Se l’ “Itexit” arriva nei briefing di Palazzo Chigi

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La scelta di nascondere i simboli Ue nelle conferenze stampa di Matteo Renzi rivela una precisa strategia di comunicazione politica rivolta al referendum di dicembre

Del premier italiano Matteo Renzi si può dire di tutto e il contrario di tutto, ma l’aspetto su cui egli mette d’accordo sostenitori e detrattori è senz’altro la sua abilità di fare comunicazione politica. Il fenomeno-Renzi esplose con tutta la sua irruenza durante la campagna elettorale per le Comunali 2009, quelle che lo portarono poi a diventare sindaco di Firenze: ciò che colpì molti allora fu il suo modo accattivante di comunicare con degli elettori, molto più vicino a quello del Berlusconi dei primordi che a quello un po’radical-chic di Veltroni o allo stile “Festa dell’Unità nella Bassa padana” di Bersani.

Renzi certo non è il “Grande Comunicatore” di reaganiana memoria, ma comunque comunicatore lo è, perchè sa bene il messaggio che può trasmettere una frase, un gesto, un’ espressione, un’immagine in un determinato contesto. E ciò, per chi fa politica nell’era della multimedialità, non è affatto poco. Ecco forse perché da metà ottobre nei briefing che il Presidente del Consiglio e i ministri tengono a Palazzo Chigi la bandiera Ue è scomparsa dallo sfondo alle spalle dei relatori. Dalla Galleria multimediale del sito istituzionale www.governo.it si può osservare come in alcune conferenze stampa il drappo blu stellato che affiancava solitamente il tricolore è stato prima spostato ai lati, così da essere poco a favore di telecamere e fotografi, per poi sparire del tutto in altre, lasciando solo le bandiere italiane ben visibili al centro dello sfondo.

Questo cambio di scenario coincide con le recenti tensioni tra Matteo Renzi e l’Ue sulla questione-migranti e i vincoli di bilancio. Tensioni ancora non rientrate, aggravate anche dall’inatteso strappo sulle nuove sanzioni alla Russia, fortemente volute dalla Polonia e dalle Repubbliche baltiche, e al duro scontro verbale con Varsavia e Budapest sulle reciproche inosservanze dei dettami comunitari. Escludendo un’improbabile svolta antieuropeista del premier, ci troviamo dinanzi ad una ben congegnata strategia di comunicazione politica rivolta a Bruxelles, ma soprattutto all’elettorato italiano in ottica referendum costituzionale.

Pier Carlo PadoanQuelle che verranno saranno settimane decisive per la tenuta dell’esecutivo: i contrari alla riforma della Costituzione sono dati in vantaggio dai sondaggi, ma è pur vero che sono ancora tanti gli italiani indecisi su come votare il 4 dicembre. Renzi ne è conscio e sta muovendo le sue pedine sulla scacchiera, nel tentativo di vincere all’ultima curva. Mostrandosi circondato esclusivamente dal tricolore assieme al ministro Pier Carlo Padoan (si badi: proprio il responsabile dell’Economia, non un ministro qualsiasi), Matteo Renzi parla a nuora perché suocera intenda. Ovvero, vuol lanciare un messaggio chiaro ai palazzi comunitari, che suona come un non totale allineamento dell’Italia verso la posizione europea sull’austerity e sull’emergenza-immigrazione, ma soprattutto, vuol mostrare agli elettori italiani di aver anteposto l’interesse nazionale a quello europeo. Renzi, insomma, ha capito che i vari endorsement giunti dai partner Ue alla sua riforma costituzionale potrebbero costargli la conquista degli indecisi. E corre ai ripari, facendosi riprendere durante gli incontri con i media circondato dalla sola bandiera italiana, come a voler rassicurare che l’Ue non detterà alcun indirizzo politico a Roma. Perché tutto ciò?

Ne è passata di acqua sotto i ponti dal trionfo PD alle elezioni europee del 2014: Renzi allora fu premiato per le sue posizioni europeiste contro l’asse anti-Ue che andava dalla sinistra radicale ai Fratelli d’Italia passando per la Lega Nord e il Movimento 5 Stelle. Poi però sono arrivati i flop alle Regionali e alle Amministrative, che hanno contestualmente rilanciato il fronte euroscettico che si è anche avvantaggiato sia del Brexit, sia di alcune scelte molto discutibili prese a Bruxelles sul tema dell’immigrazione e dei richiedenti asilo, ma anche sul bail-in e sugli accordi commerciali con Canada e Stati Uniti. E su ciò gli schieramenti populisti guadagnano sempre più consensi, attribuendo (a torto o a ragione, non è questo lo spazio per dissertarne) le colpe di una mancata ripresa economica all’Europa e a chi al governo “svende la sovranità nazionale all’Ue”.

Montecitorio plaza- Italian chamber of deputies, Roma

Gli ultimi dati forniti dall’Eurobarometro indicano come gli italiani, una volta i più “euro-entusiasti”, ora siano tra i più “euro-delusi” dell’Unione. Il premier questo l’ha capito, ed è corso ai ripari con una mossa mediatica ad effetto, che sicuramente colpisce l’elettore eurofobico più che quello euroscettico, in maniera maggiore di quanto non faccia un articolo di giornale che parla di uno strappo sul rispetto del rapporto deficit/pil. A Palazzo Chigi, insomma, l’Europa sembra quasi essere diventata un partner ingombrante. E questo fa una certa tristezza, se pensiamo allo spirito di Ventotene, ad Altiero Spinelli, e a quanto l’Italia e gli italiani abbiano contribuito alla nascita di un’inedita struttura sovranazionale, che a quasi sessant’anni dai Trattati di Roma non ha ancora però trovato un ruolo politico definitivo.

Alessandro Ronga
Foto © Palazzo Chigi, European Community

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Alessandro Ronga
Giornalista e blogger, si occupa di Russia e dei Paesi dell'ex Urss. Scrive per il quotidiano "L'Opinione" e per la rivista online di geopolitica "Affari Internazionali". Ha collaborato per il settimanale "Il Punto". Nel 2007 ha pubblicato un saggio storico sull’Unione Sovietica del dopo-Stalin.

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