Generazione Neet: una perdita per l’Europa

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Disoccupati, scoraggiati, malati e genitori: i giovani che non studiano né lavorano lo fanno per ragioni diverse. “Fannulloni” non per scelta, il loro impiego porterebbe crescita economica

Non studiano, non lavorano, non fanno tirocini né corsi professionalizzanti. Sono giovani, fra i 15 e i 29 anni che vengono definiti Neet, “Not in Education, Employment or Training”. Il termine venne usato per la prima volta nel Regno Unito nel 1999 durante il governo di Tony Blair, dal 2010 è diventato sempre più comune di fronte a un problema che acquistava peso e metteva le istituzioni nazionali ed europee davanti a una nuova realtà. Nell’aprile 2013 i Paesi dell’Unione europea hanno approvato il programma Garanzia Giovani, rivolto proprio a inserire i Neet in un percorso. Secondo i dati di Eurostat del 2015, i numeri restano ancora alti: 13 milioni di inattivi negli Stati dell’Ue, una percentuale del 15% circa di chi ha fra i 15 e i 29 anni. Nel sondaggio “Rapporto Giovani 2016” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, l’Italia è il Paese che ne ha di più: circa 2 milioni e 300 mila ragazzi nel 2015 erano a casa senza poter fare nulla. Si tratta del 25-26% di quella fascia di età.

Disoccupati ma non solo: fra i Neet anche i disabili e le giovani madri

EurofoundRispetto al tasso di disoccupazione giovanile, la definizione di Neet è più vasta: oltre ai disoccupati in senso stretto comprende anche chi non cerca più lavoro. Per questo a volte ci si riferisce ai Neet come fannulloni e il termine viene usato in senso dispregiativo. Ma dietro una parola ci sono storie molto diverse. La Fondazione europea per il miglioramento della qualità della vita e delle condizioni lavorative Eurofound ha proposto una divisione dei Neet in sette gruppi. Nel rapporto “Exploring the Diversity of Neet’s” gli autori Massimiliano Mascherini e Stefanie Ledermaier individuano innanzitutto i disoccupati: di lungo e breve periodo, a seconda che non lavorino da più o meno di un anno. Sono ragazzi che cercano un’occupazione e che nelle interviste fatte da Eurofound hanno dichiarato che sarebbero pronti a essere impiegati in due settimane.

Un breve tempo di inattività nella transizione dalla scuola al lavoro può essere considerato normale e il livello di vulnerabilità di queste persone è moderato. Per alcuni Neet che hanno già studiato o lavorato il periodo di nullafacenza è ancora più breve perché presto rientreranno in uno dei due percorsi. Ma se la disoccupazione dura per più di un anno, comincia a danneggiare le possibilità future e il capitale umano. In altri casi, il giovane non cerca lavoro e non è pronto a iniziarlo entro due settimane: una parte dei Neet non può prestare la sua opera perché malato o disabile. Un’altra categoria è composta da chi non è disponibile per responsabilità familiari: chi si sta prendendo cura dei bambini o di adulti inabili. Alcuni rinunciano di propria volontà, altri perché non possono permettersi di pagare qualcuno che si occupi dei loro cari. Gli scoraggiati sono un’altra faccia dei Neet: giovani che hanno smesso di cercare lavoro perché credono che per loro non ci siano opportunità.Eurofound

La composizione dei Neet varia da Paese a Paese: in Italia è più bassa rispetto alla media europea la quota di chi ha problemi fisici, mentre è maggiore quella di chi è disoccupato di lunga durata e di chi è scoraggiato. Secondo lo studio di Eurofound, i Neet nell’Ue sono in prevalenza giovani donne (56%) e con titolo di studio secondario (46%), accomunati dal non riuscire ad accumulare capitale umano e sociale attraverso il lavoro o la formazione. Le persone con un livello più basso di istruzione hanno una probabilità maggiore di appartenere al gruppo dei Neet ma ci sono alcune eccezioni che gli autori dello studio Eurofound trovano preoccupanti: in Grecia e a Cipro la più alta incidenza dei Neet è registrata fra coloro che hanno un livello universitario.

Il mancato impiego dei Neet, una perdita economica per lo Stato

Chi non studia e non lavora non riesce a diventare indipendente dalla famiglia sul piano economico. Non è un caso che l’Italia, il Paese con più Neet d’Europa, sia anche il Paese Ue con la percentuale più alta di giovani di età 15-34 che vivono con i genitori: il 62%. Ecco una delle cause che tengono a casa i tanto stigmatizzati “bamboccioni”. Ma le vittime principali della situazione dei Neet sono gli Stati, che lasciano inattiva una risorsa economica. Secondo uno studio dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) la perdita dovuta alla non-partecipazione dei Neet al mercato del lavoro è di oltre 140 miliardi di euro, pari al 1,2% del Prodotto interno lordo europeo. Il dato è una stima che prende  in considerazione solo la mancata produttività e i contributi allo stato sociale non versati.

Neet PilPer gli esperti di Eurofound, il problema dei Neet corrisponde a un costo di circa il 2% del Pil in Italia, circa 36 miliardi di euro all’anno, la cifra più elevata d’Europa. Il rapporto sottolinea anche che rimanere fuori dal mercato del lavoro per lunghi periodi può aumentare il rischio di esclusione sociale. La disaffezione verso lo Stato che ne consegue è un fattore che porta alcuni giovani a guardare con favore alle forze politiche estremiste e antisistema. Altri studi arrivano alle stesse conclusioni prendendo in esame la fascia fra i 20 e i 24 anni. La società PricewaterhouseCoopers (Pwc) nell’edizione 2016 del suo rapporto “Young workers index” sostiene che dalla riduzione dei Neet di questa età deriverebbe un miglioramento economico del 2 o 3% del Pil nel Regno Unito e in Francia e del 7 – 9% in Italia, Grecia, Spagna e Turchia. L’aumento del Pil mondiale sarebbe di circa mille e cento miliardi di dollari.

Livia Liberatore

Foto © Eurofound e Creative Commons

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