Diritti umani, Australia nella lista nera

Tuonano le Nazioni Unite: porre fine all’isolamento dei bambini

0
884
Australia

Parte del Commonwealth, l’Australia non garantisce appieno il diritto dei suoi cittadini. ONU in soccorso dei detenuti, molti i minori

Black list per i diritti umani: questo il posto che potrebbe spettare all’Australia qualora continuasse a non rispettare gli obblighi carcerari. Le Nazioni Unite tengono da tempo il Paese, alcuni suoi Stati in particolare, sotto stretta osservazione.
La scadenza per adempiere agli obblighi del trattato siglato oltre un lustro fa contro la tortura era alcuni giorni orsono, ma i risultati attesi non sono arrivati. L’Australia rischia davvero di essere inserita ai vertici della lista più cupa: quella che vede violati i diritti umani dei propri cittadini.
Non sta, infatti, adempiendo ai propri obblighi in materia di sorveglianza carceraria ai sensi dell’accordo antitortura delle Nazioni Unite.

Il trattato

Si tratta del Protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli disumani o degradanti, meglio conosciuto come Opcat (Optional Protocol Convention Against Torture), ratificato nel dicembre 2017 dal Governo di Malcolm Turnbull. Non applicato dall’Australia, che ha richiesto ben due proroghe della scadenza per adempiere a quanto d’obbligo.

AustraliaOra il mancato rispetto di questi ultimi, registrato il 20 gennaio, implica che un sottocomitato delle Nazioni Unite potrebbe inserire l’Australia nell’elenco di non conformità insieme ad altri 14 Paesi. Alcuni tra questi sono Sud Sudan, Repubblica Democratica del Congo, Azerbaigian, Rwanda, Ucraina.
Tutti macchiati per non aver mantenuto gli accordi, quelli che – per gli australiani – sono oggi azioni mancate, promesse non mantenute. Il commissario per i diritti umani australiano, Lorraine Finlay, sostiene che tale fallimento potrebbe influire gravemente sulla credibilità della Nazione – attualmente sotto la lente di ingrandimento per quanto concerne il rispetto dei diritti umani, anche quelli dei bambini – a livello mondiale.

Sarebbe un pessimo segnale dato al resto del Mondo: non solo sull’approccio dell’Australia ai diritti umani, ma anche sul ruolo del Paese dei canguri in termini di sistema internazionale basato su regole.

Opcat

Il trattato internazionale aiuta a proteggere i diritti delle persone in qualsiasi forma di detenzione. Quando i firmatari non soddisfano i requisiti e non rispettano gli impegni si accende la luce di allarme. Ratificando l’Opcat, Canberra ha promesso liberamente di accettare lo stesso tipo di controllo internazionale delle altre 90 Nazioni che hanno firmato il trattato.

L’Opcat, difatti, richiede ai Paesi di istituire un sistema di ispezione e monitoraggio indipendente per tutti i luoghi di detenzione. Questi meccanismi nazionali di prevenzione (NPM) sono progettati proprio per far luce sulle condizioni nei luoghi di detenzione in modo da prevenire maltrattamenti e pratiche abusive.
Se, come accaduto recentemente, non viene assicurato l’accesso alle strutture e ai loro ospiti, salta il sistema. Dati attuali indicano in 42.000 i detenuti nelle carceri di tutta l’Australia, contano oltre 1.300 persone in strutture di detenzione per immigrati e molte altre detenute – con la forza – in ospedali, strutture per anziani, strutture per la salute mentale e per disabili.
Secondo il diritto internazionale umanitario ognuno di questi individui merita che i propri diritti umani fondamentali siano rispettati, indipendentemente dalle circostanze che hanno portato alla loro detenzione. Sono quindi essenziali meccanismi di supervisione efficaci, fondamentali per garantire che ciò avvenga.

Organismi indipendenti

Un elemento fondamentale cui mira l’Opcat è che ciascuna giurisdizione istituisca organismi indipendenti – chiamati meccanismi nazionali di prevenzione – che fungano da watchdog – cani da guardia, e che, con funzioni di sorveglianza, ispezionino le carceri e altri luoghi di detenzione, come le strutture giudiziarie per i giovani, le celle nei commissariati di polizia e le istituzioni di salute mentale.

