Click day per il lavoro domestico, il primo dopo 11 anni

0
418
Lavoro

Per coprire il fabbisogno servono 23 mila quote l’anno contro le 9.500 autorizzate. La stima è del report Family (Net)Work di Assindatcolf, Censis e Centro Studi e Ricerche Idos

 

Il Dpcm in materia di programmazione di flussi di ingresso destina 9.500 quote nel 2023 ai lavoratori non comunitari da impiegarsi nel settore dell’assistenza familiare e sociosanitaria. Una presenza non sufficiente a coprire il fabbisogno aggiuntivo delle famiglie. È questa la previsione contenuta nell’edizione 2023 del RapportoFamily (Net) WorkLaboratorio su casa, famiglia e lavoro domestico”, il nuovo progetto editoriale di Assindatcolf, prodotto in collaborazione con il Censis, Effe, la Fondazione studi consulenti del lavoro e il Centro studi e ricerche Idos.

Nel Rapporto, presentato a Roma a palazzo Rospigliosi, si stima che per coprire il fabbisogno aggiuntivo di manodopera straniera in Italia servano fino a 23mila lavoratori non comunitari l’anno da assumere nei ruoli di colf, badanti e baby sitter, circa 68mila nel triennio 2023-2025, contro le 28.500 unità effettivamente autorizzate nello stesso periodo.

Aiutante tipo

Inoltre viene tracciato un “identikit” del collaboratore familiare: donna (86,4%), di origine straniera (69,5%), di età medio alta. Il 55,6% dei lavoratori domestici ha infatti più di 50 anni, il 21,4% supera la soglia dei 60 e solo il 19,3% ha un’età inferiore ai 40. L’età media delle badanti tende ad essere spostata più verso l’alto, rispetto a colf e babysitter: il 35,5% delle prime (contro il 32,9% delle colf) ha infatti tra i 50 e 59 anni, mentre il 26,7% (contro il 16,4% delle seconde) ne ha più di 60. Complessivamente la quota di badanti regolari che ha superato i 50 anni è del 62,2%, mentre tra colf e baby-sitter la percentuale è del 49,3%.

La gran parte dei collaboratori proviene dall’Est Europa: Paesi come Romania, Ucraina, Moldavia, Albania contribuiscono a circa la metà (51%) dell’occupazione domestica italiana. A seguire, circa il 14% dei lavoratori è originario dell’America Centro Meridionale, il 14% viene da Paesi Asiatici, a esclusione delle Filippine da dove arriva il 10,6% dei collaboratori, mentre dall’Africa il 9,6%.

Nazionalità diverse età diverse

Guardando alle aree geografiche in riferimento all’età dei collaboratori domestici si scopre che quelli provenienti dall’Europa dell’Est presentano un’età media molto elevata: il 35,4% ha tra i 50 e 59 anni, il 28,3% più di 60, per un totale del 63,7% con più di 50 anni. Tra le altre nazionalità tende invece a essere più bassa, segno del ricambio in atto negli stessi bacini di reclutamento del lavoro domestico. Tra i collaboratori provenienti dai Paesi africani il 41,7% ha meno di 40 anni e la quota di over 60 è molto bassa (6,8%). Presentano un profilo giovane anche i lavoratori asiatici: il 33,7% ha meno di 40 anni, il 29,1% tra i 40 e 49 anni e il 37,2% più di 50, ma ad esclusione dei filippini, dove la quota di over 50 è più elevata, arrivando al 54,4%.

Procedure troppo complicate

«Il tema dell’innalzamento dell’età dei lavoratori domestici rappresenta oggi una delle maggiori criticità» dichiara il presidente di Assindatcolf, Andrea Zini. «L’imminente Lavorouscita dal mercato del lavoro di molti collaboratori, a fronte di un ricambio che resta limitato e non sufficiente a colmare il fabbisogno, è destinato ad accrescere le difficoltà che le famiglie già incontrano nel reclutamento del personale destinato all’assistenza in casa. Per questo motivo la programmazione dei flussi diventa uno strumento fondamentale a cui, però, servono dei correttivi. Non solo allargando le quote e ridefinendo il meccanismo della chiamata, ma anche nella messa a punto delle procedure, oggi troppo articolate per essere gestite dalle famiglie».

