Generale D’Ubaldi: una vita al servizio della Patria

0
1564
D'Ubaldi

In vista della ricorrenza del 2 Giugno un omaggio al mondo militare attraverso storie di sacrifici e rinunce, di preparazione e studio

Il 2 Giugno, come ogni anno dalla sua istituzione, ricorda la nascita della Repubblica Italiana. È uno dei simboli patri per il Paese, e corrisponde alla data del referendum istituzionale del 1946. Intervistare il generale di corpo d’armata Mauro D’Ubaldi vuole essere un omaggio al mondo militare italiano, e soprattutto un modo per ricordare che dietro vite brillanti al servizio della Patria esistono storie di sacrifici e rinunce. Non solo stellette e gloria, ma preparazione, studio e infinito senso del dovere.

Il generale D’Ubaldi, laureato in Scienze dell’informazione e in Scienze diplomatiche e internazionali (cum laude), ha conseguito i master in Scienze strategiche e Studi strategici politico-militari. Parla italiano, inglese, francese, spagnolo e portoghese. Una lunga carriera con esperienze all’estero contornata di riconoscimenti italiani e stranieri. Inoltre, D’Ubaldi è stato alunno d’onore (Master Warfighter) della scuola di Artiglieria dell’Esercito degli Stati Uniti d’America (decorato con Ordine militare di Santa Barbara). Da inizio Maggio 2023 ha lasciato il comando per la formazione e scuola di applicazione dell’Esercito a Torino ed è stato trasferito a Roma, come comandante logistico dell’Esercito.

Se dovesse scegliere, quali sono i momenti più intensi e memorabili, e quali invece le tappe più difficili che ha dovuto affrontare?

«I momenti intensi e memorabili sono stati molti. Ciascuno legato all’età, all’incarico e al periodo storico in cui sono avvenuti. Direi che la caratteristica comune è stata la possibilità̀ di condivisione di momenti speciali con la comunità̀ di coloro insieme ai quali operavo. Le nostre operazioni all’estero sono esperienze connotate da molta adrenalina. Il momento in cui si capisce di aver riportato a casa i propri uomini e donne, con i quali si è completata la missione assegnata, è probabilmente il sentimento al quale mi sento più legato. Guardare gli occhi, il sorriso stanco e soddisfatto dei miei, e poterli riconsegnare alla loro vita normale, è un sentimento che si comprende appieno solo quando si prova. È un privilegio».

Quando è nata la sua scelta di vita e quale percorso pensa che l’abbia favorita?

«La disciplina, da figlio di un ufficiale dell’Esercito, è stata una costante fin da piccolo. Che ho subito con vari tentativi (poco fortunati) di ribellione. Poi ci sono stati alcuni momenti e alcuni eventi internazionali che mi hanno colpito. Da giovane, ho sicuramente percepito una attrazione per l’avventura. In ogni caso, mi sono reso immediatamente conto che esistevano momenti importanti nella vita del Paese, dove esisteva oggettivo pericolo e al contempo uomini che lo affrontavano, vestendo una uniforme e la nostra bandiera. Erano gli anni del Libano di Franco Angioni. Da lì in poi, per dirla con Verdi, “Se quel guerrier io fossi… se il mio sogno s’avverasse…”. Ero un ragazzo desideroso di affrontare delle sfide. Il fatto che potessero essere difficili, persino pericolose, è stato un carburante importante».

Comandare è una grande responsabilità̀: quali principi la guidano ogni giorno nel suo lavoro? Ha mai momenti di cedimento?

«Ci ho riflettuto qualche volta. Agli inizi c’era molto fuoco, tanta buona volontà̀, voglia di imparare, cercare di essere migliore. Aspetti che continuano ad essere presenti, per quanto con una personalità̀ che negli anni è sicuramente maturata e oggi vede le cose con maggior serenità̀. Momenti di stanchezza ce ne sono stati, e ce ne sono ancora, come per tutti. Ma i principi alla base della nostra scelta aiutano molto ad accettare, comunque, il proprio ruolo. Anche nei momenti meno gloriosi. Se dovessi rispondere con una sola frase, direi semplicemente che è sufficiente cercare di essere ogni giorno il comandante che i propri uomini e donne meritano di avere».

Poeti, scrittori, filosofi e artisti, da sempre, parlano della libertà. Cosa significa per Lei?

«Libertà è una parola luminosa. Ho mille immagini legate a questo concetto così speciale. Da sotto la mia uniforme è un concetto che fa pensare al mio giuramento, alla mia idea di Patria, D'Ubaldialla Costituzione, alla Bandiera. E a tutte le situazioni vissute a contatto con circostanze dove la libertà era considerata un concetto vuoto e assente. Capisco che possano sembrare argomenti quasi pedanti, ma per noi soldati rimangono fondamentali. E danno molta forza. Penso però che ci sia un insegnamento su questo argomento che ho immediatamente amato. E sono le parole pronunciate a Cuneo, lo scorso 25 aprile, dal presidente Mattarella. La libertà, per noi italiani in particolare, significa proprio quello. Nulla di meno, nulla di più̀».