Questi organismi monitorano le questioni riguardanti i diritti umani e formulano raccomandazioni.

L’Opcat network australiano è, quindi, un gruppo di organizzazioni, accademici e individui interessati all’attuazione del protocollo opzionale.

Un trattato che richiede agli Stati membri di introdurre un sistema di ispezioni regolari in tutti i luoghi in cui le persone sono private della libertà, al fine di prevenire la tortura e altri trattamenti o punizioni crudeli, inumane o degradanti.

Obblighi disattesi

E fu proprio l’Opcat a denunciare, nel 2020, la mancata attuazione degli obblighi dell’Australia ai sensi del trattato. Emersero abusi perpetrati nei centri di detenzione giovanile, l’eccessiva rappresentanza delle persone con discendenza indigena australiana e delle isole dello Stretto di Torres nel sistema di giustizia penale, le morti in custodia, l’uso smodato dell’isolamento nelle carceri. E spesso a pagarne le spese erano, sono, i minorenni. Non è comune argomento di conversazione, ma è bene sapere che in Australia i bambini dai 10 anni in su possono essere incarcerati.
Il trattato è stato firmato dall’Australia dopo che una commissione indipendente aveva messo in luce pecche nella detenzione minorile, scatenata dalle rivelazioni di abusi nel centro di detenzione giovanile di Don Dale. Finlay nelle sue dichiarazioni non fa mistero della reale situazione: soprattutto nell’ambito della giustizia giovanile c’è una profonda crisi a livello nazionale.
Sono numerosi gli esempi di gravi maltrattamenti in centri come il Banksia Hill Youth Detention Center nell’Australia occidentale, l’Ashley Youth Detention Center in Tasmania e il già menzionato Don Dale Youth Detention Center nel Northern Territory. «Questo non è un problema limitato a un solo centro di detenzione giovanile o a un solo luogo. È un completo fallimento del sistema» ha dichiarato in un recente editoriale.

Sotto osservazione

In tutto ciò, New South Wales, Victoria e Queensland – i tre Stati più popolosi – devono ancora designare i rispettivi organismi indipendenti di supervisione e sostengono di non essere in grado di soddisfare i propri obblighi Opcat senza il finanziamento del Governo federale. Secondo Finlay, indipendentemente dai problemi di finanziamento, tutti i Governi hanno l’obbligo fondamentale di prevenire le violazioni dei diritti umani delle persone detenute. Il fatto che tale aspetto debba essere sottolineato indica la scarsa attenzione e il mancato rispetto delle più elementari regole in ambito di custodia penale.
I portavoce dei tre Governi statali riferiscono intanto che è in corso una discussione in merito con il Commonwealth, costituito nel 1949. I suoi 56 membri non hanno infatti obblighi reciproci, ma aderiscono alla Carta che definisce alcuni valori comuni fondamentali – core beliefs – come la democrazia, i diritti umani, la non discriminazione, la libertà di espressione, la separazione dei poteri.
La Carta, inoltre, riconosce in maniera precisa i bisogni sia degli Stati più piccoli che di quelli ritenuti fragili, cui si dovrebbe dare supporto qualora fossero in difficoltà. Si spera quindi che qualcuno metta mano al portafogli e sostenga economicamente le realtà che, altrimenti, non allocherebbero risorse per rendere più dignitosa la vita di chi deve scontare una pena.

“Cani da guardia” a garanzia dei diritti

Alice Jill Edwards, australiana, è dall’agosto 2022 il settimo – la prima donna – a ricoprire il ruolo di Relatore speciale delle Nazioni Unite sulla tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.

AustraliaNell’ambito del suo mandato, il sottocomitato delle Nazioni Unite per la prevenzione della tortura può effettuare visite senza preavviso a tutte le strutture di detenzione e svolgere colloqui privati con persone private della libertà. Gravissimo il fatto che, lo scorso ottobre, lo stesso abbia dovuto interrompere il viaggio in Australia dopo che il Governo del New South Wales – NSW aveva impedito ai funzionari di ispezionare le sue carceri con un dietrofront dell’ultimo minuto. Come accaduto nel Queensland, che ha inibito l’accesso della delegazione alle strutture per la salute mentale grazie a una modifica alla legge dello Stato.

