Coronavirus, l’ideologica e assurda divisione fra salute e industria

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Chiudere il massimo numero di aziende dove vi sono focolai virali attivi di grande rilevanza è doveroso, chiudere un intero sistema produttivo senza distinzioni, no

La frase con cui il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli avrebbe sintetizzato la sua concezione dell’economia e della società italiana è la seguente: «Non abbiamo ceduto alle pressioni degli industriali … a guidarci sono il principio di precauzione e la tutela della salute pubblica». Implicitamente, ma neanche tanto, il Patuanelli ci dice una serie di cose, sfuggite, ma utili per capire quale sia la sua concezione dello sviluppo economico e di cosa ci aspetta, come cittadini e lavoratori, quando questa emergenza sarà finita e, con ogni probabilità, se ne sarà aperta un’altra, quella economica ed occupazionale. E speriamo non quella dell’ordine pubblico.

Le elenchiamo ed evidenziamo una per una, a partire dalla frase succitata dal ministro che, letteraria o no, ci indica una volta per tutte che, per complemento al concetto espresso, secondo Patuanelli gli industriali sono una sorta di incoscienti. Ma lui e i sindacati tutelano la salute pubblica. Sono incoscienti gli industriali, quelli grandi e quelli piccoli e anche quelli minuscoli. Non importa se si sia rappresentati dalla cattivissima Confindustria o da una qualsiasi delle sigle della media e piccola imprenditoria, del commercio o dell’artigianato, in quanto datori di lavoro, che hanno l’assurda pretesa di continuare a produrre, generare ricchezza, pagare stipendi e fornitori e per dirla alla Totò, perbacco!

               Maurizio Landini

Anche le tasse da cui si traggono le risorse con cui paghiamo, sempre meno la sanità, ancora meno le forze dell’ordine, ormai quasi niente la ricerca, in modo costante e senza crisi se non qualche riflesso gli stipendi della pubblica amministrazione, sempre molto gli stipendi dei politici e dei ministri come Patuanelli, tutto il ceto produttivo è formato quindi da incoscienti. La seconda conseguenza diretta e ancora complementare delle sue parole è che il governo, che non cede agli industriali, cede, prono, ai sindacati. Sono ancora nelle nostre orecchie le parole di Maurizio Landini che, in una nota trasmissione radiofonica del mattino, si scaglia contro i produttori di “decespugliatori e macchine per il giardinaggio” dicendo che devono rimanere chiusi, ma senza un minimo di indagine se per caso siano le stesse aziende meccaniche che fabbricano componenti per altre industrie, dagli elettromedicali ad altre della filiera agroalimentare che, viceversa, devono rimanere aperte.

Se tu industriale o imprenditore, in questo quadro di norme affastellate ed emanate per decreto, senza alcuna discussione parlamentare, “c’è l’emergenza non remate contro”, che devi dichiarare al prefetto che la tua produzione è essenziale, anche se magari è diversa da quella prevista da codici ATECO talvolta vecchi di lustri, se non peggio. Qualcuno s’è accorto che si è passati in pochi giorni da una situazione per cui tutte le attività produttive potevano lavorare tranne quelle escluse, ad un’altra per cui tutte le attività produttive sono chiuse, tranne quelle consentite? Qualcuno s’è accorto di questa trasformazione o si è ancora frastornati dalle conferenze via Facebook? Ci si accorge che gli spazi di libertà si sono ristretti tanto da dover chiedere autorizzazione ai prefetti? E tutto, vale la pena sottolinearlo ancora, per decreto.

La terza conseguenza è che non importa cosa produci o in che parte d’Italia si trova la tua azienda, a Patuanelli non interessa. Non importa se sei un’azienda virtuosa che ha investito, giustamente e doverosamente, fior di quattrini in procedure e certificazioni di sicurezza e che magari sta anche provvedendo a fornire ai lavoratori dispositivi di sicurezza personale validi sì per il lavoro in azienda che per gli spostamenti da e verso casa, per il ministro non importa per definizione, per ideologia, se sei in imprenditore, sei un incosciente sfruttatore del lavoro e della salute dei lavoratori. La quarta conseguenza, ma forse in questo caso si tratta della premessa, della causa principale del problema, è che finalmente sta emergendo, come se si formasse una popolazione statistica ben definita, in che modo gli italiani si rivelino una delle nazioni col massimo della non conoscenza economica e finanziaria in Europa, ecco gli asini che abbassano la media. E purtroppo sono tanti.

Il problema è che hanno fatto blocco e adesso governano in modo consociativo le libertà economiche e non solo, anche quelle personali, utilizzando emergenza. Emergenza e decreti. Oggi utilizza questa emergenza, domani chissà. Sempre per sgombrare il campo da eventuali equivoci, tale emergenza non la si nega affatto, che sia chiaro. Ciò che trova a dir poco discutibile è il modo con cui la si sta affrontando. Si è fatto ampliamente riferimento a quanto sostenuto da Patuanelli, solo per trarre lo spunto per evidenziare un problema e sviscerarlo, come peraltro chiedono le opposizioni da tempo, Giorgia Meloni in testa. Qual è la concezione del “dopo” di questo blocco?

