Dare è il gioco educativo che racconta le malattie inguaribili

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DARE

Quando il malato è un minore, il bisogno di una relazione efficace tra pari aumenta

Dare un segno di cambiamento lavorando sulle narrazioni, anche quando il tema è la malattia. Le Cure Palliative pediatriche non sono un gioco, ma è proprio grazie alla gamification che queste guadagneranno l’attenzione dei giovani italiani.

Educare a scuola come alla consolle

Fondazione Maruzza Lefebvre d’Ovidio Onlus, medaglia d’Oro al merito della Sanità pubblica, ha lanciato una doppia sfida al recente congresso della società italiana di Cure Palliative. Due le iniziative che, insieme, vogliono accorciare le distanze con la generazione in età scolare.

Con Daretermine che in inglese significa osare, sfidare appunto – la Fondazione usa il gioco in quanto strumento capace di veicolare messaggi educativi e inclusivi potenti, lavorare sulle narrazioni e far riflettere sull’esperienza.

Con il progetto Come Partire Pari – vi è ancora un gioco di parole, le iniziali sono infatti le stesse di Cure palliative pediatriche/CPP – avvia simultaneamente un percorso educativo per diffondere la conoscenza di queste cure nelle scuole secondarie di secondo grado.

Sensibilizzando i docenti e i discenti, i quali porteranno consapevolezza nelle loro case, nei luoghi di incontro e di scambio. Generando così azioni di cittadinanza attiva.

Cittadini di domani

I destinatari del progetto sono quindi i giovanissimi di oggi – cittadini di domani – cui si intendono fornire strumenti cognitivi e relazionali per poter parlare serenamente della malattia nei minori equipaggiandoli con le risorse indispensabili per potersi attivare in favore dei loro coetanei ammalati, anche solo attraverso semplici gesti di gentilezza, empatia e inclusione.

Sono queste, infatti, le determinanti per avviare un processo di inclusione che sia in grado di generare un cambiamento sistemico nell’approccio alla malattia inguaribile.

Lo stigma

La malattia dei minori è forse il tema maggiormente difficile da accogliere, tanto da generare spesso una sindrome da evitamento, che lascia soli i ragazzi malati e le loro famiglie.

Il numero

Sono 35.000 i minori con bisogni di Cpp, cure attive e globali complesse che prevedono l’assistenza precoce alla inguaribilità, che inizia al momento della diagnosi. Per accompagnare nel tempo nella terapia curativa concomitante e continua durante tutto il decorso della malattia, non solo oncologica, ma anche rara, metabolica, respiratoria o di origine neurologica.

Isolamento

Il nucleo familiare subisce ricadute di tipo sociale, economico, psicologico e relazionale, è stremato e messo al bando.

La società, infatti, fatica a parlare di dolore e di sofferenza, ciò soprattutto quando vi è la paura di essernecontagiati”, o di entrare a far parte di una dimensione intima che spaventa.

Il potere del gioco

Giocando ci si concentra invece su punti da accumulare e obiettivi da raggiungere.

DareLe difese si abbassano e i contenuti hanno modo di trovare, almeno a livello inconscio, un pertugio. L’assunto da cui parte l’ambizioso progetto è che – a livello sociale – gli adolescenti apprendono i processi democratici e sviluppano un senso morale attraverso la loro partecipazione interattiva.

Il service learning

Un esempio tra tutti è il service learning, proposta pedagogica che unisce cittadinanza, azioni solidali e volontariato per la comunità con l’acquisizione di competenze professionali, metodologiche, sociali e didattiche.

L’elemento innovativo di questa proposta sta nel collegare strettamente il servizio all’apprendimento in una sola attività educativa articolata e coerente.

Il gioco: aiuterai Violetta?

Il videogame Dare – uno dei tool a disposizione del progetto – si basa sul modello del “viaggio dell’eroe” e si sviluppa su due piani separati: la vita reale e l’universo fantastico. I due protagonisti sono Violetta e Zeno – nomi non casuali, entrambi in ospedale.

