Dublino cerca di riavvicinare Unione europea e Regno Unito

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Governo e opposizioni della Repubblica d’Irlanda lavorano per riavvicinare Bruxelles e Londra e rimettere in moto le istituzioni condivise dalle diverse comunità a Belfast

Venerdì 13 dicembre Il premier della Repubblica d’Irlanda, Leo Varadkar, ha sottolineato l’urgenza di rimettere in funzione le istituzioni condivise dalle diverse comunità dell’Irlanda del Nord (il 13 gennaio 2020 è la deadline per riavviare i lavori dell’assemblea della provincia autonoma che fa parte dell’UK). Varadkar sa che, sebbene quasi nessuno nella Repubblica apprezzi le scelte adottate nel Regno Unito negli ultimi tre anni e mezzo, una rapida conferma dell’accordo sul tavolo tra Ue e UK permetterebbe di cercare soluzioni in grado di conciliare due esigenze opposte: mantenere aperto il confine che altrimenti dividerebbe l’isola (compromettendo la base degli Accordi di Pace del 1998) ma anche fare in modo che il controllo di quali merci entrino nella Repubblica e quindi nell’Unione europea venga assicurato.

Il Fine Gael, attualmente al governo, il 26 febbraio 2016 venne riconfermato dalle elezioni, ma senza una maggioranza: dopo due mesi e mezzo di trattative, il 6 maggio 2016 il partito centrista formò un esecutivo di nuovo con Enda Kenny come leader (fino al 14 giugno 2017, quando il suo posto venne preso da Leo Varadkar, che in precedenza era stato ministro alla Protezione Sociale, e prima ancora alla Sanità). Il referendum nel vicino Regno Unito, il 23 giugno 2016, fece emergere un problema vitale per l’Irlanda, parte integrante dell’Ue con livelli altissimi di europeismo, ma anche stretti legami col vicino UK. Inizialmente l’estrema sinistra repubblicana, lo Sinn Féin, potè approfittare anche nel sud della necessità del governo di mantenere rapporti cordiali con Londra (mentre l’Ulster scorgeva già danni economici evidenti in caso di divergenze doganali con il sud, offrendo allo SF spunti per attaccare il Regno Unito).

L’affermarsi di tendenze oltranziste da parte britannica spinse però il governo Fine Gael e l’opposizione responsabile Fianna Fáil a spostarsi dalla stessa parte della “barricata” dello Sinn Féin, anzi, proprio il Fine Gael spiazzò gli avversari, tradizionalmente più duri con il Regno Unito, ripetendo a chiare lettere, attraverso la voce del vicepremier e ministro degli Esteri e Commercio, Simon Coveney (ma in sostanza il premier Varadkar disse le stesse cose) che Londra non doveva aspettarsi troppo aiuto da vicini danneggiati dalle sue scelte e sarebbe stata chiamata a rispettare sia le regole che delimitano il mercato Ue dagli altri sia di tutelare gli accordi di pace, quindi mantenere aperto il confine in Ulster. Anche il Fianna Fáil trovò modo di avvantaggiarsi della situazione, recuperando il discorso sull’unità irlandese senza nemmeno apparire estremo, dato che nel nuovo contesto perfino alcuni eminenti unionisti (pro-britannici) a Belfast avevano iniziato a porsi il problema e dato che il Fine Gael (che evitava l’argomento da decenni) pareva addirittura volergli sottrarre la patente di partito nazionale (che in Irlanda significa nei fatti europeista e progressista).

Nell’evidenziare l’identità europeista della Repubblica suggerendo finanche un recupero del tema della unificazione dell’isola, i due maggiori partiti FG e FF (e il Labour) immaginano da tempo di poter contare sulla sinistra radicale (che avversa le prevedibili ripercussioni sociali di un ritorno dei posti di blocco doganali) e su consenso sia a Sud che a Nord perché l’integrazione economica all’interno dell’Irlanda è stata crescente a partire dall’ingresso contemporaneo nell’Ue (1973) dell’UK (Irlanda del Nord inclusa) e della Repubblica. Fino alle suppletive di due settimane fa, che hanno visto (per la prima volta dopo tre elezioni di vario genere) una parziale ma chiara ripresa dello Sinn Féin, quest’ultimo è stato costretto a un rilancio, parlando di immediato referendum di riunificazione dell’Irlanda come mezzo per assicurare all’Ulster la permanenza nell’Ue: i partiti maggiori sono risultati più credibili, esplorando per prima cosa le soluzioni condivise con il vicino UK (e le comunità della provincia autonoma) ma contemporaneamente dimostrando franchezza con Londra e affermando l’allineamento netto alle posizioni UE che anche lo Sinn Féin chiedeva.