La sintesi estrema, se si guarda alle possibili conseguenze di quanto descritto, potrebbe sembrare brutale, lavoratori il più possibile a casa e reddito di cittadinanza e altri sussidi, indebitamento dello Stato a copertura, svendita, a meno di particolari benevolenze nei nostri confronti da parte dei Paesi del Nord Europa, dell’indipendenza dell’Italia alla Troika per eccessivo rapporto debito/Pil, aiutato questo sia dall’aumento del numeratore che dal crollo del denominatore. Tutto ciò a meno che non si fermi questa autarchia dell’autoproclamatosi “avvocato degli italiani” e dei suoi sodali, che abbia finalmente seguito nei fatti il colloquio con l’opposizione, gli imprenditori e i sindacati.

Lo scenario che si sta tratteggiando non è affatto una distopia formulata come esercizio letterario, ma come si usa dire, “sta nelle cose”. Immaginate altri quattro mesi gestiti come gli ultimi due, con l’aggravante di avere un presidente del Consiglio che ricorre sempre più spesso, e soprattutto senza nessun argine istituzionale, alla decretazione d’urgenza. Ormai ha scoperto che l’argine non c’è, lo vede e si rafforza in questa convinzione ad ogni nuovo decreto e diretta Facebook, ieri per la prima volta in una sorta di conferenza stampa, con qualche domandina. Immaginate quattro mesi gestiti con questa concezione del rapporto fra le componenti socio-economiche della nazione. Con un presidente del Consiglio che “sentite le parti sociali” e ascoltato solo i sindacati, decide quali aziende possano lavorare e quali no, quali professioni possano andare in malora e quali no, chi debba morire di fame o chiedere l’elemosina al suo governo o all’Inps e chi no. Gli italiani vogliono davvero questo?

Non è ora di mettere Conte davanti al fatto che ha la responsabilità di un’intera nazione e non di un reality show, per la gestione del quale il suo staff ha senz’altro maggiori e più qualificate competenze? Gli imprenditori, grandi e piccoli, sono ancora l’ossatura dell’Italia, almeno finché non ci saremo trasformati in una Repubblica Socialista Sovietica, o in una Repubblica Popolare Cinese. In Italia i lavoratori autonomi, lePartite Iva”, sono poco meno di 5 milioni e, se è fosse vero che almeno mezzo milione sono inattive, una percentuale considerevole di queste, almeno 2 milioni, fanno parte di professioni non organizzate, con redditi netti molto bassi e con poca o nulla possibilità di riuscire ad avere flussi di cassa positivi in questo periodo. Molti sono rappresentanti di commercio, al limite della sopravvivenza. Per loro non c’è niente. Nemmeno l’elemosina dei 600 euro, per ottenere i quali si è fatto ricorso a regole che nemmeno nell’antica Bisanzio, col malcelato proposito di non erogarli affatto.

Seicento euro a chi rischia in proprio ogni volta che solleva la serranda di un negozio o accende il motore di una macchina e settecento per il reddito di cittadinanza, questa è la concezione dell’economica e del lavoro di questo governo. Verrebbe da rispondere inveendo col più famoso slogan di un movimento della maggioranza. Le piccole e medie imprese italiane attive, quelle con un giro d’affari inferiore a 50 milioni di euro, sono circa 5,3 milioni e impiegano oltre 15 milioni di persone per un fatturato annuo che supera i 2.000 miliardi di euro. Questi numeri significano che l’82% dei lavoratori italiani è impiegato a vario titolo in una Pmi e che queste rappresentano oltre il 90% delle imprese attive in Italia. Da dove si crede che arrivi il gettito fiscale italiano? Non si è in grado di fare una stima di quanto costi in termini di fatturato, occupati, gettito fiscale e, di conseguenza, nuovo debito pubblico, ogni mese di fermo delle attività economiche o di una parte di esse. Ci si comporta come se dopo averlespentele si possariaccenderecon il semplice click di un interruttore, ma chiunque abbia mai messo piede in un’azienda e vi abbia lavorato, sa bene che non è così.

Per questo meraviglia anche il comportamento dei sindacati, nessuno escluso, ma non possiamo far altro anche in questo caso che siamo davanti a dei fantasmi, dei simulacri che dei sindacati che abbiamo conosciuto in altre epoche hanno conservato solo il nome. Solo il nome, perché anche l’ideologia si è assestata su livelli di incompetenza tali che le loro azioni risultano fortemente dolose non solo per il sistema industriale, il tessuto economico e gli stessi lavoratori. Le aziende a cui si è fatto riferimento, ma anche molti dei professionisti autonomi citati sopra, fanno da anni parte di catene del valore complesse a livello nazionale e internazionale, sopportano barriere all’entrata elevate, il che corrisponde a costi fissi che devono essere coperti per mantenerle in vita. Molte hanno il difetto di una produttività molto bassa, vero problema annoso del sistema produttivo italiano, queste saranno le prime a chiudere definitivamente e se questo fatto potrebbe essere considerato positivamente dal freddo economista, sicuramente pone altri interrogativi in termini di tenuta sociale, aumento della povertà e delle persone che necessiteranno di sussidi per sopravvivere. Altre aziende perderanno quote di mercato conquistate in anni di investimenti, ricerca, innovazione, qualità del prodotto ricercata e ottenuta con passione e dedizione.

