Sanità europea e mondiale in lotta contro il Coronavirus

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Necessario un piano globale di sorveglianza contro la minaccia delle infezioni determinate da animali macellati e resistenti agli antibiotici

Sono pronti gli ospedali europei in primis e mondiali poi a gestire l’enorme aumento di ricoveri in terapia intensiva per il dilagare del contagio da Coronavirus? Per l’OCSE – Organizzazione per la cooperazione e sviluppo economico (in inglese OECD, Organization for Economic Cooperation and Development) – in Europa sono gli ospedali tedeschi i più preparati ad accogliere un gran numero di pazienti affetti dalla pandemia.

Secondo dati del Ministero della Salute, i posti letto disponibili in terapia intensiva sono 8 ogni mille abitanti in Germania, 7,5 in Bulgaria, 7,4 in Austria, 5 in Francia, 5 in Slovacchia, 4 in Svizzera, 4 in Estonia, 3,2 in Italia, 2,8 in Danimarca, mentre la media Ue è pari a 5. In Italia alla data del 17 marzo i contagiati in totale avevano superato le 31.000° unità con oltre 14.000 in Lombardia.

Tutto è iniziato il 24 febbraio quando i contagiati erano nel Belpaese 228, il 5 marzo 2.706 persone avevano contratto il virus, il 13 marzo gli infettati erano a quota 13.000 e così via, con comuni del Nord blindati. Tra il 2000 e il 2017 in Italia vi è stato un -30% di posti letto in terapia intensiva, mentre negli ultimi 10 anni sono mancati finanziamenti alla Sanità per ben 37 miliardi di euro.

A livello mondiale è il Giappone che ha il maggiore numero di letti disponibili in ospedali, seguito dalla Corea, mentre l’ultima per disponibilità è la popolosa India. Ritornando all’Italia, riscontriamo, purtroppo, che nella Penisola, come evidenzia lo Spallanzani, c’è un numero maggiore di persone over 65 decedute, sono circa il 30% a livello globale. In maggioranza si tratta di persone che erano già affette da malattie gravi e al 17 marzo avevano superato le 2.500 unità.

In Svizzera l’Ufficio federale della sanità pubblica si prepara alla pandemia con misure protettive, e ha messo in rete una rubrica “Norme igieniche personali” per evitare il contagio. La pandemia potrebbe colpire due milioni di persone e oltre 50.000 potrebbero avere la necessità di  essere ricoverate in ospedale. Anche in Terra Santa la situazione si è evoluta velocemente. I primi casi si sono registrati con israeliani infetti di ritorno dal  territorio europeo e spesso sono stati i numerosi turisti a portare con sé il virus dalle loro zone di provenienza.

Il primo caso sono stati nove turisti coreani risultati positivi e il 5 marzo si sono registrati i primi quattro casi di Covid-19 a Betlemme, quando quattro greci ospiti di un hotel sono risultati positivi. L’autista che li accompagnava e il personale dell’albergo sono risultati tutti infettati. Con il virus sono arrivate le misure sia dell’Autorità palestinese che del Governo israeliano. Chiuse le università, le moschee e le chiese, chiusa la Basilica della Natività. Non succedeva dagli anni dell’Intifada, i betlemiti restano in casa.

Vietato l’ingresso ai turisti che erano la principale fonte di sostentamento, con un danno per l’economia già fragile e traballante per la zona. Da domenica 8 marzo, poi, Betlemme è diventata zona rossa e sono stati chiusi i check-point che permettono il passaggio e gli scambi tra Israele e i Territori.

Eppure questa pandemia era stata prevista dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità o WHO nell’acronimo inglese di World Health Organization) – denominata malattia Xsin dal 2018 in un documento. La ricerca aveva segnalato che in molti Paesi asiatici c’è l’abitudine di macellare, commercializzare, vendere, cucinare e mangiare animali selvatici spesso depositari di virus che possono mutare e contagiare l’uomo.

Così per la SARS l’animale serbatoio è stato lo zibetto come anche per la MERS che ancora infetta uomini e cammelli nella Penisola arabica. Così deve essere avvenuto per Covid-19 trasmesso dai pangolini che pur essendo animali protetti in tutto il mondo, tra il 2016 e il 2019 ne sono stati venduti sul mercato illegale in una provincia cinese, oltre 200 tonnellate. Il pangolino è considerato dai cinesi una prelibatezza ed è utilizzato anche nella medicina tradizionale.

L’ipotesi è che sia stato lui a fare da tramite tra i pipistrelliserbatoio del Covid-19e l’uomo. Da qui la richiesta al governo cinese di sospendere il commercio della vendita di animali selvatici. La stessa cosa dovrebbero fare altri Paesi dell’area come Thailandia, Vietnam e Corea del Sud. Nel menù di Paesi ove vivono miliardi di persone, rientrano pipistrelli, piccoli roditori come appunto lo zibetto, il pangolino, lo scoiattolo, pesci vivi e coccodrilli, salamandre, insetti vari. Ciò spiega il perché delle epidemie e se non corriamo subito ai ripari la situazione non potrà che peggiorare.

 

Giancarlo Cocco

Foto © Daily Mail, Unmcoc, NPR, RNZ, Cnn

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Giancarlo Cocco
Laureato in Scienze Sociali ad indirizzo psicologico opera da oltre trenta anni come operatore della comunicazione. Ha iniziato la sua attività giornalistica presso l’area Comunicazione di Telecom Italia monitorando i summit europei, vanta collaborazioni con articoli sul mensile di Esperienza organo dell’associazione Seniores d’Azienda, è inserito nella redazione di News Continuare insieme dei Seniores di Telecom Italia ed è titolare della rubrica “Europa”, collabora con il mensile 50ePiù ed è accreditato per conto di questa rivista presso la Sala stampa Vaticana, l’ufficio stampa del Parlamento europeo e l’ufficio stampa del Ministero degli Affari Esteri. Dal 2010 è corrispondente da Roma del quotidiano on-line delle Marche Picusonline.

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