Forte Bravetta 1944

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Forte Bravetta

Settantasette le persone fucilate tra l’11 ottobre 1943 e il 3 giugno 1944, fra le quali don Giuseppe Morosini che ispirò la figura del prete in “Roma città aperta”

 

Nella parte nord-ovest di Roma si estende una vasta area di terreni che costituisce oggi il polmone verde della Città, la “Valle dei Casali”, all’interno della quale c’è il Forte Bravetta, una delle 15 costruzioni realizzate dopo l’Unità d’Italia fra il 1877 e il 1891 per difendere la Capitale da eventuali attacchi con l’artiglieria. All’epoca della costruzione, si trovava in una zona di confine, terreni che erano appartenuti nel Settecento/Ottocento alla famiglia nobiliare dei Mattei, che fra gli altri avevano il grande Palazzo Mattei di Giove situato nel centro storico tra via Caetani e via dei Funari, uno dei più importanti della Roma del Papa Re.

Forte Bravetta, dopo i primi decenni del Novecento, fu trasformato in un deposito di armi e il Governo fascista lo aveva adibito a luogo per le fucilazioni degli oppositori al regime. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940, il Forte diventa un luogo per eliminare i nemici del fascismo: politici, intellettuali, preti, uomini appartenenti alla resistenza sempre più movimento popolare, militari. Dopo l’8 settembre 1943 con la firma dell’armistizio e l’occupazione di Roma dei soldati di Hitler, fu il luogo del dolore per 77 persone, la cui esecuzione era stata riservata dai nazi-fascisti alla Polizia Africa italiana (PAI).

La ferocia dei nazisti

Il periodo delle esecuzioni va dall’ottobre 1943 al 3 giugno 1944, i mesi tragici di Roma duranti i quali i nazisti esercitarono la loro ferocia: la retata del Ghetto il 16 ottobre 1943, Via Rasella e la strage delle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944.

Le prime fucilazioni furono eseguite lunedì 11 ottobre1943 perché il Tribunale Speciale aveva condannato 6 persone per aver partecipato ad alcuni saccheggi a Roma e nei dintorni. Poi seguirono quelle di mercoledì 20 ottobre, di sabato 23 ottobre, di venerdì 26 novembre, di giovedì 20 gennaio 1944, di lunedì 31 gennaio, di sabato 4 marzo, di martedì 7 marzo, di lunedì 3 aprile, di mercoledì 3 maggio, di lunedì 8 maggio, di mercoledì 24 maggio, di sabato 3 giugno, un giorno prima della liberazione di Roma da parte degli anglo-americani. Sono i giorni del martirio, di eroismo di persone che stavano combattendo per la nuova Italia.

Due figure chiave

Tra l’11 ottobre 1943 e il 3 giugno 1944 furono uccise entro le mura di Forte Bravetta 77 persone. E dopo la liberazione, fu la volta di due figure chiave a Roma nella repressione e tortura delle persone arrestate: Pietro Caruso (22 settembre 1944) e Pietro Koch (5 giugno 1945).

Pietro Caruso, nella Roma occupata dai nazisti, diventa questore partecipando alle attività della polizia militare e le squadre fasciste che imperversano nella Città. È il primo ad arrivare a Via Rasella dopo l’attentato del Gap (Gruppo di azione patriottica) alla colonna dei militari che risalivano che provocò la morte di 32 soldati e 1 ferito morto poco dopo. Poco prima della strage, Pietro Caruso è il responsabile delle lista di 50 nomi di prigionieri che Herbert Kappler vuole per vendicare la morte di 33 tedeschi uccisi; cinquanta prigionieri che accompagnarono altri 285 martiri alle Fosse Ardeatine per essere uccisi con un colpo alla nuca e alla fine dell’operazione le cave furono fatte saltare in aria per occultare le uccisioni.

Pietro Koch era il capo della “Banda Koch” che infestò Roma seminando il terrore per la violenza nel corso delle operazioni e la crudeltà negli interrogatori. L’attività della Banda è in stretta collaborazione con i soldati delle SS con base alla Pensione Jaccarino nei pressi di via Veneto. Koch partecipò attivamente con il colonnello Kappler alla selezione dei prigionieri da fucilare alle Fosse Ardeatine. Un anno dopo la liberazione di Roma fu catturato e portato a Forte Bravetta dove venne fucilato il 5 giugno 1945.

La fede sopra tutto

Fra quei martiri, ci fu anche un prete, don Giuseppe Morosini, catturato per la delazione di Dante Bruna che la Ghestapo aveva infiltrato fra gli uomini della Resistenza e venduto per 70.000 mila lire in via Pompeo Magno mentre rincasava con un suo allievo al Collegio Leonino. Era il 4 gennaio 1944 e don Morosini era un oscuro sacerdote di 31 anni nato a Ferentino in provincia di Frosinone. I tedeschi lo accusarono di traffico di armi per i partigiani e spia delle forze Alleate e fucilato nel Forte Bravetta il 3 aprile 1944, lunedì di Pasqua. Il processo farsa si svolse il 22 febbraio 1944 presso il Tribunale Militare del Comandante di Roma in via Lucullo con la condanna a morte. Portato a Regina Coeli, si mette a recitare il rosario.

