La space democracy dei nanosatelliti e la nuova era spaziale

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Nanosatelliti

Positiva inclusività dell’accesso allo spazio dei Paesi in via di sviluppo ma con un occhio aperto al controllo della spazzatura spaziale

Il raggiungimento di nuovi traguardi tecnologici è stato a volte pomposamente celebrato dall’umanità definendo alcune nuove ere. Una è quella atomica nel secondo dopoguerra con lo sviluppo delle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica. Successivamente, l’era spaziale con l’avvio dei primi lanci di satelliti artificiali che hanno portato l’uomo nello spazio e addirittura sulla luna. Dagli anni ’50 del secolo scorso in poi, abbiamo assistito alla competizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica per la cosiddetta “conquista dello spazio”. Essa ha assorbito notevoli risorse economiche e, sulla spinta della competizione, in circa due decenni ha portato l’uomo sulla luna. Naturalmente le due principali superpotenze potevano investire ingenti risorse nel progetto, ma anche altre Nazioni si sono accodate con i loro programmi spaziali.

Il progetto San Marco

A questo proposito si ricorda, con meritato orgoglio nazionale, anche il progetto San Marco. Voluto e diretto da Luigi Broglio, che è stato in grado di lanciare con successo un satellite italiano subito dopo Stati Uniti e Unione Sovietica. Si sottolinea soltanto che oltre alla progettazione, realizzazione e controllo di missione dei vari satelliti San Marco, Broglio è riuscito a gestire anche la delicata e costosa fase di lancio. Per poterlo fare ha utilizzato una piattaforma petrolifera a Malindi in Kenia messa a disposizione da un altro grande italiano, Enrico Mattei, presidente dell’Eni. I due erano legati da antica amicizia nata nella resistenza partigiana al seguito di Paolo Emilio Taviani.

L’avvento dei nanosatelliti

Dagli anni ruggenti della conquista dello spazio si sono fatti, nel corso degli ultimi decenni, numerosi progressi. Naturalmente questo soprattutto grazie a sviluppi scientifici e tecnologici provenienti da altri campi. In particolare l’elettronica con la sua associata miniaturizzazione dei componenti e i nuovi materiali impiegati. Negli ultimi dieci anni si è assistito a una repentina crescita dei cosiddetti nanosatelliti cioè di quelli che hanno, più o meno, le dimensioni di una scatola di scarpe. Bisogna tenere presente che prima del loro avvento le dimensioni di un satellite potevano raggiungere la decina di metri e un peso di migliaia di chilogrammi.

Come sono fatti?

Un nanosatellite e la sua standardizzazione, chiamata CubeSat che prende il nome dalla sua forma a cubo, ha nella sua unità base dimensioni di 10x10x10 cm e una massa di circa 1,3 Kg (come mostrato in figura). Da questa unità base si possono costruire in maniera modulare dei nanosatelliti più grandi da progettare a seconda del tipo di missione che si vuole realizzare. Questa modularità consente di conservare degli standard realizzativi soprattutto per quanto riguarda l’elettronica di bordo. In tal modo, dalla unità di base 1U, si possono avere satelliti più grandi con i vari multipli di U.

Una grande proliferazione

L’impressionante aumento di nanosatelliti lanciati è ben rappresentato dal grafico seguente.NanosatellitiSi noti che negli ultimi cinque anni la crescita è più che triplicata. In questo senso si può affermare che i nanosatelliti definiscono una nuova era spaziale caratterizzata da un generalizzato accesso allo spazio a causa dei bassi costi e tempi di produzione. Di questa nuova era si parla come di “space democracy”, cioè anche Paesi in via di sviluppo possono accedere allo spazio e a propri programmi spaziali nazionali.

In Africa, ad esempio, c’è un grande fermento di attività nel promuovere e realizzare piccoli satelliti da porre in orbita sviluppati e controllati sul territorio nazionale. L’utilizzo di razzi vettori non è ancora un servizio a basso costo ma è anche vero che il costo di un biglietto per trasportare un nanostellite in orbita è comunque proporzionato al suo peso. Quindi, essendo questi molto leggeri, il costo è comunque contenuto.

