Rembrandt, gli aspetti religiosi nella sua pittura

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Rembrandt

In un saggio Steven Nadler illustra il rapporto fra il grande pittore olandese e la comunità ebraica

 

Molte sono le opere di Rembrandt con soggetti tratti dalla Bibbia, Vecchio e Nuovo Testamento. Esempi sono le sue crocifissione e la parabola del figliol prodigo. Ma ciò che interessò il pittore, anche grande grafico, furono le figure tratte dalla Bibbia ebraica sui ritratti di notabili ebrei. Infatti l’Olanda è stato il Paese dei grandi commerci e la comunità ebraica assai numerosa era quella che maggiormente li utilizzava.

Il mondo ebraico

Nel suo saggio “Gli ebrei di Rembrandt”, Steven Nadler documenta i rapporti non sempre facili fra il pittore e i suoi vicini di casa a Vlooienburg, nel cuore del mondo ebraico di Amsterdam. Il professore di Filosofia presso l’Università del Wisconsin-Madison scrive: “All’epoca, il Vlooienburg costituiva il fulcro del mercato artistico e del commercio del legname, nonché il cuore del mondo ebraico di Amsterdam”. E Rembrandt, nelle sue ristrettezze economiche stava al centro di questo microcosmo. L’artista che proveniva da crisi pittoriche e di identità, dopo la scoperta del disegno e della grafica, scopre il mondo ebraico e il ritratto. “Dalla sua scalinata d’ingresso poteva vedere attraverso le finestre della casa di Rabbi Mortera,e dall’ultimo piano si offriva alla sua vista la sinagoga della comunità”.

Il rapporto fra cultura occidentale e ebraismo sarà presentata dal pittore russo Chagall a Parigi, in un contesto culturale diverso ma profondamente umano. E Rembrandt visse in quegli anni la cultura ebraica olandese: “La mattina udiva gli schiamazzi in portoghese dei figli delle famiglie ebree mentre andavano a scuola. Il venerdì pomeriggio poteva sentire l’odore delle pietanze iberiche preparate per lo Shabbat”.

Prima della Lowef East Side di New York, descritta nel cinema di Woody Allen o dell’Est End londinese, ad Ansterdam esisteva una comunità ebraica consolidata nel tempo che influenzerà l’arte e la personalità rembrandtiana. Un viaggio che Nadler, studioso di Spinoza, estende con un campo d’indagine per descrivere la vita dei sefarditi all’indomani del loro insediamento presso lo Zuiderzee: l’assimilazione da parte di una comunità cosmopolita di questa comunità di migranti, oggetto di pregiudizi.

La scoperta di una nuova cultura

Un saggio quello di Nadler che attraverso le analisi dei dipinti,delle incisioni e disegni di Rembrandt riesce ad analizzare la vita sociale e culturale del Secolo d’oro olandese, approfondendo le fondamentali questioni di carattere spirituale, teologico dell’epoca. Il saggio Rembrandtè suddiviso in cinque capitoli: Sulla Breesteaat, Immagini idolatria, Il rabbino infelice, Esnoga e il Mondo a venire. In definitiva Nadler nell’analizzare il quartiere ebraico di Amsterdam e la casa di Rembrandt, che dovette poi lasciare per enormi debiti, è in realtà uno spaccato sul conflitto fra gli ebrei olandesi e il mondo cattolico. Nell’illustrare i ritratti dei ricchi mercanti, Rembrandt riuscì a catturare lo spirito del nuovo mondo economico. In un certo senso fu tutelato da una nuova cultura.

Secondo Nadler: “In Rembrandt gli ebrei tornavano utili specie quali antagonisti al messaggio dei Vangeli. Una visione sugli ebrei reale a scapito dell’invenzione. Incise acqueforti, disegnò e dipinse i suoi vicini di casa ashkenaziti e sefarditi in virtù del loro intrinseco potenziale biblico. Ma anche quando le sue opere traggono origine dell’immaginazione letteraria che dalla vita reale, le figure e i volti in essi delineati si rifanno a conoscenze reali e non a pregiudizi. Il Mosè di Michelangelo ha le corna, quello di Rembrandt no”.

 

Paolo Montanari

Foto © The Collector, UW Madison, MyWoWo

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