Testimone oculare dei giorni che precedettero l’esecuzione è stato l’illustre italianista, Italo Zingarelli. «Ha echeggiato nell’androne, sonora e ferma, la voce di don Giuseppe Morosini, che fra i condannati a morte attesa dell’esecuzione è il più popolare. Don Morosini la voce dell’apostolo ce l’ha. All’improvviso una frase che suona come uno squillo di tromba e sfida “preghiamo per la nostra cara Patria”. Sacerdote di Dio, non ha rancori e con la stessa voce e lo stesso accento “preghiamo per quelli che ci fanno soffrire”. Sono rientrato nella cella tutto sconvolto». (Il terzo braccio di Regina Coeli).

Il viaggio

Ancor più toccante è la testimonianza di monsignor Luigi Traglia (creato Cardinale da Papa Giovanni XXIII il 28 marzo 1960), che nel 1937 aveva ordinato sacerdote Giuseppe Morosini e come Vescovo vice gerente di Roma chiede e ottiene di essere accanto al suo Forte Bravettaprete sino alla fine. «Quando scendemmo lo scalone del carcere e fummo all’aperto il camion che doveva condurre don Morosini al Forte Bravetta per l’esecuzione non era ancora giunto. C’era qualche minuto da attendere là fuori; mi chiese il breviario e continuò il ringraziamento della Messa. Eccolo il camion con gli uomini della PAI.

Ne scende il sergente che lo comanda, è commosso anche lui ma obbedisce agli ordini. Quasi dubbioso mi si avvicina; il regolamento gli impone di mettere le manette a chi deve essere portato avanti al plotone. Ma si possono mettere le manette a un prete? Cerco di risolvere il dubbio: no, non lo faccia, stia pur sicuro, don Morosini non tenterà di fuggire. E le manette tornarono in tasca al sergente.

La fucilazione

Il camion si mette in moto; anch’io ero salito; una mattina rigida, con qualche velo di nebbia, con qualche persona intabarrata che sguscia per le strade. Durante il percorso, anche sul camion, pregammo. Avevamo intonato il Rosario e le parole della preghiera si sgranavano lentamente per le vie di Roma. Eccoci al Forte Bravetta; la preghiera era terminata, nessuna voce, nessuna parola dei presenti. Due ufficiali tedeschi ci vengono incontro, anch’essi silenziosamente». (Testimonianza in Capitolium 6 giugno 1964).

Don Morosini messo a sedere sulla sedia davanti al terrapieno delle fucilazioni e legato. Don Peppino (così era chiamato dai suoi ragazzini ai quali ogni giorno portava pane, latte, uova coperte) è tranquillo quando l’ufficiale della PAI gli si avvicina con la benda nera “non serve figliolo”, ma l’ufficiale insiste che deve farlo. All’ordine del “fuoco!” non tutti i militi sparano addosso al sacerdote, ma sparano in alto, qualche colpo lo ferisce e cade a terra. L’ufficiale resta immobile e uno dei tedeschi gli urla di un ordine, sfodera la pistola correndo verso don Peppino e lo finisce con un colpo alla nuca. A Forte Bravetta anche le mura, il fossato, gli alberi respirano aria di morte, resa salvifica da quel sacerdote umile, generoso e sorridente. E dagli altri eroi in quell’ “insanguinato tempio di gloria”.

La figura di don Giuseppe Morosini ha ispirato il prete interpretato da Aldo Fabrizi in Roma Città aperta”, sceneggiato da Sergio Amidei e Federico Fellini con la regia di Roberto Rossellini. Pagine di eroismo a Forte Bravetta, scritte da militari, sacerdoti, partigiani, intellettuali che hanno dato la vita per la nuova Italia. Oggi il Forte ricorda quei 77 martiri con il “Parco dei Martiri di Forte Bravetta, inaugurato dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, mercoledì 9 settembre 2009.

 

Enzo Di Giacomo

Foto © Enzo Di Giacomo

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Enzo Di Giacomo
Svolge attività giornalistica da molti anni. Ha lavorato presso Ufficio Stampa Alitalia e si è occupato anche di turismo. Collabora a diverse testate italiane di settore. E’ iscritto al GIST (Gruppo Italiano Stampa Turistica) ed è specializzato in turismo, enogastronomia, cultura, trasporto aereo. E’ stato Consigliere dell’Ordine Giornalisti Lazio e Consigliere Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Revisore dei Conti Ordine Giornalisti Lazio, Consiglio Disciplina Ordine Giornalisti Lazio

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