Berlusconi e la politica italiana

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Berlusconi

Apologia di Berlusconi e del Berlusconismo scritta da chi non è mai stato berlusconiano

Ad 86 anni si è spento Silvio Berlusconi, l’uomo che ha cambiato la politica italiana e non solo. Ha rappresentato, e continuerà ancora a rappresentare la persona più divisiva ma anche più rappresentativa dell’Italia. Nessuno come lui ha saputo incidere e cambiare il mondo della politica, dell’economia, della cultura, del costume, dello sport. Nemmeno Gianni Agnelli.

In tanti lo hanno ammirato, invidiato, odiato, amato, preso come esempio

In ogni settore dove è passato, ha lasciato il suo marchio, ne è diventato protagonista. Magari ricorrendo, talvolta, a vie traverse. Appunto, da stereotipo dell’italiano medio, che cerca sempre la scorciatoia. Per questo piaceva. Perché Berlusconi era il self made man italiano, era uno di noi.

Dopo gli intoccabili della prima repubblica, Berlusconi ha portato l’uomo qualunque al potere. L’uomo comune con i suoi difetti e i suoi pregi. Sempre circondato da belle donne, amante del divertimento, della battuta, specie se quella sessista e un po’ greve, in grado di mettere sempre in difficoltà l’avversario, ma di coccolare l’amico. Rancoroso, ma anche riconoscente.

Soprattutto un vincente

Ha costruito un impero immobiliare, poi televisivo, calcistico e politico. Le vittorie sono sempre state superiori alle sconfitte. Soprattutto dal punto di vista comunicativo.
E, forse, è proprio nella comunicazione che ha lasciato il segno più profondo. Studiata, nulla lasciato al caso, come la calza di nylon sulla telecamera, nel 1994, per il video che annunciava la sua discesa in campo. Inventore dei filtri con almeno vent’anni d’anticipo. E anche quel modo di dire: discesa in campo. Ha trasformato la politica da luogo alto, inarrivabile, a luogo per tutti.

In quegli anni la politica stava diventando da professione dei migliori, a professione di malfattori. Il politico era un ladro, un approfittatore, un farabutto. La sua entrata, pur essendo ben evidente il suo grandissimo conflitto di interessi (che non fu mai risolto né da lui, né dai suoi avversari quando ne ebbero l’occasione), fece diventare la politica come un’aspirazione per tutti. Non serviva più essere legati a dei valori o a delle ideologie, sebbene il suo richiamo all’anticomunismo sia sempre stato uno dei cavalli di battaglia. Non a caso Forza Italia parte da Publitalia80 e non da scuole ideologiche. Per aver successo, bastava saper comunicare, essere credibili, non avere dei valori comuni.

E il suo modo di fare, da venditore di fumo, un po’ come il Totò che cerca di vendere la fontana di Trevi, lo rendeva simpatico. Non lo si può negare. Lo dimostrano i risultati elettorali che dal 1994 al 2013 l’hanno sempre visto primeggiare, prima che certe manie di megalomania lo portassero a una deriva di onnipotenza da non temere il giudizio etico e morale: convinto che circondarsi di ragazze molto più giovani di lui, ormai ultrasettantenne, non potesse intaccare la sua fama di riferimento dell’uomo medio, ma anche della donna media.

O lo amavi o lo odiavi

Divisivo, sempre. Ma il successo attira sempre più consensi che critiche. Nell’economia, nella televisione, nel calcio e poi nella politica. Precursore, sempre. E non solo per gli italiani, ma divenne modello anche per altre realtà: dalla Francia con Tapie e il suo Marsiglia, fino a Trump o Bolsonaro, ma anche Putin. Ma nessuno è riuscito ad arrivare dove è arrivato lui.

E poi c’erano quelli che lo odiavano, che gli rimproveravano di essersi impadronito della politica, così come aveva fatto con il calcio, quando comprava tutti i giocatori più forti, pur sapendo che in campo ne scendevano solo 11, ma lo faceva, anche, per indebolire gli avversari. E l’avversario, in politica l’ha sempre indebolito, tanto che i vari Nanni Moretti, al di là di affibbiargli il nomignolo di turno, se la prendevano con i vari D’Alema, incapaci di dire “qualcosa di sinistra” tentati invece di seguire il Cavaliere nel suo campo di battaglia, che era, appunto, quello a-valoriale, della pragmatica, della soluzione semplice, facile, utile, sebbene non sempre efficace specie nel lungo periodo.

