I vincitori e i vinti delle elezioni in Gran Bretagna

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Il trionfo di Cameron, il flop dei Laburisti, il crollo dei Lib Dem, la delusione dell’UKIP, l’antieuropeismo e il nazionalismo scozzese: ecco cosa accade Oltremanica

L’arrivo della principessina Charlotte, ultima nata in casa Windsor, aveva per qualche giorno messo in secondo piano l’importante appuntamento al quale i sudditi di Sua Maestà sono stati chiamati a metà settimana: le elezioni politiche nel Regno Unito, uno dei principali test elettorali in Europa del 2015, e come tale fonte di trepidazione per le cancellerie comunitarie. Vincitore indiscusso è stato David Cameron (foto), leader conservatore e premier uscente, capace di ribaltare in pieno i pronostici che lo davano, nella migliore delle ipotesi, costretto a dover cercare alleati a Westminster per restare ancora a Downing Street.

Con una mossa rischiosa ma vincente, Cameron è andato a giocarsi la rielezione sul viscido ma non meno fertile terreno dell’euroscetticismo e del contrasto all’immigrazione, che giusto un anno fa gli era costato una sconfitta alle Europee a tutto vantaggio degli antieuropeisti dello UKIP. Il premier è riuscito nell’impresa di togliere i voti sia a questi ultimi, sia agli alleati Liberaldemocratici che ai rivali Laburisti, ottenendo un’inattesa maggioranza assoluta ai Comuni, che permetterà ai Tories di prepararsi al meglio alle sfide che ora li aspettano. A cominciare dal referendum sulla permanenza della Gran Bretagna nell’Ue, asso nella manica della campagna elettorale che sembra aver faccio breccia nell’orgoglio nazionale britannico.

A proposito di orgoglio nazionale, non può sfuggire all’analisi anche l’exploit dei nazionalisti scozzesi dello Scottish National Party, che si aggiudicano ben 57 seggi su 58: una risposta che mostra come la sconfitta al referendum indipendentista dello scorso autunno è stata già assorbita, e che gli “highlanders” faranno ancor più sentire il loro peso politico a Londra.

Nigel FARAGELa carrellata dei vincitori potrebbe continuare con l’UKIP, ma è difficile capire se lo schieramento di Nigel Farage (foto), trionfatore alle Europee 2014, sia tra i vincitori o tra gli sconfitti. Gli indipendentisti hanno senza dubbio vinto dal punto di vista del consenso: prendere oltre il 15 per cento dei voti non è poco per un partito che fino a 12 mesi fa era sconosciuto ai più. Ma tecnicamente hanno perso poichè, nonostante ciò, conquistano in Parlamento solo due seggi. Colpa (o merito, a seconda di come la si veda) del sistema elettorale uninominale britannico, in cui si aggiudica il seggio chi vince anche per un solo voto: l’UKIP ha ottenuto alti consensi proprio nei lì dove i Tories si sono imposti per poco più, e di conseguenza hanno raccolto molto meno di ciò che avevano seminato. A iniziare proprio da Farage, che battuto nel suo seggio da un candidato Tory, ha dovuto abbandonare sia il sogno di sedere ai Comuni sia la guida del partito.

Ed_MilibandE se una vittoria di Pirro ha portato alle dimissioni il leader UKIP, non poteva essere diversamente per Ed Miliband e Nick Clegg, rispettivamente alla guida del Partito Laburista e del Partito Liberal Democratico. Miliband (foto), capo dell’opposizione e dello shadow cabinet, ha pagato l’errore di mostrarsi troppo morbido su questioni dove sia Cameron che Farage hanno dato battaglia, e cioè Europa e immigrazione. Ma soprattutto, il leader Labour ha provato goffamente a presentarsi come il nuovo Tony Blair soltanto attraverso  cravatte indovinate e un’immagine giovane e cool, quando invece sarebbe servito anche l’acume politico con cui Blair nel 1997 riportò la sinistra laburista a Downing Street con un programma ispirato più alla destra thatcheriana che al socialismo europeo.

Suona ancora più amara la sconfitta per il vicepremier liberaldemocratico Nick Clegg, che pure nel 2010 era riuscito a riportare uno schieramento d’ispirazione liberale al governo, forte di un successo elettorale che aveva suscitato le speranze di una rinascita del partito che fu di William Gladstone e David Lloyd George. Un successo che però si è rivelato effimero. Schiacciati dalla svolta conservatrice degli alleati Tories, i Lib Dem hanno pagato a caro prezzo la fedeltà agli ideali europeisti a cui si ispirano: il risultato è stata un’emorragia di voti che li ha portati a perdere ben 49 seggi rispetto a cinque anni fa.

Boris JohnsonSeppur divenuto membro del Parlamento, tra i vinti c’è anche il sindaco uscente di Londra Boris Johnson (foto), che, prestando eccessiva fede alla previsioni di sondaggisti e analisti (altri grandi sconfitti di questa tornata elettorale), già si preparava a sostituire alla guida dei Tories un Cameron dato per perdente. Le ambizioni politiche del biondo ex primo cittadino della capitale (per questo soprannominato “Blond Ambition”) sono state invece ridimensionate dall’inatteso successo del premier: ora a Johnson, uno degli esponenti più in vista della politica britannica, non resta che accomodarsi ai Comuni e attendere il momento giusto per il grande salto, come fu per John Major con Margareth Thatcher nel 1990 e per Gordon Brown con Tony Blair nel 2007.

Infine, tra i vincitori va senz’altro annoverato il maggioritario uninominale secco, grazie al quale Cameron potrà godere di una maggioranza assoluta che gli garantirà un governo stabile. Un sistema elettorale semplice, senza arzigogoli  per sbarramenti e premi di maggioranza, al cui corretto funzionamento però contribuisce da sempre la maturità dell’elettorato britannico, molto più avvezzo (rispetto ad altri) alla logica del “voto utile”.

Alessandro Ronga

Foto © Wikicommons

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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