La contestata riforma pensionistica francese

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Pensioni

I sessanta parlamentari della commissione Affari Sociali stanno ora lavorando, articolo per articolo, sul testo

Siamo alla vigilia della seconda mobilitazione di piazza, quando lunedì 30 gennaio i deputati danno il via ai dibattiti in commissione sul contestatissimo progetto di riforma delle pensioni. L’opposizione sempre più contrariata dall’immancabile fermezza del Governo.

Domenica i toni si erano alzati dopo che il primo ministro, Elisabeth Borne, aveva asserito che il rinvio dell’età pensionabile non era «più negoziabile». Il capo dei deputati del Rassemblement National (RN), Marine Le Pen, aveva avvertito «il primo ministro non dovrebbe andare troppo avanti, perché, così com’è, non è affatto impossibile che la sua riforma delle pensioni non venga votata».

La riforma faro del secondo quinquennio di Emmanuel Macron

I sessanta parlamentari della commissione Affari Sociali stanno ora lavorando, articolo per articolo, sul testo che prevede un ritardo dell’età legale di pensionamento da 62 a 64 anni e un’accelerazione dell’estensione della durata contributiva.

Il progetto di riforma delle pensioni dopo mesi di attesa era stato presentato dalla Borne il 10 gennaio. Il testo, sarà esaminato dal Parlamento a partire dal 6 febbraio, e introduce il rialzo dell’età pensionabile legale (portata a 64 anni nel 2030) e l’estensione dell’anzianità contributiva (che raggiungerà i 43 anni dal 2027). Per il Governo, l’obiettivo principale è garantire il finanziamento del sistema pensionistico a lungo termine, stimando, sulla base di uno degli scenari dell’ultimo rapporto del Comité d’orientation des retraites (Cor), che sarà necessario trovare 12 miliardi di euro nel 2027 e 14 miliardi nel 2030.

Le diverse alternative per la riforma

I sindacati, gli economisti e i partiti di opposizione, che sono divisi sulla reale necessità di una riforma, sostengono che esisterebbero altre soluzioni per assorbire il futuro deficit del sistema pensionistico. In particolare i partiti di opposizione, che rifiutano che i lavoratori siano gli unici a contribuire, non propongono un’unica soluzione, ma un mix di strumenti da attivare.

Aumento dei salari

La ripresa dell’economia dopo la crisi di Covid19, e poi l’impennata dell’inflazione, hanno fatto salire i salari e, attraverso di essi, il volume dei contributi ricevuti dai fondi pensione. Questo è uno dei motivi per cui il sistema pensionistico ha registrato eccedenze inaspettate nel 2021 e nel 2022, secondo il Comitato. Per i sindacati, garantire l’equilibrio a lungo termine del sistema richiede quindi anche nuovi aumenti. Uno del 5% dei salari del settore privato porterebbe 9 miliardi di euro di contributi all’anno, secondo il sindacato della CGT (Confédération Générale du Travail).

Questo sindacato propone inoltre di porre fine al divario retributivo del 28% tra uomini e donne“, che porterebbe 6 miliardi di euro ai fondi pensione ogni anno. Nel 2010, il Fondo nazionale di assicurazione sanitaria aveva stimato che la parità di retribuzione tra uomini e donne avrebbe portato 11 miliardi di euro nell’anno della sua attuazione e 5 miliardi nel lungo periodo.

PensioniInterrogato sulla rilevanza di questa misura, il ministro dell’Economia, Bruno Le Maire, ha ribadito all’inizio di gennaio che un aumento generalizzato dei salari «correrebbe il rischio di una spirale inflazionistica». Inoltre, l’esecutivo ha già messo a punto la sua dottrina in materia: non spetta al Governo decretare un aumento salariale, ma alle aziende, che sono il risultato di trattative. Da un punto di vista pratico, questa misura sembra complicata da attuare.

