Ricordo di Claudio Abbado a 10 anni dalla morte

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Abbado

Una vita vissuta attraverso la musica nell’impegno politico, sociale, culturale e antropologico. Un genio del nostro tempo

 

Un omaggio a un grande direttore d’orchestra e musicista, Claudio Abbado, a 10 anni dalla morte. Per ricordarlo la Rai e la Scala tv hanno presentato un palinsesto per ricordare colui che fu direttore musicale del Teatro alla Scala dal 1968. Qui era di casa e ha diretto 362 spettacoli d’opera, concerti e 6 balletti, per un totale di 567 serate.

Di Claudio Abbado ho un ricordo personale quando ebbi la fortuna di conoscerlo a Pesaro in occasione della prima mondiale del “Viaggio a Reims”, per la regia di Luca Ronconi e con un cast stellare di cantanti. Il capolavoro rossiniano presentato al Rossini Opera Festival, sotto la direzione di Gianfranco Mariotti e illustri musicologi come Gossett, Cagli e Zedda. Abbado si è spento a Bologna il 20 gennaio 2014. Il 27 gennaio di quell’anno migliaia di persone si riunirono in piazza della Scala a Milano, dove era ritornato a dirigere il 30 ottobre 2012, per ascoltare le note della Marcia funebre dell’Eroica di Beethoven eseguita in sua memoria dalla Filarmonica della Scala diretta da Daniel Barenboim. La Filarmonica della Scala, i Berliner Philarmoniker e l’orchestra dei giovani europei, furono le creature più amate da Abbado.

Quest’anno la stagione di concerti della Filarmonica della Scala, che compie 40 anni di attività, è stata pensata ricordando il maestro, che volle questa creatura musicale, ispirandosi alla Wiener, e dove salì per la prima volta lui stesso il 25 gennaio 1982. Quella sera tra i musicisti, c’era anche il giovane Marcello Sirotti, violoncellista, che racconta le emozioni provate in quella circostanza. «Eravamo tutti eccitati per la nascita di questa novità. Non si sapeva ancora molto, ma si capiva che era qualcosa di importante, una sorta di transatlantico musicale, sul quale tutti sgomitavano energeticamente per salire».

Un giovane ma maturo direttore d’orchestra Claudio Abbado era il capitano di quel transatlantico avventuroso e affascinante. Quest’anno il 24 gennaio per ricordare quella data storica, l’orchestra milanese è stata diretta dal direttore principale Riccardo Chailly con un programma che ha accostato la musica di Stravinskij il capolavoro del 1945 “L’Uccello di fuoco” con uno dei vertici del sinfonismo di Cajkovski, la “Quinta in mi minore”.

Il miglior direttore di tutti i tempi

Se Mary Poppins avesse potuto misurarlo con il proprio metro magico, probabilmente vi avrebbe trovato scritto “ClaudioAbbado, il miglior direttore di tutti i tempi”. In realtà non è una affermazione favolistica, in quanto da giovane, venne giudicato da Arturo Toscanini come un geniale direttore pronosticandogli un grande futuro, misurandolo durante la sua maturità, quando passava dal podio del Berliner Philarmoniker a quello della Scala, dalle opere al repertorio sinfonico, dalla complicità con i più grandi solisti viventi a quella con i compositori che lui stimava, dalla fondazione della Filarmonica della Scala a quella della European Union Youth Orchestra o della Gustav Mahler Orchestra. Un proposito che Abbado perseguì nella sua maturità quando dedicava porzioni importanti del suo tempo alle orchestre giovanili venezuelane o all’Orchestra Mozart a Bologna.

La bellezza della musica

Come si spiegano, ancora oggi a 10 anni dalla morte, la bellezza, la grazia e l’intensità musicale nella sua interpretazione? Vi sono due tracce percettibili del suo lavoro, che Abbadoritornano in ogni registrazione, in ogni video, e non importa che si tratti di un album passato alla storia della discografia o della ripresa di una prova con un’orchestra di ragazzi. La prima traccia è la gentilezza, il sorriso: la gioia di fare musica. Sia con i Berliner sia nei capannoni industriali. La gioia di fare musica è un compito difficile per un direttore d’orchestra, perché la concentrazione spesso toglie la leggerezza. Ma questo non avveniva in Abbado. Claudio faceva musica con una letizia inarrivabile. Arrivava al cuore delle partiture e ne svelava la bellezza rimanendone lui stesso incantato, come Caravaggio quando si specchiava nei suoi quadri.

La seconda traccia che rendeva possibile la prima era la curiosità. Dello studio, dell’approfondimento. Abbado dedicava a ogni progetto tutto il tempo necessario, non si tirava mai indietro. Era si un perfezionista del suono, come Michelangelo della scultura. E lo fece fino agli ultimi giorni, quando il suo fisico era sempre più dominato dalla malattia. Ma non si stancava mai, perché le partiture sono insiemi di segni, di dettagli, che comunicano fra loro seguendo una logica mutevole ma anche aritmetica, come in Bach o tradita e ricomposta in continuazione come in una sinfonia di Mahler. La bellezza della musica, significava per Abbado spesso smontare il brano, rimontarlo, interrogarlo, studiarlo e modificarlo. E lui, come un ragazzino pieno di curiosità, si immergeva nella partitura musicale sia che scegliesse Beethoven che Berg e si calava nei panni dei compositori, alzava e lasciava fiorire la musica, sorridendo a ogni pentagramma.

Ha lasciato un vuoto nel mondo della musica, nell’interpretazione direttoriale delle grandi opere verdiane da il Don Carlo a Otello.

 

Paolo Montanari

Foto © Pietro Grasso, BiblioLMC

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