Con “L’animale della foresta” prosegue la pubblicazione degli scritti che Roberto Calasso aveva ultimato prima della sua scomparsa
L’estrema produzione kafkiana, rappresentata dai racconti Ricerche di un cane, Josefine la cantante e La tana, sublima i caratteri di un’esistenza fragile, totalmente assorbita dalla letteratura, che nel raccontare cerca una propria via di redenzione. Con cristallina scaltrezza esegetica, nell’ Animale della foresta (https://www.adelphi.it/libro/9788845936531) Roberto Calasso individua le coordinate di una strategia difensiva, di una tattica dell’elusione che nella sua estrema incarnazione assume forme ferine, legate al mondo animale.
L’esilio
Con grande capacità mitopoietica, in Josefine la cantante Kafka espone la parabola del destino ebraico e della funzione dell’arte. Apparsa all’improvviso fra il popolo dei topi, improntato a una scaltrezza pratica, la cantante rivela la potenza della sua arte. La sua ipersensibilità, che è anche quella dell’autore, marca la propria alterità rispetto alla massa. Il destino dell’artista è nella solitudine. Esiliato dalla storia, lo scrittore vive in perenne stato di estromissione; nessuno può comprenderlo. “Un solo punto le importava: il riconoscimento della sua arte. Ma nessuno sembrava disposto a concederglielo”. L’arte, perno attorno al quale lo scrittore orchestra la sua vita, si rivela inutile.
Il ricercatore
Anche in Ricerche di un cane il momento epifanico è legato alla musica, che sprigiona improvvisa dallo spazio vuoto. Il suono lascia l’ascoltatore esausto, stanco e debole. I sette cani musicanti appaiono costretti da un modello imposto dall’esterno. I loro gesti mostrano angoscia, disperazione. Le domande poste dal ricercatore sono destinate a rimanere senza risposta. Gli animali paiono governati da una forza superiore, che li spinge ad agire. Come l’autore stesso, tentano invano di sottrarsi al potere e alle sue incarnazioni.
Il cono e la tana
La misteriosa creatura protagonista del racconto La tana, forse una talpa, scava incessantemente cunicoli per sfuggire al nemico che la minaccia, rischiando di restare intrappolata nella sua stessa trama.
La pressione imposta dal persecutore obbliga la vittima a un incessante esercizio di sottrazione che conduce all’autodistruzione. Per tutta la vita Kafka esercitò questa ritrosia, sottraendosi all’amore e consegnandosi allo smarrimento. “Ma Frank non sa vivere. Frank non è capace di vivere”, scrive Milena a Max Brod nell’agosto del 1920, individuando il carattere di un uomo per il quale il Mondo, con le sue incombenze pratiche e le sue convenzioni, è un enigma imperscrutabile, un segreto insondabile. Viene in mente l’universo poetico, altrettanto claustrofobico, di Thomas Bernhard. In Correzione il suicida Roithamer coltiva l’utopia di costruire un cono a scopo abitativo per la sorella, all’interno del quale questa avrebbe dovuto trovare la felicità, mentre in realtà vi incontra solo la malattia e la morte.
Animalità
La simbologia animale, che nella Metamorfosi aveva raggiunto vette di inquietudine, diviene l’estremo rifugio possibile. Lo scrittore stesso, in una lettera a Brod, si definisce capro espiatorio, animale sacrificale che solleva l’umanità dalla colpa. In un’altra, stavolta indirizzata a Félice, l’interpretazione di un sogno identifica la salvezza nello sdraiarsi a terra insieme agli animali. Un giacere che rimanda alla malattia, quasi una giustificazione che permise a Kafka di rompere il rapporto con Félice, rinunciando definitivamente alla possibilità di un legame. La condizione patologica, esplicitata nel racconto Un digiunatore, è fuga dal Mondo e protesta contro i modelli del vivere borghese, contro le sue ritualità. L’elusione della sanità è sistematica distruzione, annientamento, è un abdicare alla vita per consegnarsi alla scrittura.
Parabole
La forma della parabola, assurta in Kafka a esiti altissimi, esprime il doloroso mistero dell’esistenza, di un mondo preda di un potere oscuro e invisibile. In una illuminante lettera a Milena, opportunamente posta da Calasso a conclusione del libro, Kafka descrive la propria condizione confezionando quello che è un vero e proprio piccolo racconto. Lo scrittore si definisce animale della foresta, refrattario a ogni possibile felicità, afflitto da stranezze che, alla fine, lo restituiscono inevitabilmente al suo luogo natio. L’ostacolo ineluttabile è egli stesso. In questa presa di coscienza risiedono la tragicità e la grandezza di Franz Kafka.
Riccardo Cenci
Foto © Wikipedia