Aumento dei contributi sociali

Se non è possibile aumentare i salari complessivi, il Governo può agire sull’aliquota applicata ai contributi dei datori di lavoro e dei lavoratori, sottolineano i sindacati, che si esprimono a favore di un aumento dei contributi dei datori di lavoro. L’aliquota contributiva effettiva del datore di lavoro per le pensioni (di base e integrative) è del 16,46% per il salario medio (2.340 euro netti), secondo lo studio d’impatto del Governo sul progetto di riforma delle pensioni. Tuttavia, un aumento “di circa un punto” di questo contributo porterebbe 7,5 miliardi di euro all’anno, osserva l’Unsa (Union nationale des syndicats autonomes).

Il parere dei diversi sindacati

Mentre la Cgt vorrebbe iniziare chiedendo ai datori di lavoro di contribuire, la Cftc (La Confédération française des travailleurs chrétiens) e l’Unsa (Union nationale des syndicats autonomes) si dicono pronte a chiedere ai dipendenti di fare uno sforzo, in particolare a quelli con un reddito elevato. Alcuni sindacati stanno anche esaminando i “regali” fiscali di cui hanno beneficiato le aziende. Le esenzioni hanno ridotto notevolmente i contributi pagati dalle aziende con stipendi bassi, una misura che tuttavia è stata ritenuta inefficace in termini di occupazione per gli stipendi superiori a 1,6 smic (salario minimo di base) secondo il Conseil d’analyse économique nel 2019.

I pareri condivisi e favorevoli

Anche i partiti di sinistra difendono l’aumento dei contributi a carico dei datori di lavoro. Lo stesso vale per François Bayrou, presidente del MoDem (Mouvement Démocrate), membro della maggioranza presidenziale. «Un lievissimo aumento dei contributi a carico dei datori di lavoro, appena un punto, (…) potrebbe dare un forte contributo (al mantenimento dell’equilibrio finanziario del sistema) e soprattutto garantire un’equa distribuzione degli sforzi», ha spiegato al giornale Les Echos. Proposta che sembra accettabile ai francesi: più della metà (59%) dei non pensionati è pronta a contribuire di più per evitare di andarsene più tardi.

Il Governo ha previsto di far contribuire le aziende attraverso un aumento dei contributi di vecchiaia, in modo che “tutti facciano la loro parte”, secondo Elisabeth Borne. «Ma questo contributo sarà interamente compensato dalla riduzione di quello di un altro datore di lavoro, al regime di infortuni e malattie professionali, un ramo della previdenza sociale che ha un’eccedenza». Perché per l’esecutivo non si tratta di aumentare il costo del lavoro“, quanto di raggiungere la piena occupazione entro la fine del quinquennio.Allo stesso modo, non si tratta di imporre un ulteriore onere alle famiglie in un momento in cui il loro potere d’acquisto è già eroso dall’inflazione. «Sento quelli che dicono “sono pochi euro al mese”», ha dichiarato il ministro del Lavoro Olivier Dussopt. «A parte qualche euro nel 2023. Nel 2030 saranno 460 euro» all’anno e per dipendente, tenendo conto delle esigenze di finanziamento.

Riduzione degli attuali pensionati

Anche i pensionati francesi potrebbero avere “i mezzi per partecipare allo sforzo collettivo”, poiché gli attuali hanno un tenore di vita più elevato rispetto alla popolazione generale, cosa che non accadeva prima del 2000″. Tuttavia, questa soluzione non viene proposta dai partiti o dai sindacati, perchè riflettendo alla sottoindicizzazione delle pensioni rispetto ai prezzi, si deve distinguerela riforma congiunturale da quella a più lungo termine“. In effetti, il tenore di vita relativo dei futuri pensionati si ridurrà, poiché, al di fuori dei periodi di inflazione, i salari evolvono più rapidamente dei prezzi. Le pensioni sono indicizzate a questi, non ai salari. Nel lungo periodo, quindi, il tenore di vita dei lavoratori aumenterà più rapidamente di quello dei pensionati.

