Le incognite istituzionali nell’Irlanda del nuovo boom economico

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Il Fine Gael resta al timone, ma il Fianna Fáil torna al centro della scena, le contraddizioni emergenti nella repubblica impediscono ai due maggiori partiti di rimanere autosufficienti

Al termine di due mesi di trattative tra le forze politiche, secondo le previsioni più ottimistiche entro mercoledì 4 maggio dovrebbe nascere il nuovo governo della repubblica d’Irlanda. In questo fine settimana il Fianna Fáil (il più votato tra i partiti d’opposizione) si è impegnato a permettere l’approvazione di almeno tre bilanci, evitando voti di sfiducia fino al settembre del 2018. Oggi, lunedì 2 maggio, il Fine Gael si sta consultando con i deputati indipendenti per formare un esecutivo di minoranza, per il quale avrà bisogno di alcuni dei candidati eletti senza partito e di qualcuno dei partiti minori come Laburisti, Social Democratici e Verdi. Sebbene l’esecutivo uscente (Fine Gael e Labour) non abbia mai messo sostanzialmente in discussione le basi del welfare irlandese, i liberali del FG dovranno sterzare a sinistra. La maggior parte dei candidati indipendenti sono contrari a tagli alla spesa pubblica (mentre il FG insiste su altri tagli alle tasse).

DSC_0232Nonostante si preveda qualche forma di appoggio da parte di Social Democratici (cresciuti per il dissenso all’alleanza del Labour col Fine Gael) e Verdi, i numeri resteranno risicati. In condizioni normali per formare un governo servirebbero almeno 79 rappresentanti, ma il Fine Gael sia pure con l’aggiunta di indipendenti – non è ancora chiaro quanti – resterebbe al di sotto di 60 deputati, perciò serve una sorta di tregua con l’altro grande partito, il Fianna Fáil (le ipotesi di grande coalizione sono naufragate). Favoriti nella corsa al consenso saranno i due maggiori partiti di opposizione: appunto il FF (tornato durante gli ultimi cinque anni a contare su dimensioni simili a quelle dell’attuale FG, da cui era stato eclissato nel 2011) e lo Sinn Féin. Infatti il Fianna Fáil, nato dalla guerra civile del 1922-1923 come gruppo repubblicano per l’unità dell’isola (e divenuto nei decenni successivi un partito centrista a difesa del welfare) terrà in vita il governo del suo avversario storico, il Fine Gael, ma ne attaccherà ogni scelta liberista, evidenziando le concessioni sociali che potrà ottenere muovendosi nel ruolo di opposizione responsabile.

DSC_0364Diverso il ruolo dello Sinn Féin, che pur riscuotendo un risultato deludente (e incassando diffidenza da parte degli altri gruppi radicali come l’Anti Austerity Alliance – People Before Profit) ha comunque costruito nel tempo una forza significativa all’interno dell’area di estrema sinistra. Lo SF promuoverà l’equazione Fianna Fail-Labour-Fine Gael, giocando sull’accordo tra Fine Gael e Fianna Fáil (che in teoria vincolerà quest’ultimo a una opposizione responsabile). Lo Sinn Féin, oggi in bilico tra la tradizione antagonista e il tentativo di accreditarsi come una alternativa nelle istituzioni, è stato scavalcato in molte aree popolari dall’ascesa di gruppi come l’Anti Austerity AlliancePeople Before Profit, che hanno raccolto in modo più diretto la spinta dei movimenti nella scia di Occupy Wall Street nel mondo anglosassone e l’eredità dell’estrema sinistra da sempre forte a Dublino, dove i trotskisti di Joe Higgins hanno conquistato seggi in anni recenti).

DSC_0241Dalla parte del Fine Gael c’è una economia che continua a crescere e che nelle previsioni dovrebbe segnare più cinque per cento quest’anno (dopo le cifre “cinesi” sfiorate nel 2015 con un quasi otto per cento), ma alla necessità di ridare un governo alla repubblica il premier Enda Kenny dovrà sacrificare presto il suo ritrovato ruolo: nel Fine Gael il ministro alla Sanità Leo Varadkar, noto anche per il suo outing qualche anno fa (ben prima del referendum sulla parità dei matrimoni), è ben più popolare di lui e anche il ministro ad Agricoltura e Coste, Simon Coveney ha più consensi, dati ancora più marcati all’esterno del gruppo degli iscritti. Al contrario, Micheál Martin, leader del Fianna Fáil, come ipotetico primo ministro viene nettamente preferito (stando ai sondaggi) rispetto a Enda Kenny il prolungamento della cui esposizione istituzionale e mediatica è interpretato da molti commentatori come una strategia del Fianna Fáil per “cuocere” completamente l’avversario Fine Gael in vista di ulteriori elezioni, suggerite dalla fragilità con cui l’esecutivo sta emergendo.

DSC_0523Contro Enda Kenny soffiano varie correnti, non tutte dovute alle scelte politiche effettuate nei cinque anni giunti a conclusione: è vero che il Fine Gael e il Labour (quest’ultimo colpito molto più duramente dal successo di Social Democratici e indipendenti) hanno implementato tagli alla spesa sociale e accettato vincoli europei, ma in molti casi l’hanno fatto controfirmando cambiali che neppure il Fianna Fail aveva rifiutato, quando la crisi del 2008 trasformò i successi della tigre celtica e del suo allora premier Bertie Ahern in enormi conti da pagare. Nelle politiche del 2011 l’elettorato sradicò letteralmente il Fianna Fáil (partito di centro nazionalista vicino ai lavoratori e per più di mezzo secolo stabile al 40%) da collegi della capitale che erano state sue roccaforti e dove l’ex partito di maggioranza finì in molti quartieri ultimo dopo FG, Labour, SF, indipendenti e partiti minori (come mai era avvenuto in precedenza). Il successo nelle aree popolari urbane andò allora in parecchi casi allo Sinn Féin, sinistra nazionalista da sempre concorrente a rappresentare le stesse fasce sociali. Storicamente Fianna Fáil e Sinn Féin sono definiti “partiti repubblicani” e fino agli anni settanta (pur scontrandosi sempre) condivisero parte della loro retorica, a differenza di FG e Labour, a lungo considerati meno vicini ai temi nazionali.