Lui per una sola notte con un braccio ingessato e lei chissà per quanto, affetta da una malattia che ha determinato la necessità di una tracheostomia.

In Dare il cattivo è chiamato mostro, o indifferenza o pregiudizio: quello che fa assumere atteggiamenti ingiusti, confinando l’altro nella solitudine. L’intruso è l’ignoranza.

Emozioni

Le cinque emozioni che guidano lo sviluppo della trama e caratterizzano ciascun livello (1 livello = 1 emozione) rispecchiano quelle che più comunemente sperimenta un adolescente quando entra in contatto con una persona affetta da malattia inguaribile o da grave disabilità.

Le emozioni sono indifferenza/disorientamento, curiosità, imbarazzo/disgusto, paura e, infine, sconfitta del pregiudizio.

Nella prima parte di Dare non si potrà muovere il personaggio, ma occorrerà compiere una scelta al termine dei dialoghi. Scelta che influenzerà il comportamento del protagonista e la prosecuzione della storia.

Sfide

Successivamente Violetta e Zeno diventeranno personaggi di un mondo fantastico da esplorare, dove affronteranno situazioni che rappresentano/rievocano le emozioni provate nella vita reale.

Ora il giocatore controllerà i movimenti di Zeno. La sua coscienza farà la cosa giusta, saprà dare a Violetta il supporto di cui ha bisogno?

L’intervista

All’indomani della Giornata per i Diritti dell’Infanzia abbiamo incontrato Silvia Lefebvre d’Ovidio, presidente di Fondazione Maruzza. I bambini e gli adolescenti sono al centro della sua opera solidaristica, la cui concretezza si percepisce dal primo attimo di conversazione.

  • Qual è il valore aggiunto di questo progetto educativo?

«Parla un linguaggio familiare ai più giovani, e ciò è indispensabile affinché possano imparare a instaurare una relazione sana NON con un compagno malato, ma con un compagno» racconta.

«Non facendosi quindi intimorire dalla malattia, che non deve mai prevalere sulla persona nella sua interezza».

«Abbiamo visto nel tempo che l’atteggiamento inverso ha l’effetto di far sentire il “portatore di malattia” diverso e solo; ciò influisce peraltro anche sulla risposta clinica, diminuendone l’efficacia».

  • Qual è il primo obiettivo che vorreste raggiungere con Dare e CPP?

Alcuna esitazione: «abbiamo diversi obiettivi principali, di cui il primo è rendere i ragazzi dei cittadini attivi. Vorremmo che divenissero mezzi di cambiamento capaci di creare una vera società inclusiva che sia in grado di accogliere l’altro con i suoi sogni».

«Il percorso prevede per questo un programma di peer education: gli stessi studenti diventeranno il traino dei loro compagni più giovani in questo viaggio di conoscenza delle Cure Palliative Pediatriche».

I ragazzi impareranno insieme, anche attraverso attività didattiche diverse – quale ad esempio la testimonianza video in cui una giovane affetta da fibrosi cistica racconta la sua vita quotidiana – a conoscere difficoltà, bisogni e desideri di chi vive una malattia inguaribile. Scoprendo che, per larga parte, sono difficoltà, bisogni e desideri condivisi.

I contenuti educativi

  • Quale messaggio volete dare?

«Proponiamo quindi una nuova narrazione delle CPP che sia in grado di sfatare i miti e le credenze errate e ne faccia invece comprendere l’importanza e le potenzialità nella tutela della qualità di vita e dei diritti del cittadino».

Chiaramente «senza alcuna distinzione di età, patologia, etnia, cultura».

  • Ci racconti quali sono invece gli obiettivi specifici del progetto.