La space economy

Questa grande affluenza di nuovi utenti fa parlare di una nuova “space economy”. Basta pensare che l’intera industria spaziale nel 2018 fatturava 340 miliardi di dollari e che si prevede che si possa passare a 642 miliardi nel 2030. I nanosatelliti in particolare potrebbero far subire una grande accelerazione ad applicazioni come l’internet delle cose o IoT (Internet of Things) e cioè applicazioni quali la casa intelligente, la città intelligente ecc.

Cosa si fa coi nanosatelliti?

Naturalmente, oltre alle telecomunicazioni appena considerate, tra gli impieghi dei nuovi nanosatelliti c’è il controllo del territorio e delle infrastrutture come ponti, viadotti, dighe, edifici gasdotti e quant’altro. Da considerare, poi, il monitoraggio delle foreste e delle coltivazioni, degli incendi boschivi, il controllo delle acque e di tutti gli eventi catastrofici quali terremoti, frane, esondazioni, tsunami. Queste applicazioni, che vengono chiamate “osservazioni della terra”, ovviamente hanno bisogno di “occhi” in grado di osservare. Cioè di telescopi ottici ad alta definizione e camere termiche infrarosse che possano “vedere” corpi caldi (come gli incendi) anche attraverso le nuvole che invece schermano le osservazioni ottiche nella banda del visibile. Ebbene tutte queste applicazioni sono ora possibili anche utilizzando nanosatelliti.

Le costellazioni

Va comunque sottolineato che queste applicazioni sono possibili solo se si ha un ragionevole “tempo di rivisita”. Cioè il tempo tra un passaggio del satellite sulla verticale del punto interessato e il passaggio successivo. Va da sé che se tale tempo è dell’ordine di 12 ore non ha molto senso monitorare ad esempio un incendio (dato che in 12 ore l’effetto potrebbe essere devastante). Mentre se il tempo fosse di mezz’ora o meno, il controllo sarebbe soddisfacente. Ma per avere dei piccoli tempi di rivisita è necessario che il satellite non sia uno soltanto ma che si possa disporre di una costellazione di satelliti, per esempio 40 o più. La costellazione avrebbe ogni satellite comunicante con gli altri e appartenente a un’orbita calcolata in modo che si possa ricoprire l’area terrestre interessata con un tempo di rivisita stabilito.

La spazzatura spaziale

Tutti questi discorsi che sono sicuramente interessanti e affascinanti hanno però qualche controindicazione che è bene non trascurare. Bisogna infatti considerare che dall’inizio dell’era spaziale, cioè dal secondo dopoguerra, la cosiddetta orbita LEO (Low Earth Orbit) cioè quella più vicina alla terra e che ospita tutte le applicazioni citate, comincia a essere piena zeppa di materiali che non sono più satelliti funzionanti. Si tratta di residuati di satelliti giunti a fine vita.

Ma anche di stadi di razzi utilizzati per il lancio di satelliti, frammenti di satelliti non più utilizzati, polveri e materiale vario che continua a orbitare intorno alla Terra. Tutto questo materiale lo possiamo definire “spazzatura spaziale” costituita da circa 35.000 oggetti spaziali rilevabili con dimensioni maggiori di 10 cm e con una massa totale di circa 8.500 tonnellate.

Tutelare l’ambiente

Concludendo si noti che, nelle straordinarie possibilità che offrono le costellazioni di nanosatelliti, non bisogna trascurare che anche lo spazio fa parte del contesto diambienteper l’uomo. Di conseguenza si deve tutelare e conservarne la fruibilità di quanti verranno dopo di noi. È necessario, quindi, progettare anche un sistema di abbandono dell’orbita a fine vita. Ciò, per favorire un rientro in atmosfera e una completa distruzione anche se questo può aumentare un po’ i costi di produzione.

 

Nicola Sparvieri

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Laureato in Fisica, si è occupato di superconduttività e spazio. Ha insegnato Fisica Generale alla Sapienza ed è membro dell'Accademia Internazionale di Astronautica. Giornalista pubblicista, è titolare di un blog. Scrive di scienza, società, ambiente e sostenibilità. Cofondatore di RISE, associazione noprofit che promuove la nascita di startup sostenibili. Ama i suoi nove figli e i numerosi nipoti il cui numero è destinato ad aumentare.

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