Per la strage di Srebrenica anche i Paesi Bassi sono responsabili

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Per il tribunale d’appello dell’Aja «i soldati olandesi negarono a 300 uomini la possibilità di salvarsi». Ora le vedove e le madri vogliono ricorrere alla Corte di giustizia europea

Delle colpe dei caschi blu “occidentali” in Bosnia-Erzegovina, durante la guerra civile nell’Ex Jugoslavia, abbiamo già scritto in passato. È notizia di ieri delle prime condanne dei tribunali, a cominciare da quello “interno” nella civilissimi Paesi Bassi. Ebbene: il governo olandese è parzialmente responsabile del massacro di circa 300 musulmani a Srebrenica nel 1995. La Corte d’Appello dell’Aja ha confermato con questa sentenza quanto già stabilito nel 2014 da un tribunale di primo grado.

I soldati orange, impegnati nella missione di pace delle Nazioni Unite e incaricati di proteggere l’enclave musulmana, costrinsero i rifugiati che cercavano riparo nel loro compound (zona militare o cittadella fortificata) a lasciare la base, consegnandoli di fatto ai propri carnefici: «privandoli» – si legge nella sentenza – «della possibilità di sopravvivere». I Paesi Bassi non sono stati, invece, ritenuti responsabili della morte di chi era già fuori dalla base. Per la corte sarebbe stato impossibile che i militari riuscissero a proteggerli quando le forze serbe cominciarono ad accerchiarli.

Nell’eccidio di Srebrenica, considerato il peggiore in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale, furono uccisi dai serbo-bosniaci circa ottomila musulmani, sepolti poi in fosse comuni. Alla fine del conflitto, dal 1992 al 1995, le vittime furono quasi centomila. Nella città dell’attuale Bosnia-Erzegovina gli uomini guidati dal generale Radko Mladic divisero i musulmani tra uomini e donne, poi portarono via i primi sugli autocarri e li massacrarono. Una strage riconosciuta a livello internazionale come genocidio.

L’ex presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek (a destra) e il direttore del Potocari Memorial Cemetery Mersed Suojlovic lasciano un mazzo di fiori in ricordo delle stragi di Srebrenica (05/11/2011)

La questione esaminata dai giudici olandesi era stabilire se gli uomini dentro la base avrebbero potuto sopravvivvere, nel caso fosse stato loro permesso di rimanere. Per la corte la risposta è stata: sì, una possibilità c’era, stimata nell’ordine del 30%. Come conseguenza, però, i risarcimenti chiesti dai parenti delle vittime dovrebbero essere limitati al 30% del totale. E la decisione, com’era prevedibile, ha suscitato la rabbia e le proteste in aula di un gruppo di parenti delle vittime del massacro. Una valutazione “del tutto arbitraria” secondo i legali delle famiglie. Non è dunque escluso un ricorso alla Corte suprema olandese.

«Loro dovevano essere lì per proteggerci», urla ad esempio Kada Jotic, secondo quanto riporta il quotidiano olandese Dutch News. La donna ha perso il marito, il figlio e quattro fratelli nel genocidio. «Era una zona demilitarizzata» – spiega – «dove i nostri uomini non erano in grado di proteggersi. Per noi non finirà mai». Lei e altre donne, conosciute come le “madri di Srebrenica“, ora vogliono portare il caso davanti alla Corte di giustizia europea. Quella di ieri è solo l’ultima tappa in una serie di casi legali nei Paesi Bassi riguardanti il ruolo del Paese nel massacro di Srebrenica, considerato l’apice sanguinoso della guerra in Bosnia.

Più di 20 persone sono finite, finora, davanti ai tribunali per il loro ruolo nella strage, compresi diversi comandanti serbo-bosniaci. Mladic, catturato nel 2011, è attualmente sotto processo per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità davanti al Tribunale penale internazionale dell’Aja, dove una sentenza è attesa entro l’anno. Ma per il governo olandese arrivano intanto guai anche dall’altro fronte, quello dei militari. Circa 200 veterani dell’esercito, è emerso, si preparano a citare in giudizio lo Stato per il trauma subito dopo essere stati inviati a Srebrenica. I soldati chiedono una cifra simbolica di 22.000 euro, 1.000 per ogni anno trascorso dal massacro.

 

Ayla Şahin

Foto © Dutch News (apertura), European Parliament

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