La battaglia, contro Berlusconi non è mai stata veramente politica, perché, quando la politica diventa parlare di fumo, le cose dette perdono di significato, e l’elettore, pur sapendo che la bufala del “milione di posti lavoro” è, appunto, una bufala, preferisce quella soluzione a chi promette, invece, lacrime e sangue (mentre il parlamentare il suo bello stipendio se lo portava a casa).

La battaglia è sempre stata giudiziaria

Dal conflitto di interessi, alla legge Mammì, ai rapporti con la mafia, ai falsi in bilancio. I primi a far cadere Berlusconi, non furono i parlamentari, ma i giudici di mani pulite che,Berlusconi dopo aver fatto cadere la prima Repubblica a suon di avvisi di garanzia, fecero cadere Berlusconi consegnando un avviso di garanzia mentre, da presidente del Consiglio, presiedeva una riunione del G8. Ma anche qui, i successi o, meglio, i pareggi, per prescrizioni, superano le poche condanne. A dimostrazione di sapersi muovere, bene, anche tra le maglie strette della giurisprudenza.

O meglio, di sapersi circondare dalle persone giuste. Una per ogni ambiente: Confalonieri, Letta, Ghedini, Galliani, tanto per fare alcuni nomi. Questa è stata un’altra sua grande caratteristica. Che in tanti, soprattutto in politica, quelli venuti dopo di lui, non hanno saputo fare. Scegliere i collaboratori. Le presone di cui fidarsi. Valorizzarle. Saper condividere le decisioni e assumersi le responsabilità.

Sarà che la sua formazione era quella dell’imprenditore e non quella del politico, quello che è sceso nell’arena quando, nella sua squadra non c’era più nessun’altro. Che era chiaro, fin da subito chi era il capo. Mentre in democrazia, il capo, non è mai chiaro. È colui che ha il consenso. E il consenso resta se accontenti chi te lo deve dare. Se non lo fai, te lo tolgono. E te lo tolgono quelli che ti stanno accanto, pronti a soffiarti il posto. È accaduto con Prodi e D’Alema, D’Alema e Veltroni, Bersani e Renzi, con Letta e Renzi, con Renzi e gli anti-renziani, ma anche con Salvini e Meloni, o con Conte e Di Maio, Di Battista e Di Maio.

In politica ha segnato un’era

Ha traghettato l’Italia dalla Repubblica dei partiti e delle ideologie, alla Repubblica dei leader personali, individualisti. Oggi non c’è partito, in Parlamento, che non si riconosca prima nel suo leader e poi nelle idee e nei valori: Meloni, Salvini, Renzi, Calenda, Conte. Forse solo il PD, ma perché lì i leader sono talmente tanti che per fare sintesi hanno dovuto andarla a pescare fuori dal gruppo tradizionale.

Quest’era non finisce con lui

La sua morte non pone fine a qualcosa che non sia, appunto, la sua vita. L’Italia andrà avanti, forse finirà Forza Italia, ma non lo stile berlusconiano della politica, in quanto è già stato ben assimilato dai suoi eredi, ossia dalla generazione di politici che si sono formati negli anni del suo successo.

Resteranno invece le ombre, i misteri, i punti oscuri che ci sono dietro ai suoi successi. I dubbi sui suoi rapporti con la mafia, con Putin. Così come tutti gli statisti, gli uomini di Governo e gli imprenditori, si portano con sé i propri segreti e quelle cose mai dette, o per senso del pudore o per senso di Stato.

La sua eredità, quella politica, se la contenderanno in tanti, da Renzi alla Meloni (che sono i più simili per capacità di aggregazione), passando per Salvini e Calenda (che però sono meno simili). Ma anche il Partito Democratico, finita l’epoca dell’antiberlusconismo, potrebbe rinascere in un’epoca di nuove idee e di nuove persone.

 

Giacomo Zucchelli

Foto © TikTok, Repubblica

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Giacomo Zucchelli
Giacomo Zucchelli, classe 1973, laureato in sociologia dell’organizzazione, del lavoro e dell’economia. Svolge la sua professione di formatore e consulente per le risorse umane in Toscana. Negli anni ha approfondito le tematiche della comunicazione relazionale, ha realizzato ricerca sociali legate alle relazioni tra gli individui con un’attenzione particolare alle ultime generazioni. Da sempre interessato alla politica e alla sua relazione con la vita reale

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