Il cinema dei fratelli Taviani

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Fratelli Taviani

Nel 1967 i due cineasti affermavano che la prima cosa che prendevano in esame nell’attore era la sua presenza

Per comprendere il cinema dei fratelli Taviani bisogna partire dall’uomo. «Crediamo nella qualità dell’uomo, nella sua capacità di produrre. Proprio perché ci sentiamo circondati dalle tenebre, siamo disperatamente dalla parte di chi lotta per fare luce». Una dichiarazione del 1962 che evidenzia l’impegno, la militanza civile di Paolo e Vittorio Taviani, un testamento rimasto intatto anche dopo la morte di Vittorio.

I due fratelli sono stati autori per gli “Esagerati” secondo una affermazione di Goethe. Perché l’esasperazione è il nuovo, di chi non si nasconde a sé stesso e agli altri, di chi è  pronto a tutto e a pagare di persona, abbastanza dolorante per essere maturo. Siamo nel 1966 e questo riferimento a Goethe fa comprendere come il cinema dei fratelli Taviani sia antropologico, dalla parte degli uomini con i pregi e difetti. Un cinema nato dal Neorealismo, che cerca di rispondere agli interrogativi esistenziali e alle esperienze nate dalla psicoanalisi, la psicologia, la musica, la pittura, arti che si stanno avviando verso la dissoluzione dei loro linguaggi. L’uomo si deve arricchire con queste componenti tramite la ragione.

Una visione laica quella dei fratelli Taviani che nel 1977 affermavano «la lotta per il nostro cinema si fa lotta politica». Il film non ha altre giustificazioni che se stesso. «Rifiutiamo il film che mendica la sua giustificazione o il suo salvataggio, nel comunicare un messaggio, una parola d’ordine che appartengono ad altri momenti dell’attività dell’uomo». Nei Taviani vi è una religiosità del politico. E questa ricerca è  severa: «il linguaggio cinematografico non può essere, che duro, impietoso; deve spezzare i paradigmi regressivi che paralizzato la capacità e la possibilità dello sguardo; deve creare occhi nuovi per attraversare lo spessore delle cose; nuovi ritmi, aperti a tutto anche all’errore, ma per questo vitali, carichi di impazienza» (1971).

L’attore

Nel 1967 i due cineasti affermavano che la prima cosa che prendevano in esame nell’attore era la sua presenza, la sua possibilità di avere una carica visiva di comunicazione. «L’attore deve essere un oggetto cinematografico che deve avere una resa naturalistica della parte, cioè una capacità di verosimiglianza quotidiana». A questo punto, anche un’indicazione dell’attore ad atteggiamenti di recitazione teatrale o espressionista, può essere recuperata e proiettata alla resa non di una verità psicologica o narrativa immediata, ma di un incremento del ritmo significante del film.

La musica

Un altro elemento è il ritmo del film che è svolto dell’elaborazione musicale che va di pari passo alla sceneggiatura. I film dei fratelli Taviani sono più vicini alle strutture musicali. Si pensi a “Allonsanfàn” che a quelle di tipo narrativo, figurativo (1977). «Per noi la musica è fondamentale non come commento, ma ha lo stesso peso del personaggio».

L’impegno civile

Basandosi sull’insegnamento rosselliniano neorealista, i fratelli Taviani imparano da quella lezione che cosa è il cinema e allargano lo sguardo a Ėjzenštejn e a Rocha. Rossellini per loro rappresenta la continuità del filone più autentico della cultura italiana (Pirandello, Verdi, Michelangelo, Machiavelli). «Le tensioni che Rossellini ci disse ritenere indispensabili per affrontare un film sono il coraggio e la curiosità» (1977).  Il cinema dei Taviani è libero e individuale. I film nascono dalle occasioni più diverse: da un comportamento, un volto, una storia, un paesaggio e i sentimenti umani quali la rabbia, l’amore e il furore politico.

Un altro elemento è l’ironia. Il cinema dei Taviani è costituito da una maschera che copre sempre il volto dell’immagine, lo ripara e con esso le idee pudiche degli autori. Nei film dei due cineasti non vi è la veridicità, ma la drammatizzazione è l’immaginazione. Ecco perché Fratelli TavianiVisconti e Rossellini saranno superati come modelli cinematografici e subentrerà una realtà  utopica attraverso la classicità e la poesia. Una narrazione che riprendeva Boccaccio, Joyce e Musil. L’uomo per i Taviani continua a possedere il principio del reale, perché se la società lo chiama e la storia sembra escluderlo, nella lotta di classe ritrova il senso della realtà. La parola è un’acquisizione della rivolta. Questo spiega il senso per i Taviani dato al film “Padre Padrone”, ovvero il rapporto padre e figlio che dal silenzio passa all’urlo.

In questa riflessione deve riproporsi il significato del tema civile. Un argomento d’attualità particolare che nel 1965 Franco Fortini riprenderà nel suo saggio “Verifica dei poteri”. Il mandato sociale degli scrittori è l’affermazione del testo e i Taviani sceglieranno  la metafora, allontanandosi apparentemente e appropriandosi della realtà.

 

Paolo Montanari

Foto © Lucca Film Festival, ASCinema, Positano News

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