Parla ben cinque lingue ed è stato insignito di tante decorazioni. Quale è il sogno professionale ancora da realizzare?

«Ogni giorno ci deve essere un piccolo sogno da inseguire. Parlare di un quadro, di un libro, di una canzone. Soprattutto, condividerne lo stupore, il piacere e l’emozione con i compagni di lavoro sono le cose che cambiano in meglio le mie giornate. Piccoli sogni che spesso si avverano. Un sogno professionale forse non ce l’ho. Sono stato molto fortunato a incontrare uomini e donne che mi hanno aiutato nel cammino. Colleghi che hanno creduto in me al punto di considerarmi all’altezza di responsabilità̀ importanti. Bisogna sapersi accontentare di quel che si ha. Io ho avuto molto».

Tornando indietro, cambierebbe qualcosa del suo percorso? Che cosa?

«Non guardo spesso indietro. Sono certo in ogni caso che cambierei delle cose. Forse non grandi, ma sicuramente ce ne sono. Il concetto di successo professionale è spesso ingannevole. Conosco tanta gente la cui statura professionale è veramente eccezionale, ma non è stata ricompensata con particolari onori, né con riconoscimenti economici e di carriera. Alcuni, tra loro, hanno saputo interpretare questo come un’opportunità̀. Li vedo realizzati e felici. L’allenatore del Napoli calcio recentemente ha detto una cosa in cui mi sono ritrovato: “realizzato un obiettivo, ci si concentra subito sul prossimo, senza goderselo appieno”. Questa cosa avrei dovuto impararla meglio».

Le capita mai di immaginare una vita diversa per lei e la sua famiglia?

«Sicuramente mi porto addosso un silenzioso senso di rimorso per quello che non sono riuscito a dare alla mia famiglia in termini di vicinanza. Per non esserci stato in tante delle occasioni in D'Ubaldicui avrebbero avuto bisogno di me. Io e Stefania siamo sposati da 28 anni. Ma “sul campo”, per tornare a una metafora calcistica, sono molti di meno. Sono stato fortunato a incontrare una donna più̀ brava, saggia e paziente di me. Lei e nostro figlio avrebbero sicuramente meritato maggiore aiuto di quanto io sia riuscito a dare. È una situazione comune a tanti militari. I legami familiari sono sottoposti a stress molto pesanti, e tenere unite le famiglie è difficile. E da soli difficilmente ci si riesce, se non si può contare su mogli, mariti e figli un po’ speciali».

La Difesa italiana è composta da migliaia di giovani che si arruolano per difendere un ideale: che messaggio vuole mandare loro?

«Siamo uomini e donne al servizio degli altri. L’esperienza del comando è una grande realizzazione, ma la strada è difficile e piena di asperità̀. Direi loro di non avere paura. Servono perseveranza nei principi, dedizione e impegno per un costante miglioramento. Anche l’accettazione matura delle responsabilità̀ che ne derivano. Sono questi tutti sforzi che ripagano. Nella mia recente esperienza al comando della formazione degli ufficiali dell’Esercito ho cercato di tenere molto alto il livello di considerazione e fiducia nei giovani. Spero che il loro tempo per l’assunzione di superiori responsabilità̀ professionali sia destinato a ridursi rispetto a quanto avvenuto per le generazioni precedenti».

Lei è tra i massimi esperti militari di strategie e relazioni internazionali. È inevitabile, visti i tempi che stiamo vivendo, di chiederle del conflitto in corso russo-ucraino. Quali pensa che saranno le evoluzioni di questa guerra?

«Viviamo tempi che ci propongono schiere di esperti, quindi mi defilo volentieri da considerazioni così importanti. Sono un soldato dell’Esercito italiano. “L’Esercito degli italiani” recita uno D'Ubaldislogan a me molto caro. Se non ci fosse la necessità ipotetica di dover schierare i propri strumenti militari, non avrebbe senso averli. Sono strumenti per i quali il Paese, i cittadini, “pagano” un servizio, come se fosse un’assicurazione. Sperando ardentemente di non doverne mai usufruire. Il Paese, autorevole membro della Comunità̀ delle Nazioni, decide quando e come le proprie Forze Armate debbano essere schierate. Direi che la posizione del Governo e del Parlamento su questo frangente è chiara. A noi spetta continuare ogni giorno a svolgere i compiti che ci sono affidati. In particolare, quello di essere efficienti e pronti».

 

Lisa Bernardini

Articolo precedenteLa magia Disney torna a far rivivere La Sirenetta
Articolo successivoA volte il civico vince contro i leader nazionali
Lisa Bernardini
Toscana, classe 1970, Lisa Bernardini è giornalista pubblicista iscritta all’Ordine dei Giornalisti del Lazio e alla Stampa Estera in Italia, Presidente dell’Associazione Culturale “Occhio dell’Arte APS”, art director. Si occupa di Organizzazione Eventi, Informazione, Pubbliche Relazioni e Comunicazione. Fine Art Photography. Segue professionalmente per lo più personaggi legati alla cultura, all'arte e alla musica

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui