Alta tensione tra Turchia e Russia: cosa c’è dietro l’escalation militare

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Il “Neo-Ottomanesimo”, progetto geopolitico perseguito da Ankara, si sta scontrando contro il nuovo ruolo di Mosca in Medio Oriente: di qui la recente crisi

In attesa di capire come siano andate le cose al confine tra Siria e Turchia, dove martedì scorso due F-16 dell’aviazione turca hanno abbattutto un Sukhoi SU-24 russo, quanto accaduto lascia spazio a delle riflessioni. Innanzitutto, era necessaria questa azione di guerra tra un membro della NATO e la Russia? Militarmente parlando, assolutamente no: il jet russo colpito non minacciava direttamente la sicurezza della Turchia, che in qualità di membro dell’Alleanza Atlantica dovrebbe stare dalla parte della (sfilacciata) coalizione anti-ISIS. Oltretutto, prendendo per autentici i tabulati forniti da Ankara, lo sconfinamento sarebbe avvenuto per pochissimi chilometri: considerata la velocità a cui si muoveva il Sukhoi in quel momento, lo spazio aereo turco sarebbe stato invaso per non più di 20 secondi, mentre lo Stato Maggiore turco ha parlato di uno sconfinamento durato dieci minuti con cinque tentativi di dissuasione. Qualcosa non torna, a cominciare dalla serie di giustificazioni accampate da Erdogan fin da dopo il “fattaccio”.

E’ dunque chiaro che dietro questo tragico incidente, che pare addirittura cercato, ci sia una motivazione politica. Lo dimostrano tanti aspetti, dalla sfrontatezza iniziale della Turchia fino ad un ruolo decisamente molto più pacato all’indomani del vertice straordinario della NATO di martedì, durante il quale, pare, tra i delegati turchi e alcuni membri dell’Alleanza siano volate parole grosse.

Erdogan, con una mossa che in altri tempi sarebbe stata definita “avventuristica”, ha voluto chiaramente inviare un messaggio a Putin che suona più o meno così: sulla questione siriana la Turchia farà sentire la sua voce. Il “Sultano” è nervoso: per colpa dello Zar, il suo progetto di Neo-ottomanesimo, che avrebbe dovuto trasformare il Medio Oriente e il Nord-Africa in zone d’influenza turche, sta andando in frantumi.  Se nel 2012 Ankara aveva in Egitto il fidato Morsi e vedeva ormai prossima l’instaurazione di una Fratellanza Musulmana anche al posto di Assad, nel giro di tre anni lo scendario è cambiato radicalmente: al Cairo i Fratelli Musulmani sono in galera, spodestati da un golpe del generale al-Sisi che si è ultimamente mostrato molto vicino a Putin, mentre il regime di Damasco è ancora lì, puntellato dai russi e dagli odiati iraniani. E’a questo ambito che va ricondotta l’ambigua politica della Turchia verso l’ISIS, di cui ospitava anche campi di addestramento sul proprio territorio.

E’ evidente che la Turchia veda ora nella Russia il suo principale avversario: dall’Iraq all’Iran, dalla Giordania all’Egitto fino ad Hezbollah, Mosca ha ormai stretto un sistema di alleanze in Medio Oriente che rischia di ridimensionare parecchio i progetti geopolitici di Erdogan.

Alessandro Ronga

Foto © Wikicommons, © European Community

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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