Dare«Mi fa piacere riportare un passaggio di Patrizia Garista – pedagogista con PhD in Health Education e ricercatrice Indire – che mi ha particolarmente colpito e che è in grado di spiegare il senso profondo del nostro progetto».

I giovani «devono imparare a non accettare le circostanze come “date”, bensì a considerare come possono agire e influenzare se stessi, o le condizioni nel loro contesto, per migliorare le loro possibilità di vivere la vita che vogliono condurre».

Obiettivi specifici:

  • Sensibilizzare le comunità scolastiche sul tema della diversità e della malattia inguaribile attraverso lo sviluppo di un percorso dedicato a studenti della fascia 14/18 anni
  • Favorire la costruzione di contesti scolastici accoglienti, in grado di affrontare il tema dell’inguaribilità del minore
  • Aumentare la diffusione di informazioni corrette sulle CPP e contrastare il tabù ad esse associate
  • Quando partirà il progetto pilota, quali saranno gli attori coinvolti?

«Entro la fine dell’anno faremo una prova generale con una decina di studenti maggiorenni per testare il manuale. Una volta concluso questo passaggio formale saremo in grado di avviare ufficialmente il progetto pilota in alcune scuole rappresentative del territorio nazionale». In questa prima fase saranno coinvolti:

  • 20 studenti del quarto e quinto anno delle scuole secondarie superiori (peer)
  • 200 studenti del secondo e terzo anno delle scuole superiori
  • 20 docenti delle scuole secondarie superiori
  • 10 dirigenti scolastici di istituti secondari superiori

Insieme a loro vi saranno destinatari indiretti degli interventi. In primis la community di giocatori online nella fascia d’età +12, insieme ai genitori degli alunni coinvolti nel progetto, al tessuto locale, e naturalmente ai minori con patologie inguaribili e alle loro famiglie.

Conclusioni

  • Come possono i Media sostenere la massima diffusione di questa iniziativa formativa?

«I Media sono preziosissimi: non è facile parlare di malattia, e tantomeno di malattia infantile e giovanile. Se ci starete a fianco avvierete un processo dicontaminazionevirtuosa che renderà il tema più accessibile», dice.

«Facendo diminuire il timore di contattare la sofferenza dei minori e dei loro familiari, e aiutando le agenzie scolastiche a vincere l’incertezza nella scelta di tematiche purtroppo vissute, ancora troppo spesso, di confine».

  • Un’ultima domanda. Lei ha già provato Dare?

«Purtroppo no, sono negata nei giochi online! Tuttavia l’ho naturalmente visto nascere e ne ho seguito l’evoluzione: mi ha affascinato il modo in cui i grafici sono riusciti a cogliere i nostri suggerimenti circa cosa avremmo voluto trasmettere».

«Non avevo idea che dietro alla creazione di un applied game vi fosse tanta professionalità e conoscenza rispetto all’effetto che colori, trasparenze e tratti possono dare alla sfera emozionale».

«Invito tutti a provarlo e a fare in modo che sia tradotto in inglese e sviluppato anche per IOS», conclude.

Insomma, mettersi nei panni dell’altro non è un esercizio di stile. Bensì un modo per trovare anche il nostro posto.

 

Chiara Francesca Caraffa

Immagini  e video (sotto) © Fondazione Maruzza Onlus

 

 

 

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Chiara Francesca Caraffa
Impegnata da sempre nel sociale, è Manager del Terzo Settore in Italia, ove ricopre ruoli istituzionali in differenti Organizzazioni Non Profit. Collabora con ETS in Europa e negli Stati Uniti, dove promuove iniziative per la diffusione della consapevolezza dei diritti della persona, con particolare attenzione all'ambito socio-sanitario. Insegna all'International School of Europe (Milan), dove cura il modulo di Educazione alla salute. Cultrice di Storia della Medicina e della Croce Rossa Internazionale ed esperta di antiquariato, ha pubblicato diversi volumi per Silvana Editoriale e per FrancoAngeli.

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