“Bones and All”: le ossa e tutto il resto

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Bones and All

Il film che racconta la fuga dal conformismo facendo i conti con la propria identità

Il 23 novembre è uscito nelle sale cinematografiche italiane l’ultimo film di Luca Guadagnino, “Bones and All“. Presentato alla 79ª mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ha avuto successo di pubblico e di critica, ha vinto il Leone d’argento per la regia e il Premio Marcello Mastroianni miglior attrice esordiente (a Taylor Russell). È stato definito un film scioccante, efficace e raccapricciante, dove si mescolano romanticismo e sangue, vitalità e malinconica violenza, elogio della difformità e male di vivere.

Cannibalismo metafora della diversità

Il titolo è una potente frase gergale che potremmo tradurre come “Le ossa e tutto il resto” a indicare un pasto completo: il film racconta infatti di due teenager americani condannati a vivere ai margini della società perché cannibali. È una storia d’amore in erba ambientata negli anni 80 tra la diciottenne Maren (Taylor Russell) e l’efebico Lee (Timothée Chalamet), adattata dal romanzo Fino all’ossodi Camille DeAngelis.

Maren è stata abbandonata dal padre spaventato dalle sue pulsioni: la sua condizione non è una scelta ma un istinto naturale che non può dominare e controllare. La ragazza fatica a fare i conti con la sua natura e cerca di sopravvivere ai margini della società. Prende crudelmente coscienza di sé dopo l’incontro con l’anziano vagabondo Sally (Mark Rylance), strepitoso e inquietante, che condivide con lei la medesima condizione. Inoltre, incontra Lee, un bravo giovane solitario e dall’animo combattivo che le farà scoprire l’amore.

Viaggio alla scoperta di se stessi

La vita dei due ragazzi è segnata da una mancanza: per Maren quella della madre, per Lee quella della sorella e per entrambi la mancanza del calore della famiglia. Sono due adolescenti problematici costretti a convivere con un segreto che li opprime e li sovrasta. Amanti disperati, perdenti, emarginati che fuggono dall’ordinarietà, cercando di trovare il loro posto in un mondo che non riesce a tollerare la loro natura, alla ricerca di identità e bellezza.

Nel loro viaggio on the road cercano di mangiare chi sta già morendo di morte naturale o chi non sembra la migliore delle persone. I veri malvagi, veri mostri sembrano altri cannibali, in particolare quelli che scelgono il cannibalismo per vizio e per mero piacere e non per natura, sopravvivenza e necessità.

Il problema etico del mangiarsi (un atto anche erotico del finale del film) e del mangiare altre persone perché non se ne riesce a fare a meno diventa terreno di confronto e scontro tra i due ragazzi. Che vogliono solo portare avanti la loro storia d’amore, vogliono solo un futuro. Entrambi sono cannibali in cerca di un posto nel Mondo e dovranno trovare la propria “tana” in loro stessi imparando ad amare e ad amarsi.

Un film di denuncia

Il film è un “non horror” denso di passione, inquietudine e sentimento. Il cannibalismo più che come espediente horror è usato come allegoria di un appetito per la vita che impone di fuggire dal conformismo e al contempo impone di fare i conti con la propria identità.

Quella descritta nel film è una realtà fatta di mondi chiusi legati tra loro, ognuno dei quali rappresentativo di specificità umane, con propri codici e valori ma dove l’individuo con le sue peculiarità non trova spazio. Infatti Maren e Lee si renderanno presto conto che anche la comunità del cannibalismo risente degli stessi limiti della società ordinaria e che libertà e felicità sono concetti che non esistono nella realtà.

Il film è ricco di simbolismi che raccontano le contraddizioni della società americana dove il diverso è solo e rassegnato a un destino di emarginazione, nonostante l’espansione economica che vive il Paese. È un elegante metafora del disagio della diversità della vita ai margini e della ricerca di identità.

Conquista della libertà di essere se stessi

il regista Luca Guadagnino lavora su temi intimi e profondi mettendo in scena un immaginario in cui il legame con il sangue non è spaventoso né orrifico ma anzi vicino a una condizione di dipendenza di cui vergognarsi.

In un’intervista ha affermato che “Bones and All” «è la storia di due giovani che scoprono che, per loro, non esiste un posto da poter chiamare “casa”. Per questo sono costretti a reinventarselo. Maren e Lee vanno alla ricerca della loro identità in situazioni estreme. Ma le domande che si pongono sono universali: chi sono, cosa voglio? come posso sfuggire a questo senso di ineluttabilità ed entrare in sintonia con qualcun altro? Per quanto mi riguarda, sono sempre stato attratto dalle persone che, forse per scelta, non sono al centro dei giochi. Per me “Bones and All” è la storia di due persone obbligate a vivere ai margini della società. Volevo che le persone chiamassero questi personaggi, li comprendessero, tifassero per loro e non li giudicassero».

 

Veronica Tulli

Foto© Chiamamicitta, Vanity Fair

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Appassionata della vita mi sono dedicata negli anni ai temi della crescita personale, della salute e della sostenibilità, donandomi ai miei cinque figli. Giornalista pubblicista, laureata in Giurisprudenza e in Scienze Religiose, non ho mai tralasciato la mia predilezione per la letteratura, l’inglese e lo spagnolo. E scrivo di tutto ciò per chi, preso da mille incombenze, non ci si può dedicare.

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