Sudan, la guerra dimenticata

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Sudan

50.000 persone sono accampate da mesi ma i campi sono sovraffollati e mancano cibo, acqua e servizi. In sei mesi 9.000 persone uccise

Sono trascorsi sei mesi dall’inizio della guerra in Sudan che vede contrapposte le Forze armate sudanesi (SAF) e le milizie paramilitari delle Forze di supporto rapido (RSF). Il Paese è diventato teatro della più grande crisi di sfollati al Mondo.

 

Circa 50.000 persone sopravvivono da mesi in rifugi di fortuna, senza alcuna assistenza o servizi di base, nella zona orientale del Ciad al confine con il Sudan. Sono fuggite a causa di guerra e violenze interetniche. Due terzi di loro provengono dalla Capitale Khartoum, in buona parte distrutta dai bombardamenti aerei. La stima è di COOPI Cooperazione internazionale, tra le poche Ong che intervengono in Sudan e nelle zone della Regione coinvolte dalla crisi che è iniziata il 15 aprile 2023. Oltre a intervenire nei campi profughi, sostiene anche negli insediamenti informali, non raggiunti prima da alcuna assistenza.

Situazione insostenibile

Una situazione che va ben oltre i confini nazionali del Sudan, coinvolgendo i Paesi vicini, primo fra tutti il Ciad dove è sinora arrivato più di mezzo milione di persone. «L’Europa e il Mondo ricco hanno gli occhi puntati altrove, ma nella Regione sudanese è in corso una tragedia senza precedenti da arginare immediatamente, anche per evitare ulteriori escalation», ha dichiarato Ennio Miccoli, direttore di COOPI.

Ad oggi il bilancio provvisorio delle Nazioni Unite parla di almeno 9.000 persone uccise «in uno dei peggiori incubi umanitari della storia recente», nelle parole di Martin Griffith, sottosegretario generale. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, oltre 4,5 milioni di persone sono sfollate all’interno del Sudan, mentre 1,3 milioni hanno cercato rifugio nei Paesi vicini, in gran parte in Ciad (508mila), Egitto (323mila), Sud Sudan (315mila). Inoltre, 25 milioni di abitanti, ossia più della metà dei 48 milioni del Sudan, hanno bisogno di aiuti umanitari.

Il colera si diffonde a macchia d’olio

Preoccupa la crisi dell’istruzione, tra le più gravi al Mondo, che conta attualmente quasi 20 milioni di bambini fuori dal sistema scolastico. La guerra flagella anche il sistema sanitario, vicino al collasso con il 70% delle strutture inagibili dopo i 59 attacchi armati ai danni degli ospedali in tutto il Paese segnalati dall’Oms. Manca inoltre l’accesso all’acqua potabile mentre il colera si è diffuso rapidamente colpendo molte zone urbane, compresa la Capitale, con migliaia di casi e decine di vittime accertate nelle ultime settimane.

«Scontri e violenze etniche in Darfur stanno causando un nuovo esodo. Mentre i campi profughi sono sovraffollati, le 50.000 persone accampate alla frontiera nella Regione orientale ciadiana di Sila non hanno nulla, spesso nemmeno un telo sotto cui rifugiarsi o accesso sicuro all’acqua», afferma Marcelo Garcia Dalla Costa, responsabile dell’Unità Emergenze di COOPI. «È una crisi nella crisi: dopo aver assistito ad atrocità e brutalità, queste persone hanno bisogno urgente dei beni e servizi di base, dal cibo alle cure sanitarie», ha aggiunto.

Una grave ondata di insicurezza alimentare colpisce attualmente 15 milioni di persone, Sudandi cui almeno sei a rischio carestia. Oltre che dal conflitto, all’origine dell’abbandono forzato dei terreni agricoli, l’accesso ai generi alimentari è reso più difficile dalla perdita di potere d’acquisto. L’inflazione ha raggiuto il 300%, in balia di un’economia nazionale il cui Pil si è contratto del 12.5 per cento nel 2023, un record negativo anche se confrontato con altri scenari di crisi come Siria o Yemen.

Equilibri difficili

Prima di aprile circa 3,7 milioni di persone vivevano in Sudan come sfollate interne, in maggioranza in Darfur, ora, nel Ciad orientale, sono arrivati oltre 400.000 profughi, che diventeranno 600.000 entro la fine dell’anno. Circa 130.000 vivono nei campi di Djabal, Goz Amir e Zaboud, e in quello informale di Kerfi. Tra loro, oltre 60.000 sono dei “rientrati”, ossia persone originarie del Ciad che si erano trasferite in Sudan, e per il 93% si tratta di donne e bambini. Decine di migliaia vivono invece in ripari improvvisati, sovraffollati, senza servizi di base e assistenza, attorno alle località di Tissi, Deguessa, Andressa e Mogororo.

Difficili gli equilibri con la popolazione locale per l’uso delle già scarse risorse: a Deguessa a marzo vivevano 3.000 persone, ora sono 12.000. Inoltre, altre migliaia sono bloccate in prossimità della frontiera: a impedire il viaggio sono le condizioni delle strade e l’impossibilità di attraversare i fiumi temporanei. Quando giungeranno in Ciad, la situazione si farà ancora più drammatica. Al confine con l’Etiopia, le scarse condizioni di sicurezza ostacolano i movimenti e si sono verificate epidemie di colera e malaria.

In questo quadro drammatico, la società civile sudanese ha dato prova di grande coesione e solidarietà, promuovendo iniziative di sostegno e assistenza a gruppi e famiglie colpite dal conflitto. Una fitta rete di organizzazioni comunitarie locali ha contribuito alla raccolta e alla distribuzione di generi alimentari e di forniture mediche, nonché alla gestione di presidi di emergenza per le cure di pronto soccorso e per raccogliere le donazioni di sangue, divenute critiche per feriti e pazienti a rischio senza accesso alle cure.

Sostegni

COOPI, presente nella provincia ciadiana di Sila dal 1997, concentra le sue attività sulle zone di Zaboud, Adde Mour e Deguessa. Nel campo di Zabud ha costruito sei Spazi amici dell’infanzia, per fornire servizi psicologici e psicosociali a bambini e donne fortemente traumatizzati, e ha distribuito 1.960 kit di prima necessità e 850 kit igienici, attuando una campagna di sensibilizzazione sui diritti dei bambini e contro gli abusi sessuali. A Tissi, così come in altre aree, ha rilevato l’assenza completa di operatori umanitari, distribuendo quindi aiuti non alimentari come sapone, zanzariere, taniche e costruendo latrine per arginare il rischio di malattie.

In Sudan, è presente dal 2004 per sostenere i gruppi più vulnerabili nelle aree di Nord Darfur, Kassala e Khartoum, con interventi di sicurezza alimentare, acqua, sanità e igiene, riduzione di rischi e disastri, protezione. Nelle province di Gedaref e Nord Darfur ha in questi mesi assistito gli sfollati con aiuti non alimentari. Lavora inoltre a nuovi progetti nella zona del Nilo Bianco e attorno a Khartoum, dove sono affluiti in alto numero i profughi in fuga dalla Capitale.

Fra le iniziative messe in campo, quelle che hanno sostenuto la riapertura delle scuole per offrire rifugio e ristoro agli sfollati, quelle per rintracciare i dispersi e ricongiungerli ai propri cari, o per il recupero dei corpi delle vittime per consentire alle famiglie di provvedere alle onoranze funebri. I volontari hanno inoltre diffuso del materiale informativo (infografiche social, volantini e manifesti) per sensibilizzare la popolazione sulle buone norme di sicurezza da adottare durante i bombardamenti, condividere recapiti per l’assistenza in caso di aiuto, e affrontare la presenza di ordigni inesplosi, ormai una realtà per le strade di Khartoum e in altre zone abitate.

Pulizia etnica come 20 anni fa

In Darfur, nel sudovest del Sudan, la crisi politica e gli scontri tra fazioni militari si sono intrecciati a una nuova ondata di pulizia etnica nei confronti delle persone di etnia Masalit da parte delle Forze di supporto rapido (RSF) e delle milizie arabe di etnia janjaweed. Vent’anni fa, in Darfur, oltre 300.000 persone furono assassinate, 2,5 milioni furono sfollate e centinaia di migliaia vittime di stupri, distruzioni e attacchi. «Quello che è iniziato come un conflitto tra due gruppi militari potrebbe trasformarsi in una vera guerra civile», ha dichiarato Volker Perthes, rappresentante speciale dell’Onu per il Sudan, che già aveva lanciato l’allarme su violenze «mirate di vasta scala contro i civili sulla base dell’identità etnica», con massacri e violenze sessuali che «potrebbero costituire crimini contro l’umanità». Tanto che la procura della Corte penale internazionale, a luglio, ha annunciato un’inchiesta su presunti crimini di guerra e contro l’umanità.

 

Ginevra Larosa

Foto © France24, UN, Diritti umani, COOPI, Assadakah

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