Times, 300 foreign fighters Gb in Turchia

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Gli jihadisti di cittadinanza britannica che hanno combattuto con l’Isis si nascondono nel Paese dopo la caduta di Raqqa e Mosul. La padovana Meriem forse in Francia

Ci sono circa 300 cittadini di origine britannica fra le centinaia di jihadisti che sono fuggiti in Turchia dopo la caduta delle principali città dello Stato islamico, Raqqa in Siria e Mosul in Iraq. A rivelarlo è oggi il quotidiano del Regno Unito The Times, secondo cui rappresentano un forte rischio terrorismo per i Paesi occidentali nel caso in cui riuscissero a tornare nei loro Stati d’origine in Europa. Il giornale cita come fonte Ciwan Xhalil, un alto funzionario d’intelligence siro-curdo che tiene i contatti con le agenzie occidentali per la gestione dei foreign fighters.

«L’esodo è iniziato dopo la caduta di Mosul ed è continuato dopo che l’Isis ha perso Raqqa» – ha spiegato Xhalil – «abbiamo molti francesi nelle nostre prigioni e tanti di altre nazionalità, ma pensiamo che gran parte dei britannici siano fuggiti». Si calcola che circa 850 sudditi di Sua Maestà si siano uniti allo Stato islamico: la metà di loro è tornata in patria mentre 130 sono morti in Medio Oriente. Ma la caccia è grossa anche per le altre nazionalità fra i foreign fighter. Ad esempio la ragazza padovana, soprannominata “Sorella Rim“, recentemente condannata per terrorismo a 4 anni di carcere al tribunale di Venezia. Meriem Rehaily, questo il nome originario, potrebbe essere fuggita incolume dai bombardamenti su Raqqa ed essere rientrata in Francia sotto falso nome. A scriverlo è il giornale in lingua araba Al Ahdath Al Maghribia citando fonti, riportate dal Corriere del Veneto, dell’intelligence europea.

Ambienti vicini al Ros di Padova interpellati dall’Agenzia Ansa sottolineano che si tratta di fonti al momento non verificabili e quindi non attendibili, ma che sul caso sono in corso ulteriori accertamenti. La 22enne di origini marocchine, scomparsa da Arzegrande nell’estate del 2015 per arruolarsi nelle file dell’Isis, si sarebbe mescolata ai combattenti in fuga da Raqqa dopo la liberazione della città da parte dell’esercito curdo. Da lì avrebbe raggiunto «molto probabilmente la Francia» dopo aver preso «in prestito una falsa identità». Sia pur priva
di riscontri, l’informazione non viene sottovalutata dagli investigatori: nel mandato d’arresto internazionale emesso dal tribunale di Venezia la giudice Roberta Marchiori spiegava che a preoccupare è la sua «disponibilità al martirio. Allo stato non può escludersi che l’indagata possa essere disponibile a mettere a segno azioni kamikaze da commettere anche in Italia e in particolare a Roma».

«Se è vero che si trova in Francia» – commenta il suo legale, Andrea Niero – «c’è da chiedersi come abbia fatto a lasciare la Siria, a viaggiare per migliaia di chilometri e ottenere dei documenti falsi. È la conferma che Meriem è soltanto unamarionetta” nelle mani di un’organizzazione molto più ampia e con ramificazioni in Europa, che dispone di fondi e competenze che le permettono di spostare i propri uomini da una parte all’altra del mondo». Coincidenza questo caso si va a sommare con quello dell’altra foreign fighter marocchina nazionalizzata italiana arrestata, che sarà estradata in Francia entro il prossimo 8 gennaio. Fermata il 23 dicembre a Malpensa in esecuzione di un mandato internazionale emesso dalla magistratura francese. La donna era stata arrestata mentre rientrava dalla Siria, Paese dove era fuggita circa nove mesi fa con i tre figli per raggiungere un “soldato” di un gruppo vicino all’Isis di cui si era invaghita.

La donna aveva lasciato il marito, un napoletano con cui viveva in Costa Azzurra, ed è in attesa al settimo mese di un figlio dall’uomo per il quale è andata a vivere a Termanin, cittadina non molto lontano da Aleppo. Accusata di terrorismo internazionale, su di lei stanno indagando anche la Procura e la Digos di Milano. Interrogata a San Vittore già lo scorso 24 dicembre da un giudice della quinta Corte d’Appello, la donna ha difeso e “coperto” fino all’ultimo l’uomo di cui si è innamorata via chat. Ha alla fine prestato il consenso alla richiesta di consegna avanzata dalle autorità di Parigi per stare più vicino – queste le motivazioni riferite – ai tre figli di 6, 8 e 10 anni, ritornati a casa con il padre a Juan Les Pins. Ai magistrati italiani che l’hanno interrogata ha lasciato intendere che arrivata in Siria non avrebbe trovato le condizioni di vita che le erano state prospettate per lei e per i suoi tre bambini.

 

Ajkuna Çela

Foto © The Times, Euronews

 

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