L’incredibile storia del Ginkgo biloba, la pianta che ha visto i dinosauri

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Quest’albero, che si trova nei parchi e nei viali di molte città italiane, è un “fossile vivente”. Da 200 milioni di anni cresce uguale ai suoi antenati. L’aiuto umano ha evitato la sua scomparsa

L’allarme giunge da più parti. La biodiversità del nostro pianeta ogni giorno che passa è sempre più a rischio. Il 40 per cento delle piante e funghi conosciuti, secondo un rapporto pubblicato quest’anno da Royal Botanic Gardens Kew, potrebbe estinguersi. Per non parlare degli alberi, che ci regalano ossigeno e smaltiscono l’anidride carbonica che produciamo: secondo Global Trees Campaign, più di ottomila specie – il 10 per cento di quelle conosciute – potrebbero scomparire. Le cause? Provocate dall’uomo: inquinamento, disboscamento, incendi e cambiamento climatico.

In questo scenario apocalittico, che impone azioni urgenti, c’è per fortuna qualche luminosa eccezione. Esiste un albero che oggi prospera in tutto il pianeta, ove il clima e le condizioni del terreno lo consentono, e che è stato salvato e diffuso grazie all’intervento umano. Si chiama Ginkgo biloba. Se il nome non vi dice nulla, il suo aspetto – soprattutto nel periodo autunnale – è inconfondibile. Ai piedi della pianta, le sue foglie cadute formano un tappeto giallo brillante che sembra oro. Se poi guardate da vicino, la loro forma non può non colpirvi: sembrano un minuscolo ventaglio, elegante e aggraziato. Il ginkgo è presente come albero ornamentale in molte delle nostre città, incluse Roma, Milano e Torino, in viali alberati, nei parchi e negli orti botanici, e costituisce un’attrazione irresistibile per gli appassionati di foliage.

Non tutti sanno che questa pianta ha una storia incredibile, nota a tutti gli studenti di botanica ma un po’ meno al grande pubblico. Per colmare questa lacuna, ora c’è un libro, intitolato Ginkgo. L’albero dimenticato dal tempo, scritto da Peter Crane, già direttore dei Royal Botanic Gardens di Kew a Londra e dean presso l’università di Yale presso la Scuola di Studi Forestali e Ambientali, nonché uno dei massimi esperti mondiali di paleontologia vegetale. Non fatevi spaventare da questo curriculum: il libro che l’editore fiorentino Leo S. Olschki ha reso disponibile anche ai lettori italiani unisce il pregio del rigore scientifico a una piacevolezza narrativa che lo rende accessibile a chiunque sia appassionato di natura e di piante.

Come suggerito dal sottotitolo del libro, il Ginkgo biloba è un vero sopravvissuto, unfossile vivente” secondo la definizione di Charles Darwin. I primi ginkgo, diversi da quelli attuali, sono comparsi sul nostro pianeta circa 245 milioni di anni fa, come attestano i fossili. Poi, è successo qualcosa. Intorno a 100 milioni di anni fa, le diverse specie simili al nostro ginkgo hanno cominciato a sparire e alla fine è rimasto solo lui, quello che oggi c’è nei nostri giardini. «È difficile immaginare che questi alberi, ora svettanti su automobili e pendolari, siano cresciuti con i dinosauri e siano giunti a noi quasi immutati per 200 milioni di anni», scrive Crane.

Oltre ai dilemmi di paleobotanica, l’autore racconta le caratteristiche di questa pianta che non mancano di colpire la fantasia. A cominciare dal numero di foglie, che possono arrivare a circa un milione su un esemplare antico e imponente. Poi, la curiosa caratteristica, che hanno conservato pochissimi vegetali, di avere piante di sesso differente: per creare il seme occorre che il polline di un maschio raggiunga un ovulo della femmina, con l’aiuto del vento. Questa love story vegetale, che sboccia solo quando le piante hanno raggiunto un quarto di secolo di età, ha un risvolto negativo. I semi sono particolarmente maleodoranti e questo aspetto fa sì che si preferisca ovunque piantare alberi maschi.

Eppure in Estremo Oriente, come racconta Crane, le noci di ginkgo sono una prelibatezza gastronomica che ha i suoi estimatori, tant’è che la pianta è coltivata come un albero da frutto. Da noi è apprezzata solo per usi medicinali: l’estratto delle foglie aiuterebbe a migliorare la memoria e le capacità di apprendimento. L’uso del condizionale è d’obbligo, perché spesso la medicina ufficiale guarda con scetticismo ai rimedi erboristici.

Il libro di Peter Crane è anche una miniera di informazioni storiche, particolarmente appassionanti per chi ama l’Oriente. È infatti dalla Cina, dove è sopravvissuto, che il ginkgo è partito alla riconquista dell’Europa e del Nord America. La storia della sua diffusione è avvincente ed è legata al periodo d’oro della botanica, quello della grande corsa degli europei – inglesi, in primis – a procurarsi nuove piante da ogni angolo del globo. Linneo, il padre della nomenclatura botanica, lo “battezza” nel 1771, ed è probabile che in quegli anni, o un po’ prima, si sia incominciato a coltivare i primi esemplari in Europa, per la precisione a Londra. Anche se il primo incontro con questa pianta risale al secolo precedente, in Giappone, ed è collegato all’avamposto olandese di Deshima, unico luogo in cui gli occidentali erano autorizzati a commerciare con l’arcipelago del Sol Levante, all’epoca chiuso al mondo.

Dopo questa lettura, guarderete al Ginkgo biloba con occhi diversi. Con il rispetto che si deve al discendente di un testimone della storia del nostro pianeta, che è stato capace di resistere a ogni sconvolgimento ambientale. Un vero campione di resilienza, che ancora oggi riesce a regalarci ombra e frescura in mezzo all’asfalto delle nostre città.

 

Maria Tatsos

Foto © Maria Tatsos

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Peter Crane

Ginkgo. L’albero dimenticato dal tempo

Collana Giardini e paesaggio

Traduzione di Gianni Bedini.

Presentazione di Fabio Garbari.

Leo S. Olschki, 2020

pp.256, € 25,00

 

 

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Maria Tatsos
Giornalista professionista, è laureata in Scienze Politiche e diplomata in Lingua e Cultura Giapponese presso l'IsiAO di Milano. Attualmente lavora come freelance per vari periodici femminili, collabora con il Museo Popoli e Culture del Pontificio Istituto Missioni Estere (Pime) e con il Centro di Cultura Italia-Asia. Tiene corsi di scrittura autobiografica ed è autrice di alcuni libri, che spaziano dai diritti dei consumatori alle religioni asiatiche. È autrice del romanzo storico "La ragazza del Mar Nero" sulla tragedia dei greci del Ponto (2016) e di "Mai più schiavi" (2018), un saggio su Biram Dah Abeid e sulla schiavitù in Mauritania, entrambi editi da Paoline. Nel tempo libero coltiva fiori e colleziona storie di giardini, giardinieri e cacciatori di piante che racconta nel corso "Giardini e dintorni".

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