I risultati delle elezioni politiche UK relativamente all’Irlanda del Nord incoraggiano le iniziative del governo irlandese, perché gli unionisti pro-britannici sono pressati dall’avanzata dello Sinn Féin nella provincia autonoma e possono essere spinti a trovare compromessi dato che il sostegno alla Brexit in Ulster è minoritario e anche i loro elettori temono i dazi (e il riemergere, evidente l’estate scorsa, di scontri) e anche perché sia il Democratic Unionist Party (DUP) che i repubblicani dello Sinn Féin vedono ridursi il loro spazio, conteso ora dai moderati irlandesi del Social Democratic and Labour Party e dall’inaspettato exploit dell’Alliance, formato da appartenenti a tutte le comunità e affiancato da altre liste che non vogliono più sentir parlare di “Orange” (unionista pro-britannico) versusGreen” (repubblicano irlandese) e premono invece per riavviare le istituzioni della provincia e affrontare questioni economiche molto spinose alla vigilia della Brexit, tanto più in un territorio collocato all’intersezione di tutti i nodi dell’uscita del Regno Unito dall’Ue.

Di sicuro, se come ora sembra probabile sarà approvata a Londra entro il 31 gennaio 2020 la attuale versione del Withdrawal Agreement (che per certi versi differenzia l’Irlanda del Nord dal resto dell’UK anche più di testi precedenti e perciò ha attirato su Johnson le ire del DUP, ex alleato) le istituzioni della Repubblica sapranno dare qualche dettaglio alle imprese, pur senza fare salti di gioia: il vero lavoro inizia adesso, ha chiarito nel pomeriggio di venerdì 13 dicembre 2019 John McGrane (direttore generale della British-Irish Chamber of Commerce, interpellato dalla Tv pubblica Rté) e addentrandosi nel periodo di transizione che scadrà il 31 dicembre 2020 le imprese saranno soddisfatte solo da un buon accordo (di Trade Relationship con l’Ue) la ricerca del quale lascerà ben poco spazio alle frasi ad effetto, aderendo piuttosto alla concreta abilità del Regno Unito di muoversi in un terreno che, slogan a parte, non è vuoto, ma comprende interessi delle controparti, Paesi vicini per primi, e benessere degli stessi cittadini britannici.

Il 13 dicembre l’ISEQ (Ireland Stock Exchange overall index) ha scommesso sulle buone opportunità dell’anno entrante, salendo quasi al 3,3% sulla spinta di compagnie come Bank of Ireland, AIB, Dalata, Kingspan, Ryanair, coinvolte anche nel Regno Unito. E il 12 dicembre l’Economic Social Research Institute ha previsto che, pur rallentando rispetto al quasi 6% atteso come dato finale del 2019, l’economia irlandese dovrebbe comunque crescere di un buon 3,3 nel 2020, ciò almeno se le promesse di una rapida conferma dell’accordo dovessero realizzarsi. Altri sono meno ottimisti, anche mettendo in conto il ritardo con cui molte imprese (scettiche per marce indietro e cambi di posizioni dell’Uk) si sono mosse per adeguarsi alle novità: Ann McGregor, capo esecutivo della Northern Ireland Chambers of Commerce and Industry, ha dichiarato che l’accordo taglia fuori la provincia autonoma sia dall’Ue che dal Regno Unito (prevedendo di fatto due  confini) aprendo quindi la strada a sviluppi «preoccupanti per tutti e non solo per le imprese», il che naturalmente vale in gran parte anche per la Repubblica, tanto più che Dublino, oltre a pensare al mercato interno dell’isola, dovrà curarsi anche di preservare gli scambi con l’UK (tenendo d’occhio lo stato dell’economia britannica). A questi timori si sono aggiunte le considerazioni di Joe Healy, presidente della Irish Farmers Association, che ha lanciato un allarme preciso per un Paese la cui agricoltura è tanto legata sia al mercato europeo che a quello britannico: «il periodo di transizione scadrà il 31 dicembre 2020, sarà quasi impossibile arrivare ad un Free Trade Agreement in così poco tempo, quindi sarà necessaria una estensione e stavolta su questo, se non verrà accordata si rischierà un altro salto nel vuoto».

 

Aldo Ciummo

Foto © The Atlantic,

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Aldo Ciummo
Giornalista e fotografo specializzato in questioni del Nord Europa e dell’Unione europea, ha vissuto a lungo in Irlanda. Da free lance viaggia spesso nei Paesi scandinavi e scrive in inglese su testate internazionali, tra le quali “Eastwest”, o in italiano per "Eurocomunicazione" e “Startupitalia". In seguito alla laurea in Scienze della Comunicazione presso l’Università “La Sapienza” di Roma, ha studiato Relazioni Internazionali alla Fondazione Lelio e Lisli Basso e Fotografia all’ISFCI a Roma.

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