Gli Usa non faranno la guerra per il Donbass. Ma un blitz di Putin tornerebbe utile nell’ottica di allargamento dell’Alleanza a Est
In un suo libro di memorie, J.William Fulbright, presidente della commissione Esteri del Senato americano dal 1959 al 1974 e vera eminenza grigia della diplomazia di John Fitzgerald Kennedy, rivelò che questi – essendo stato informato dai servizi segreti di una possibile costruzione di un muro a tra Berlino Est e Berlino Ovest – definì la mossa come «non la migliore soluzione per la crisi di Berlino, ma comunque una soluzione».
L’idea che la Ddr e l’Urss potessero “autocontenersi” piacque all’allora presidente degli Stati Uniti: JFK iniziò a “incoraggiare” questa decisione attraverso tutta una serie di dichiarazioni in diplomatichese, volte a far capire a Nikita Khruschëv e a Walter Ulbricht che, pur di allontanare il rischio concreto della Terza Guerra Mondiale, gli Usa avrebbero sacrificato Berlino Est sull’altare della distensione, a patto che l’Armata Rossa e la Volksarmee tedesco-orientale non avessero toccato Berlino Ovest. A dispetto del famoso Ich bin ein Berliner, il Muro tolse le castagne dal fuoco a Kennedy, risolvendo la crisi senza che gli Usa dovessero intervenire rischiando la guerra.
Come Berlino 1961?
In Ucraina si sta delineando uno scenario per certi versi simile: l’impressione è che oggi gli Usa stiano quasi “chiamando” l’invasione russa delle Regioni orientali russofone. Il che pare assurdo, se non fosse che un’incursione di Mosca nel Donbass risolverebbe un bel problema a Washington, di certo non intenzionata a fare la guerra alla Russia per la riconquista di un territorio che nemmeno non riconosce l’autorità di Kiev, ma nemmeno disposta a rinunciare ai propositi di allargare la Nato a Est.
Il fatto che le minacciate ritorsioni occidentali, espresse sia da Antony Blinken a margine del bilaterale della scorsa settimana con il suo omologo Sergeij Lavrov, che dallo stesso Joe Biden nel suo vertice online con Vladimir Putin, si sostanzino “solo” in sanzioni economiche la dice lunga su come gli Usa stiano adottando un nuovo approccio all’insegna della realpolitik.
Contrariamente a quanto i media americani scrivono, un’invasione russa dell’Ucraina su larga scala è da escludere, poichè per Mosca sarebbe controproducente in termini politici e militari. Se la Russia intervenisse invece solo nel Donbass, certo lo farebbe per costituire in Ucraina orientale uno stato–cuscinetto filorusso (ovvero ciò che Mosca vuole). Ciò farebbe saltare le ultime remore all’interno della Nato e la spingerebbe ad allargarsi all’Ucraina occidentale (ovvero ciò che l’Alleanza Atlantica vuole). Non solo: da Washington partirebbero le pressioni sugli alleati all’interno dell’Ue per nuove sanzioni che riguarderebbero (tanto per cambiare) soprattutto l’approvvigionamento energetico, ovvero Nord Stream 2, mai gradito alla Casa Bianca.
L’ombra di von Clausewitz
Il generale von Clausewitz diceva che la guerra non è altro che la continuazione della politica con altri mezzi. Ovvero, ciò che non si è voluto o potuto fare nelle stanze paludate della politica, lo può fare il campo di battaglia. La crisi ucraina ne è un classico esempio: rischia ora di essere chiusa da un conflitto quando la si sarebbe potuta risolvere politicamente già durante i colloqui di pace di Minsk. Sarebbe bastato introdurre nell’ex Repubblica sovietica un forte federalismo con ampie autonomie alle Regioni orientali, facilitando nel contempo a Kiev l’ingresso nell’Unione europea in cambio di una smilitarizzazione sul modello dell’Austria nel secondo Dopoguerra. In pratica, l’Ucraina doveva restare uno stato-cuscinetto, dinanzi al quale la Russia si sarebbe dovuta impegnare a smilitarizzare a sua volta un’ampia fascia di territorio a ridosso del confine. Soluzioni di buon senso, ma che evidentemente nessuno si sentiva di sostenere.
Alessandro Ronga
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