A poco sono servite le giustificazioni del senatore David Shoebridge, segretario del dipartimento del procuratore generale federale del NSW, che si è percosso il petto nel dire di essersi esposto personalmente affinché gli ispettori avessero accesso illimitato alle carceri statali.
A seguito delle recenti – e tristemente gravi – vicende, Edwards è voluta intervenire per rafforzare un messaggio di speranza. «Sappiamo, dalla lunga storia nella lotta contro la tortura, che i watchdogs (in italiano cani da guardia, ndr), che visitano spontaneamente o regolarmente i detenuti possono parlare con loro, assaggiare il cibo, visionare la condizione delle celle». Il loro orientamento è prevenire la tortura e altri maltrattamenti.

Dichiarazioni ufficiali

Per inciso, è opportuno ricordare che l’ispezione per la prevenzione della tortura da parte di uomini e donne del sottocomitato è una condizione basilare della convenzione sui diritti umani ratificata dall’Australia nel 2017. La visita di 12 giorni, programmata per il 2020, è stata ritardata a causa delle limitazioni dettate dalla pandemia e riprogrammata tra il 16 e il 27 ottobre 2022. Katherine Jones, segretaria del dipartimento del procuratore generale che sta approfondendo l’accaduto, ha tuttavia dovuto sottolineare di «non essere stati informati, prima della visita, che il NSW non avrebbe ammesso l’accesso alle ispezioni del sottocomitato». La comunicazione arrivò difatti bruscamente e solo il giorno stesso dell’arrivo della delegazione.
Il responsabile in capo di quest’ultima, Aisha Shujune Muhammad, formata da 4 membri, ha affermato invece che l’ostruzionismo del NSW nei confronti degli ispettori era «una chiara violazione da parte dell’Australia dei suoi obblighi» ai sensi della convenzione. In base al trattato, infatti, gli Stati e i Territori devono consentire al comitato di visitare i luoghi di detenzione. La delegazione aveva programmato di condurre visite a sorpresa alle strutture carcerarie statali, territoriali e del Commonwealth durante il suo tour.

Popolazioni indigene

Nel suo World Report 2023 recentemente pubblicato, Human Rights Watch ha evidenziato un altro aspetto. Il trattamento dei richiedenti asilo e dei rifugiati e la continua sovra rappresentazione delle popolazioni indigene nel sistema di giustizia penale sono questioni chiave in Australia.
Il Paese, non bastasse quanto sinora riportato, ha qualcosa d’altro da farsi perdonare. Almeno da una parte dei suoi cittadini. Infatti, il Comitato delle Nazioni Unite per i diritti umani – Unhcr sostiene che Canberra abbia violato, con la sua inazione in ambito di lotta ai cambiamenti climatici, il loro diritto di godere della propria cultura e di essere liberi da interferenze arbitrarie con la vita privata, la famiglia e la casa.
Il danno compiuto al clima è al centro del dibattito tanto quanto quello dei diritti negati alle persone detenute: l’Australia non ha avviato azioni di prevenzione primaria e secondaria in nessuno dei due ambiti. Ora una pausa. Si riunirà solo a febbraio il sottocomitato che discuterà le date della sua visita alle strutture penitenziarie australiane e il suo destino. Ex colonia britannica, sarà considerata da Re Carlo III piccola e vulnerabile e quindi bisognosa di aiuto? Il sovrano ha certamente altri grattacapi, ma questa è un’altra storia.

 

Chiara Francesca Caraffa

Foto © Time for Africa, Human Rughts Watch, AgenSir, Associated Press

Articolo precedenteUn giornalista virtuale: rischio o opportunità?
Articolo successivoSalute: scegliendo saggiamente si può vivere meglio
Chiara Francesca Caraffa
Impegnata da sempre nel sociale, è Manager del Terzo Settore in Italia, ove ricopre ruoli istituzionali in differenti Organizzazioni Non Profit. Collabora con ETS in Europa e negli Stati Uniti, dove promuove iniziative per la diffusione della consapevolezza dei diritti della persona, con particolare attenzione all'ambito socio-sanitario. Insegna all'International School of Europe (Milan), dove cura il modulo di Educazione alla salute. Cultrice di Storia della Medicina e della Croce Rossa Internazionale ed esperta di antiquariato, ha pubblicato diversi volumi per Silvana Editoriale e per FrancoAngeli.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui