Omaggio a Liliana Cavani

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Liliana Cavani

Un Leone d’oro alla carriera esemplare per il cinema italiano che ha un significato polivalente

Il Leone d’oro per la carriera al Festival del cinema di Venezia ricevuto da una regista come Liliana Cavani, classe 1933, nata e cresciuta a Carpi, ha un significato polivalente. Da una parte un omaggio a una cineasta indipendente da vincoli ideologici e politici anzi per la sua sete di verità sull’uomo, anche anticonformista. Dall’altra è un incentivo a proseguire a leggere libri, trarre idee e realizzare nuovi film come fu “L’ordine del tempo”, in questi giorni presente nelle sale cinematografiche italiane e tratto dall’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli, uscito nel 2017.

 

La sua infanzia e l’amore per il cinema

Liliana Cavani non è una figlia d’arte, ma l’amore per il cinema le è stato trasmesso dalla madre, un casalinga carnitina, che come in gran parte dell’Emilia Romagna, ha respirato arie musicali prima del Verdi e poi di Vasco Rossi, e dell’arte cinematografica, pensiamo al romagnolo genio visionarlo di Federico Fellini e ai fratelli Bertolucci di una Parma apparentemente tranquilla, ma in realtà rivoluzionaria. E non per ultimo il piacentino Marco Bellocchio, cresciuto con i “Quaderni piacentini” e con un forte senso di ribellione verso i poteri forti.

Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica presso il liceo classico di Modena si laurea nel 1959 all’università di Bologna in lettere antiche, studi che le serviranno per quello spirito documentaristico che porterà nel cinema. Infatti la Cavani si diploma poi presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma con il cortometraggio “La battaglia” vincendo il “Ciak d’oro”. Forte di questo trampolino di lancio inizia a girare documentari e film d’inchiesta di stampo politico e sociale per la Rai: “La storia del Terzo Reich”, “La donna nella resistenza” e “La casa in Italia”.

Da “Francesco D’Assisi”…

Nel 1966 gira il suo primo capolavoro “Francesco D’Assisi” primo suo film sul Santo. Al centro della sua riflessione religiosa laica ma molto rigorosa, un riferimento a due grandi cineasti Dreyer e Bresson, è il pauperismo e la denuncia dei vincoli borghesi. A interpretare il primo Francesco d’Assisi fu Lou Castel. Un bianco e nero che si coniuga alla essenzialità dei dialoghi e a sequenze alternate che si rivolgono proprio al tema della denuncia sociale. Anni dopo sarà Pasolini con “Il Vangelo secondo Matteo” a riprendere la tematica religiosa con un taglio di rivolta sociale.

Nel 1968 la Cavani firmò un nuovo film “Galileo“, con il quale mise a fuoco il tema del conflitto tra scienza e religione. Un tema sempre caro a Liliana. Poi nel 1970 vi fu la svolta verso la drammaturgia classica, all’Antigone di Sofocle, con una trasposizione moderna nel film “I cannibali“, esprimendo con un linguaggio particolare il conflitto tra pietà e legge radicato nel contesto sociale e politico di quegli anni, il ’68, la contestazione che nascendo in Francia si svilupperà anche in Italia.

Dal 1972 con il film “L’ospite“, che racconta la storia di una donna ricoverata da anni in un manicomio-lager e che tenta invano di reinserirsi nella società, la Cavani produce numerosi film anche diversi fra loro: “Milarepa“, titolo dell’omonimo testo classico della letteratura tibetana. Con la sua profonda poliedricità di interessi si cala nella cultura del mistico dell’XI Secolo. Tradizioni, riti, associazioni e dissociazioni con la società contemporanea rendono il film non di facile lettura, ma affascinante.

A “Il portiere di notte”

Nel 1973 il secondo capolavoro, “Il portiere di notte“, un film bellissimo e angosciate, basato sul mistero del rapporto tra vittima e carnefice. Anche questa tematica risente della tragedia greca, così la chiamo quando ci siamo conosciuti due anni fa alla Mostra del Nuovo Liliana Cavanicinema di Pesaro. Prosegue la sua indagine interiore nel 1977 con il film “Al di là del bene e del male“, film che racconta le ultime vicende della vita di Nietzsche. Nel 1981 firmò la regia per il lungometraggio “La Pelle” in cui appaiono Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale e Burt Lancaster. Poi un susseguirsi di film, da notare “Interno berlinese”, su ambigue perversioni sessuali, che però non ebbe un consenso da parte della critica, fino al 2002 con il film “Il gioco di Ripley” tratto dal romanzo di Patricia Highsmith, in cui la regista torna ad avere un successo internazionale.

Un susseguirsi di premi e riconoscimenti come nel 1999 a Roma dove ricevette la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione dall’Università Lumsa “per il costante impegno da lei profuso nell’umanizzazione dell’arte cinematografica, dando forma e voce alle grandi inquietudini del presente e alla tensione spirituale delle moderne generazioni”.

Poi il ritorno al passato alla fiction televisiva “De Gasperi, l’uomo della speranza e di Einstein”. E fra messaggio politico e scienza, un ritorno alla documentarista Cavani sulle tracce di Francesco D’Assisi nel convento di clausura delle clarisse di Urbino. Nel 2023 la Cavani torna, dopo oltre un Ventennio, alla regia di un lungometraggio con “L’ordine del tempo“. Scienza, uomo, trascendenza sono i suoi punti di riferimento

Pesaro Capitale della Cultura italiana 2024 il 22 settembre alle ore 18 nella sala Rossa del comune di Pesaro le dedica un omaggio nella rassegna “Quattro grandi registi ieri, oggi e domani”.

 

Paolo Montanari

Foto © Amica, LC, NPC Magazine

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