partecipazione!

 

Giacomo Zucchelli

Foto © Open, Facebook

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Giacomo Zucchelli
Giacomo Zucchelli, classe 1973, laureato in sociologia dell’organizzazione, del lavoro e dell’economia. Svolge la sua professione di formatore e consulente per le risorse umane in Toscana. Negli anni ha approfondito le tematiche della comunicazione relazionale, ha realizzato ricerca sociali legate alle relazioni tra gli individui con un’attenzione particolare alle ultime generazioni. Da sempre interessato alla politica e alla sua relazione con la vita reale

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