Falcone: «Io sono segnato nel “libro dei cattivi”»

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Nel trentunesimo anniversario resta indelebile il ricordo di quel giorno che di fatto cambiò il volto dell’Italia

23 Maggio 1992, Giovanni Falcone, Francesca Morvillo (moglie e magistrato), Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro (scorta) perdono la vita in un terribile attentato.

Sono le 17 e 56 minuti quando i sismografi dell’Osservatorio geofisico di Monte Cammarata, in Sicilia, riportano una forte onda d’urto. Non si trattava di un terremoto ma di una potente esplosione.

Giovanni Falcone, in quel periodo, sotto la guida di Antonino Caponnetto, lavorava al Maxiprocesso contro Cosa Nostra che portò all’arresto di quasi 500 mafiosi. Meticoloso e preciso il suo metodo differenziava da quello utilizzato fino a quel momento. In quegli anni i mafiosi venivano portati in tribunali per singoli episodi e quasi sempre assolti. Già nel 1979 aveva perso la vita il commissario Boris Giuliano, della squadra mobile di Palermo, facente parte del team di Falcone. E negli anni Ottanta con un’autobomba si erano presi la vita del diretto superiore, il capo dell’Ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici.

Era Totò Riina il principale obiettivo del magistrato, all’epoca capo indiscusso del potere criminale. Ex contadino di Corleone governava la “cupola“, nome utilizzato per indicare il vertice dei boss siciliani, dopo aver assassinato tutti i capi delle cosche rivali. Condannato più volte sperava in assoluzioni grazie agli agganci politici ma in realtà non gli servirono perché rimase in prigione. Questo non gli impedì di dirigere tutto anche da dietro le sbarre dichiarando guerra allo Stato. Falcone era ai primi posti della sua lista nera. «Prima o poi ‘ni n’am’a nesciri», «prima o poi ne dobbiamo uscire». Ma a volerlo far sparire non era solo Riina ma anche personaggi politici e colleghi. Le accuse da parte dei suoi “vicini” riguardavano la ricerca di notorietà, la fama e la carriera. Ma poteva mai mettersi contro la mafia per queste motivazioni?

Il 1988 segna un’altra data fondamentale. Caponnetto lascia Palermo e il pool. Giovanni Falcone sembra essere il diretto successore, dato che tutte le indagini le avevano svolte insieme. E invece la nomina va un collega più anziano formalmente più titolato di lui in un sistema, quello della magistratura, in cui si avanza con l’età. Il primo atto che fece fu smantellare la squadra che si occupava delle inchieste della mafia.

Da quel momento Falcone iniziò ad essere isolato tra i suoi stessi colleghi e Cosa nostra sferrò il primo attacco. Durante l’estate, tra gli scogli vicini alla villa al mare che Falcone e famiglia avevano affittato per le vacanze, vengono ritrovati cinquanta candelotti di dinamite. L’intenzione era farli esplodere non appena il magistrato, si fosse concesso un bagno. L’attentato fallì soltanto perché il sicario, il giovane figlio di un boss legato ai Corleonesi, perse il telecomando in mare.

Quel giorno Giovanni Falcone inizio a capire che la sua vita era seriamente in pericolo. «Io sono segnato nellibro dei cattivi” e la condanna nei miei confronti è stata emessa da tempo», dichiarò al Corriere della Sera il giorno dopo il fallito attentato.

«So quello che mi aspetta», dichiarò, «e mi sento come uno che si sta tuffando in un mare in tempesta. Ma c’è un fatto che mi consola, il nuoto è il mio sport preferito».

Nel 1991 accetta il trasferimento a Roma diventando il direttore generale dell’Ufficio affari penali. Ormai viveva protetto da una scorta che non lo lasciava mai, auto blindate, sorveglianza di elicotteri, si era illuso di poter continuare il suo lavoro. Quindi, crea una super-procura nazionale, organismo volto a combattere le grandi organizzazioni criminali. Nacque, dunque, la Direzione nazionale antimafia (Dna) che coordinava le procure e la Direzione investigativa antimafia (Dia).

Venerdì 23 maggio 1992 Falcone e sua moglie atterrano a Punta Raisi, dove ad attenderli ci sono le tre auto della scorta. FalconeMa in Città non ci arrivarono mai. Giovanni Brusca e i suoi complici avevano individuato un cunicolo di scarico che passava sotto l’autostrada. Nella notte lo riempirono con 500 chilogrammi di tritolo. L’esplosione sollevò centinaia di metri di asfalto e la Strage di Capaci resterà nella storia.

A pagare per quelle morti furono solo alcuni mafiosi ma in realtà rimane il dubbio che l’ordine di uccidere il magistrato provenne anche dai politici di allora. Un accadimento sulla quale ancora oggi c’è poca chiarezza e lo smarrimento dell’agenda rossa ne è un campanello. Giovanni Falcone, da quando aveva capito che la sua vita era in pericolo, aveva versato tutti i suoi pensieri e appunti, meticolosamente, su quell’agenda. Molteplici testimoni a lui vicino dichiararono che non se ne separava mai. Eppure non venne rinvenuta sul luogo dell’incidente.

Trentunesimo anniversario

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per commemorare questo giorno, ribadisce che la lotta alle mafie “continua con impegno e sempre maggiore determinazione”. Ha sottolineato che “magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno demolito la presunzione mafiosa di un ordine parallelo, svelando ciò che la mafia è nella realtà: un cancro per la comunità civile, una organizzazione di criminali per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità. Può essere battuta ed è destinata a finire”.

Il premier Giorgia Meloni, impossibilitata a raggiungere Palermo a causa del Consiglio dei ministri per l’emergenza in Emilia Romagna, ha deposto una corona di fiori come simbolo nel parco intitolato ai Giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, nel quartiere Montagnola a Roma. «Trentuno anni fa ero una quindicenne, sconvolta dall’efferatezza di quella stagione di stragi mafiose. Scelsi di impegnarmi in politica perché lo vidi come lo strumento più utile per fare qualcosa, per non rimanere con le mani in mano. L’ultimo arresto quello di Matteo Messina Denaro è la testimonianza dell’impegno instancabile di tanti uomini e donne delle Istituzioni».

 

Ginevra Larosa

Foto © Antimafia Duemila, Wikipedia, Palazzo Chigi

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