Ma dire “aziende” potrebbe risultare troppo astratto, sono i loro lavoratori che perderanno il lavoro, saranno a spasso avranno bisogno d’aiuto. Il sistema produttivo non è nemico della salute, è il governo del sistema che deve essere intelligente. Chiudere il massimo numero di aziende dove vi sono focolai virali attivi di grande rilevanza è doveroso, chiudere un intero sistema produttivo senza distinzioni, portandolo alla rovina, e con esso portare alla rovina un intero Paese è da incoscienti. In un crescendo di ipocrisia, anche la crisi economica e il disordine sociale possano andar bene, in modo da mantenersi in sella a lungo e poter continuare a decretare d’urgenza per via della crisi, questa volta economica e sociale. Allora è al presidente Sergio Mattarella che ci si deve rivolgere, non “all’avvocato del popolo”. Già da queste pagine abbiamo invocato la formazione di un “governissimo”, come abbiamo invocato l’apertura funzionale continua del Parlamento, almeno per le sue funzioni di vigilanza e rappresentanza della volontà popolare, ma come rimangono i medici e il personale paramedico sul campo, invece rimane vuoto il Parlamento, dove dovrebbe essere dato l’esempio di chi sta in campo per il bene dell’Italia! Ebbene ci rivolgiamo a Lei, il garante degli italiani, presidente Mattarella, faccia mutare questa deriva.

 

Alessandro Cicero

Foto © MISE, Wikipedia, Facebook

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Alessandro Cicero
Alessandro Cicero è nato in Africa settentrionale, da genitori italiani di origine siciliana, si è trasferito da piccolo nella città di Salerno, oggi vive a Roma, svolge la sua attività tra la capitale e Londra. Scrive su alcune testate giornalistiche nazionali e su un organo di informazione europeo ed internazionale incentrato su tematiche politiche, economiche, industriali e su argomenti sociali e del lavoro inerenti il Parlamento Europeo e i rapporti con gli Stati membri ed esteri. È, inoltre, impegnato nella cura di rapporti istituzionali internazionali e di interfaccia con i media, creando campagne di stampa e cura dell’immagine istituzionale. Ha maturato esperienze nell’ambito del public relations, relations intelligence, crisis management e strategie digitali, corporate communication & public affair. È stato impegnato nello sviluppo e nella cura della comunicazione e delle relazioni esterne, anche in campagne di comunicazione elettorali internazionali. È stato consulente per l’elezione a Presidente della Repubblica di un importante Stato africano conseguendo la nomina, nell’ambito di quella specifica coalizione, di Consigliere per le Pubbliche Relazioni, Relazioni Istituzionali, Commerciali, Economiche per la Comunicazione in Italia e presso le Istituzioni Europee a Bruxelles. Ha fondato e diretto, come direttore editoriale, un settimanale nazionale sia cartaceo che online, ha scritto su alcune testate nazionali ed europee, ha partecipato come commentatore in alcune trasmissioni televisive come RaiNews24, Uno Mattina Rai, Rai Radio 1, Rai 2, intervistato su TG1 economia Rai. Tra le varie esperienze è stato osservatore per le elezioni presidenziali in Ucraina, nelle quali fu eletto Viktor Yushchenko e alcuni anni prima osservatore e corrispondente per le elezioni presidenziali in Albania, che portarono all’elezione di Sali Ram Berisha. Ha operato nel settore mass media, editoria e comunicazione in joint venture con la tedesco-romena Roumanainvest, il primo gruppo televisivo privato in Romania. Ha svolto incarichi nell’ambito del settore Ambiente ed Energia È stato cofirmatario, assieme all’amministratore delegato dell’Enel dell’epoca, Alfonso Limbruno e al Direttore Generale, Claudio Poggi, del Contratto Nazionale di Lavoro del Settore Elettrico nell’ambito delle relazioni industriali. Come editorialista e appassionato della materia, ha scritto e rilasciato anche interviste su organi nazionali d’informazione su temi di energia, ambiente, industria e riorganizzazione aziendale e di settori industriali, in particolare su aziende come ENI, Enel e Sogin.

1 commento

  1. Non sanno cosa fare perchè non hanno alcuna cultura politica e nessuna esperienza lavorativa (dallo stadio S. Paolo alla Via della Seta farebbe tremare i polsi a Kissinger). E’ molto più facile decidere senza decidere e chiudere tutto. E pretendendo per di più di essere ricordati come salvatori della Patria.

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