Il problema del debito per l’Italia non nasce oggi, ma nel 1861

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Le radici dell’indebitamento del Belpaese affondano già nel Risorgimento. La vera storia di una difficoltà che molti Stati preunitari non avevano

Proprio in questi giorni l’Unione europea, con la commissione economica, chiede se non di risanare, ma almeno provare a ridurre il debito pubblico italiano che non permette di crescere né tanto meno di svilupparci condannandoci a essere sempre il fanalino di coda di una Europa che, nonostante tante battute di arresto, continua a marciare spedita nella crescita economica.

Davanti a una decennale crisi debitoria il cittadino comune si pone due semplici domande quando abbiamo cominciato a indebitarci, ma soprattutto con chi.

Rispondere però non è facile. Per quanto riguarda la storia italiana recente le cause sono molte: si spiega che derivano dal governo tale o tal altro, dalla congiuntura degli anni ’80, dalle politiche dissennate del Mezzogiorno e così via, ma in realtà il problema per chi è digiuno delle arti della finanza è un po’ come la verità sul mostro di Loch Ness o dello Yeti.
Obbiettivamente il nostro debito pubblico nasce già con il Risorgimento e la nascita della nuova nazione Italiana, circa centocinquant’anni fa.

Uscito malconcio dalla prima guerra d’indipendenza, il piccolo Regno del Piemonte nel 1848 si trovava in una situazione drammatica, oltre alla sconfitta aveva le casse statali praticamente vuote e debiti scoperti un po’ con tutte le banche europee.
Ma l’Italia andava fatta a qualsiasi costo, pertanto dopo appena dieci anni dal primo disastro di guerra, grazie al “grande tessitore“, il conte di Cavour, il nuovo re Vittorio Emanuele II decise di rimettersi a capo del grande sogno patriottico e di fare guerra in pratica a tutti gli allora Stati italiani, un po’ come se il piccolo Tirolo italiano per l’unificazione del mondo di lingua tedesca dichiarasse guerra ad Austria e Germania.

Certo una follia, ma leggendo le cronache del tempo tale era considerata anche l’idea di uno Stato italiano.
Senza una lira, è proprio il caso di dire, ma con tanti debiti cominciò la cosiddetta Seconda guerra d’Indipendenza nel 1859 e ancora una volta contro l’Austria per la liberazione del Lombardo-Veneto.
Per armare e mantenere sul campo una forza pari a circa 60 mila uomini, il Regno sabaudo mise la cifra di 50 milioni dell’epoca ai quali vanno aggiunti altri 40/50 ottenuti con prestiti a banche francesi e inglesi.

Questa cifra in effetti era una vera bazzecola rispetto ai 500 milioni di franchi che la Francia, alleata del Piemonte, impegnò in questa guerra avendo da rifornire ben 140 mila soldati, una somma non proprio data gratuitamente, con un cambio lira-franco paritario, uno squilibrio non da poco.
La storia sappiamo come si concluse: la Francia, vera vincitrice della guerra contro l’Austria, con l’armistizio di Villafranca, tradendo in parte gli accordi con il Piemonte, ottenne dagli Asburgo la Lombardia che avrebbe girata poi al Piemonte in cambio da parte di questi ultimi della regione della Savoia e di Nizza con la relativa Costa Azzurra a Napoleone III.

Prendo da un libro assai documentato “Contro-storia dell’Unità d’Italia” di Gigi Di Fiore, edito dalla BUR, dati che ci fanno capire la portata dei costi, al di la di quelli umani e ideali, finanziari.
Considerando lo scambio della Savoia e di Nizza per il costo sostenuto dalla Francia, con la parziale annessione della sola Lombardia, ancora per il Veneto bisognerà aspettare il 1866, il costo di questa avventura risorgimentale fu di 590 milioni di Lire che, con coefficiente di attualizzazione di 0,0001175 indicato dall’ISTAT e cambio 1936,27, corrispondono a 2.593.272.940 di euro del 2008, ultimo coefficiente disponibile.

Una cifra pazzesca se pensiamo che lo stipendio di un alto funzionario di Stato non superava le 100 lire mensili.
Ma nulla poteva fermare l’ideale dell’Unità d’Italia.
Così, in queste condizioni non certo floride, per una nazione con appena 7 milioni di abitanti, di lì a pochi mesi inizierà la più epica campagna chiamata, con eccesso di retorica risorgimentale, l’impresa dei Mille.
In realtà, come la storia ha ampiamente dimostrato, non fu una impresa solo di giovani amanti della nuova patria, ma qualcosa di più complesso.

               Ippolito Nievo

Tale campagna costò 629 milioni di Lire quasi 3 miliardi di euro al valore di oggi, così ripartiti: 600 milioni da confisca di depositi del governo borbonico in Sicilia e 128 milioni da varie sottoscrizioni, con una gestione diciamo spesso allegra di questi fondi, come riportano molte inchieste giudiziarie dell’epoca e la testimonianza di un grande patriota come Ippolito Nievo, ma davanti all’ideale supremo si chiudevano gli occhi al malaffare locale e, nelle fasi finali di questa avventura, il Piemonte adoperò ben 120.000 soldati regolari altro che l’impresa di soli mille uomini, soldati che rimasero in gran parte dislocati nel Sud per la lotta al brigantaggio.

Con la terza guerra d’indipendenza contro l’Austria per la liberazione del Veneto, ricordiamo che venne persa miseramente, ma per questioni di politica internazionale l’Italia ottenne ugualmente il Trentino e il Friuli, ciò nonostante il problema economico per la giovane nazione si fece assai grave: i costi elevati di queste guerre su una economia assai fragile cominciavano a creare problemi di ogni tipo.

È utile ricordare che gli Stati pre-unitari erano allora abbastanza floridi, a differenza del Piemonte, ma paradossalmente con l’Unità d’Italia si trovarono a pagare un debito già allora enorme, ingigantito a dismisura nei successivi sessant’anni di storia patria con altre due guerre addirittura mondiali e come conseguenza già d’allora venne istituzionalizzato il debito come fonte di risorse.

Debiti che per il loro rientro forzato crearono agitazioni sociali per non dire rivolte anche sanguinose che ritroveremo per tutto il secolo successivo. Quantità di denaro da pagare tale che sarebbe inaccettabile ai tempi nostri, immaginiamo come dovevano risultare per l’epoca risorgimentale, tanto da portare la tassazione a livelli esasperanti.
Dalle 5 tasse pagate, ad esempio nel Regno delle Due Sicilie, si passò alle 22 istituite dai nuovi “liberatori” e i prestiti concessi dalle banche divennero prassi usuale con gli interessi passivi che cominciarono fin d’allora ad alimentare costantemente il debito. Il resto è storia di questi giorni.

 

Matteo Vinci

Foto © BlogItalia.news, Polisblog, In Terris,

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2 Commenti

  1. Se ciò capito bene i siciliani hanno sponsorizzato le guerre d’indipendenza e e conseguentemente tasse alla grande. Per rendere grandi altre personaggi non certo del sud, e comunque forse senza volerlo.

  2. La Terza Guerra di Indipendenza si combatte’ nel 1866 e vide vincitrice Italia e Prussia con la prima che ottenne il Veneto. E tu parli di ” sconfitta ”. Oltretutto ottenemmo il Veneto, mica il Friuli e il Trentino come hai detto tu. Il Trentino e il Friuli li ottenemmo solo nel 1918

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