«Il gap tra ingressi concessi e quelli che servirebbero al comparto domestico, secondo quanto annunciato dal premier, si colmerebbe agevolmente con gli ingressi irregolari già presenti sul territorio italiano. Non si comprende tuttavia come questi potenziali lavoratori possano dimostrare il proprio livello di professionalizzazione senza essere regolarizzati in tempi brevi anziché essere detenuti nei Cpr e come possano, d’altro canto, formarsi senza un investimento in tal senso», afferma Luca Di Sciullo presidente di Idos e, in quanto alla possibilità di accedere regolarmente in virtù del decreto flussi attraverso piattaforma online il 4 dicembre, aggiunge: «Un modo di istituzionalizzare un sistema irrisorio di persone bisognose di lavoro. Il click day è una vergogna».

Una questione politica

A questo proposito interviene Stefania Congia, direttrice generale Dg Immigrazione del ministero del Lavoro: «Occorre un cambio di visione. Un Paese che incentiva il lavoro, incentiva anche la natalità. Serve un welfare pensato appositamente per la cura, essenza della famiglia. Il lavoro materiale non è di serie B, pretende diritti e dignità, in quanto contributo fondamentale al sistema Paese che non può e non deve reggersi su meccanismi paraschiavistici. Il click day è un mezzo discusso e discutibile. Il sistema è complesso e il testo del decreto flussi è frutto di una sovrapposizione di interventi non ordinati. Mettere mano al testo è una sfida di natura politica non semplice. Occorre molto coraggio: su questi temi si perdono o si vincono le elezioni».

Un vero e proprio investimento

In effetti, incredibile a dirsi, ma quella contenuta nel Decreto flussi, ad oggi, è l’unica vera novità che riguarda il lavoro domestico, poiché nessuna altra misura di sostegno è stata prevista nei recenti provvedimenti approvati da Governo e Parlamento, a cominciare dalla Legge di Bilancio, che non affronta le grandi problematiche di cui il comparto soffre, come il lavoro sommerso e le difficoltà economiche delle famiglie a sostenere il costo del personale. Eppure la questione non è solo economica se pensiamo ai nodi sociali irrisolti del Paese come la disoccupazione femminile, il processo di denatalità, il divario di genere, l’accoglienza e l’inclusione dei lavoratori stranieri come vero e proprio investimento sociale del sistema di welfare.

Per promuovere un cambiamento di logica occorre davvero un salto culturale promosso da politiche lungimiranti e attive. È quanto auspicato nell’incontro dialogico di associazioni, Ong, istituzioni locali e parti sociali voluto al Nazareno da Elly Schein e coordinato dalla dinamica Marta Bonafoni: a partire dai variegati interventi tra cui Gianfranco Schiavone di Asgi, Flavia Musicco di Refugees Welcome, Giulia Capitani di Oxfam, Giorgia Linardi di Sea Watch, la voce è davvero univoca: urgente affrontare i flussi migratori come strutturali e non emergenziali e soprattutto garantire accoglienza, integrazione e inclusione, verso un percorso reale di cittadinanza. E che sia attiva e partecipata da tutte e tutti gli studenti e i lavoratori con un trascorso migrante, che siano a tutti gli effetti italiane e italiane già di oggi. E del futuro.

 

Eleonora de Nardis

Foto © Chiesa di Milano, Hagar Singapore

Articolo precedenteCarracci ConservArt, studio e dati inediti della Galleria
Articolo successivoL’emergenza globale? Proteggere i minori nelle guerre
Sociologa delle relazioni internazionali, giornalista professionista, scrittrice, attivista per i diritti civili e le pari opportunità. Mi occupo di linguaggio, donne, politiche migratorie, bias e gender. Scrivo su varie testate tematiche e lavoro come ufficio stampa free lance. Vivo a Roma con i miei tre figli.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui