Grazia Deledda, scrittrice e traduttrice

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Grazia Deledda

Da “Sangue sardo” alla scoperta dei grandi autori del primo Novecento

Grazia Deledda fu tra le più notevoli scrittrici della narrativa italiana del primo Novecento, le cui opere ebbero contrastanti valutazioni da parte dei critici. Continuatrice del Verismo sul quale seppe innestare una personale sensibilità. Giuseppe Dessi ha scritto un saggio proprio sul suo ruolo di traduttrice. La giovane scrittrice iniziò una collaborazione con la rivista sarda L’ultima moda del 1888 e pubblicò in quella occasione il suo primo racconto “Sangue sardo“.

Grazia Deledda inizia la sua prima esperienza di traduttrice con i versi del simbolista francese Camille Monclair e a partire dal 1892 cominciò a produrre i suoi romanzi, da “Fior di Sardegna” del 1892 a “Cosima” del 1936. La sua formazione fu nutrita di letture dai generi più disparati, la Bibbia, Omero, Verga, Dumas, De Amicis, Dostoevskij e mossa dal Verismo si concentro sulla condizione dell’umana fragilità “L’uomo come una canna al vento” nel senso del peccato e della colpa (il mito di una giustizia sovrannaturale, l’eterna storia dell’errore, del castigo, del dolore umano). Centrale probabilmente delle concezioni dostoevskiane così ben assimilate, sulla ricerca delle corrispondenze fra stati d’animo e paesaggio, sicché nelle sue opere prevalsero un’accesa coloritura romantica e una problematica morale.

I temi di Grazia Deledda

Troviamo innanzitutto un’impronta verista che coincide con una attenta documentazione sociologica della Sardegna (problemi morali e religiosi) e soprattutto un’integrazione della sua Terra, in cui si aggirano figure patriarcale in un mondo fuori dal tempo.

Fondamentale nell’opera della Deledda è il tema delmale” analizzato da vari punti di vista: rimorso, sacrificio, riscatto e passioni. Da qui anche le similitudini con la Sardegna immersa nelle antiche tradizioni e nei valori familiari e religiosi. “Isola del Mito”. “La madre” simile al vento di brughiera che ritroviamo nella narrazione di “Cime Tempestose” di Emily Bronte.

Grazia DeleddaNel romanzo in “La via del male” pubblicato nel 1896, Grazia Deledda, suggestionata dal verismo, abbandonò le imitazioni degli autori romantici e i facili sentimentalismi, mutuati dalle letture di autori come Dumas, Balzac e Carolina Invernizzo. Nel 1920 pubblica il suo romanzo centrale della sua riflessione narrativa “La madre“, sintesi dei vari motivi ispiratori dell’arte della scrittrice. La prefazione del libro all’edizione inglese fu curata dallo scrittore D.H.Lawrence, che rilevò certe analogie tra la narrazione della Deledda e la Bronte.

Scrittrice europea

Dopo un lungo periodo isolano la Deledda si trasferì a Roma e iniziò a frequentare i salotti borghesi. Nel 1912 affrontò la lettura di nuovi autori come Thomas Mann, Kipling e Strindberg. La sua antica ancestrale e silenziosa Sardegna assume una dimensione europea. Ma scrittori come Orietti e Pirandello furono ostili ai suoi romanzi fermi nel tempo. Ma la Deledda non si scoraggia e scrive 86 lettere indirizzate a Weimar, Zurigo e 81 a Berlino, ed entrò in corrispondenza anche con Tolstoj.

La sua eredità

Grazia Deledda scrisse ben 56 volumi e molte traduzioni, diventando una esteta del paesaggio. Se andiamo ad analizzare la sua opera, “Elias Portolu”, fu considerato il suo miglior romanzo per Momigliano e Emilio Cecchi. Il protagonista torna in Sardegna da un penitenziario del Continente. Una storia amorosa e incestuosa gli provoca “un angoscia confusa, febbrile, un desiderio di mordersi i pugni, di gridare, di gettarsi per terra e piangere”. In Elias è forte la conflittualità fra desideri e divieti, passione e norme etico – sociali. E ad un certo punto vi è una rinuncia ai sentimenti e prevale l’apologo-fiaba in una sorta di espiazione e catarsi.

Per Attilio Momigliano i personaggi della Deledda si dibattono in una grandiosa lotta fra il bene e il male, in una rivolta senza speranza contro il destino. In lei vi è una capacità simile a quella di “Delitto e castigo” e dei “Fratelli Karamazov” di ritrarre la potenza trascinante del peccato come una crisi che libera dal loro profondo cercare tutte le forze di un uomo, quelle sublimi e quelle perverse, e finisce per sollevare lo spirito in una sfera che forse non raggiungerebbe altrimenti.

 

Paolo Montanari

Foto © Cagliarimag, Ebay, Ibs, San Gavino Monreale

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