Il Governo ha escluso completamente una riduzione del livello delle pensioni. Al contrario, vuole aumentare leggermente le pensioni più basse, in caso di carriera completa. Inoltre, i pensionati hanno già contribuito al finanziamento del sistema attraverso i contributi versati dai dipendenti e continuano a farlo attraverso il Csg (Contribution sociale généralisée), che viene detratto dalle pensioni. Tuttavia, questa misura potrebbe essere uno strumento tra gli altri, come pensano alcuni esponenti della maggioranza.

Tassare maggiormente i più ricchi

Nel suo rapporto sulle disuguaglianze l’organizzazione anti-povertà Oxfam osservava che tassare i 42 miliardari francesi “di appena il 2% all’anno” compenserebbe lo squilibrio del sistema pensionistico, portando quasi 11 miliardi di euro.

Il ragionamento di Oxfam è «totalmente falso”, ha dichiarato Olivier Véran, portavoce del Governo, durante un briefing con la stampa. «Tassare qualche decina di miliardari» per rimediare al deficit pensionistico equivale, secondo lui, a confondere «la fortuna personale di un direttore d’azienda con il capitale di una società». Gli economisti sottolineano anche il rischio di vedere grandi fortune, e i posti di lavoro legati alle loro aziende, lasciare il Paese. Oppure il fatto che queste entrate sono volatili, poiché i patrimoni delle persone più ricche sono generalmente costituiti da azioni il cui valore fluttua.

Lotta alla disoccupazione tra gli anziani

Pensioni Secondo il leader del sindacato Cftc (La Confédération française des travailleurs chrétiens), Cyril Chabanier, aggiungendo al 56% di persone tra i 55 e i 64 anni che attualmente lavorano «il 1015% in più di anziani che lavorano, si otterrebbero 10 miliardi di euro all’anno». Questo obiettivo potrebbe essere raggiunto attraverso una maggiore formazione dopo i 45 anni e una migliore gestione della fine della carriera.
Ciò significa imporre un obbligo di negoziazionenelle aziende, come chiede la Cfdt. A tal fine, diversi sindacati sono favorevoli a sanzioni per le aziende che non mantengono i dipendenti più anziani.

Da parte sua, l’esecutivo ha proposto di creare un indice senior per le aziende con più di 50 dipendenti. Le aziende che non lo pubblicano sarebbero soggette a una sanzione pecuniaria fino all’1% del loro monte salari. Ma secondo l’attuale bozza, la mancanza di progressi nell’occupazione dei senior non sarà sanzionata.
La proposta cosi formulata è dunque insufficiente  per i sindacati poichè dimostra che l’intenzione di questo indice è, soprattutto, quella di non fare nulla che possa vincolare i datori di lavoro.

La riforma delle pensioni

I deputati della commissione Affari Sociali dell’assemblea nazionale non sono riusciti a esaminare tutti gli articoli del progetto di legge, a causa del gran numero di emendamenti presentati, 7.000 in totale, di cui 6.000 provenienti dal partito della Noupes (Nouvelle Union populaire écologique et sociale). La riforma delle pensioni sarà quindi esaminata nell’emiciclo lunedì prossimo 6 febbraio nella sua versione iniziale. I dibattiti, che dureranno due settimane, si preannunciano particolarmente agitati, poiché l’esecutivo non è sicuro di ottenere una maggioranza su questo testo.

Continuano gli scioperi e le manifestazioni

Dopo i primi due giorni di scioperi, che in Francia, secondo il ministero dell’Interno, hanno riunito il 19 gennaio 1,2 milioni di manifestanti e il 31 1,27 milioni di persone, il gruppo intersindacale si sta preparando per la continuazione del movimento. Altre due nuove giornate di protesta sono già previste, per martedì 7 e sabato 11 febbraio.

Ma ieri sera, venerdì 3 febbraio, il primo ministro Elisabeth Borne in un’intervista televisiva molto attesa su France 2 ha ribadito: «È essenziale realizzare una riforma per preservare il nostro sistema pensionistico a ripartizione». Anche se «chiedere ai francesi di lavorare progressivamente più a lungo non è facile».

 

Rossella Vezzosi 

Foto © AFP, 42mag, Le Salon Beige, Wikipedia

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