DSC_0525Nel 2011 soprattutto Fine Gael e Labour crebbero a dismisura, si allearono ed implementarono le misure di austerity: il FG nelle elezioni dello scorso febbraio è stato ridimensionato, ma le fasce alte di reddito in cui è radicato hanno visto risollevarsi le sorti dell’economia, mentre la delusione del settore pubblico (che ha sofferto più a lungo) non ha concesso sconti al Labour, il cui consenso è stato eroso dai più progressisti Social Democratici e dal successo dei candidati indipendenti. Il sistema elettorale irlandese, un proporzionale a collegi (studiato, come i tre voti a disposizione dell’elettore, per consentire la più ampia rappresentatività in un Paese complesso) ha determinato la relativa fortuna del Fine Gael, dimezzato, ma tuttora primo con 50 deputati su 158 grazie alla divisione delle sinistre e al fatto che la risalita del Centro “sociale” del Fianna Fáil si è arrestata a un passo dalla completa riabilitazione elettorale dopo la crisi economica del 2008-2010.

DSC_0234Il Fianna Fáil ha ottenuto 44 deputati, però ha potuto massimizzare il suo peso nel nuovo parlamento, dato che la maggior parte dei 23 indipendenti (altra sorpresa delle elezioni del 2016) e degli altri gruppi avversa il liberismo del Fine Gael. Lo Sinn Féin conta a sua volta su 23 rappresentanti, ma non si allea con nessuno; l’Anti Austerity Alliance-People Before Profit ha incassato 6 deputati ed è vicina a qualcuno degli indipendenti, ma lontana da tutti gli altri partiti. I 3 deputati Social Democratici e i 2 Verdi invece potrebbero entrare nel nuovo governo di Enda Kenny in base a una piattaforma progressista (al di là dell’etichetta di Centrodestra i liberali del Fine Gael – se paragonati alle destre continentali – sono in pratica un partito di centro). I 7 eletti del Labour in opposizione peserebbero pochissimo, ma l’alleanza col Fine Gael si è già dimostrata letale per le sorti elettorali della lista, quindi per ora si stanno tirando fuori. Al Senato, non direttamente elettivo, la maggioranza del Fine Gael non c’è neppure in termini relativi.

DSC_0054Le dinamiche elettorali sfociate nelle elezioni del 26 febbraio sono più evidenti se si guarda alle percentuali di voto, invece che alla proporzione degli eletti, perchè quest’ultima è influenzata dalla concorrenza tra gruppi simili all’interno di singoli collegi (tra Fianna Fáil e Sinn Féin; tra Sinn Féin e movimentisti; tra sinistre e indipendenti) che ha finito per favorire il FG anche se debole nel voto complessivo: Il Fine Gael ha mantenuto la maggioranza relativa con il 25,5%, ma il Fianna Fail lo ha quasi raggiunto con il 24,5%.

I candidati indipendenti (per lo più di estrema sinistra oppure ex centro Fianna Fáil) hanno sfiorato il 18%, arrestando così assieme ai gruppi di estrema sinistra l’ascesa dello Sinn Féin, molto deluso dal suo 14%. Il Labour è crollato al 6,5%, mentre l’Anti Austerity Alliance-People Before Profit e i Social Democratici hanno ottenuto rispettivamente il 4% e il 3%, così come i Verdi, che tornano in parlamento dopo la sconfitta del 2011 dovuta all’alleanza con il Fianna Fáil, in quel frangente associato dagli elettori alla crisi economica nonostante avesse governato per molti anni di crescita. Le cifre della ripresa e i contenuti del patto odierno (ad esempio con il congelamento dell’introduzione della bolletta dell’acqua – causa di tante tensioni di piazza negli ultimi due anni – che più di un terzo degli irlandesi ha comunque rifiutato di pagare temendo progressive privatizzazioni) indicano che il nuovo esecutivo del Fine Gael sceglierà di improntare la seconda fase della crescita economica sulla redistribuzione e sulle spese sociali, piuttosto che sui tagli alle tasse avviati inizialmente (e osservati con sospetto dai partner europei). Il Fianna Fáil sosterrà scelte “sociali”, ammesso che non decida di sfiduciare il governo prima di quanto ha sottoscritto. Lo Sinn Féin dirà che FG e FF hanno determinato la speculazione sugli immobili e sui lavoratori attraverso l’adesione al liberismo e all’austerity. Fine Gael e Labour difficilmente recupereranno voti da un elettorato che li ha congedati per rivederli già al governo: nuove elezioni in tempi brevi sono probabili, ma non è chiaro se il Fianna Fáil riuscirà ad avvantaggiarsene in questo ruolo di opposizione “temperata”.

 

Aldo Ciummo

Foto © Aldo Ciummo

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Aldo Ciummo
Giornalista e fotografo specializzato in questioni del Nord Europa e dell’Unione europea, ha vissuto a lungo in Irlanda. Da free lance viaggia spesso nei Paesi scandinavi e scrive in inglese su testate internazionali, tra le quali “Eastwest”, o in italiano per "Eurocomunicazione" e “Startupitalia". In seguito alla laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Relazioni Internazionali alla Fondazione Lelio e Lisli Basso e Fotografia all’ISFCI a Roma.

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