Giornata mondiale dei rifiuti zero

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Rifiuti

La produzione di rifiuti solidi urbani crescerà dai 2,3 miliardi di tonnellate del 2023 ai 3,8 entro il 2050 con un costo annuale globale che potrebbe raggiungere i 640,3 miliardi di dollari senza tener conto dei gravi rischi per la salute

 

Oggi, 30 marzo, si celebra la seconda edizione della Giornata internazionale dei rifiuti zero, indetta dalle Nazioni Unite per denunciare le pratiche di produzione e consumo insostenibili dell’umanità che stanno portando il Pianeta verso la distruzione. Secondo un nuovo Rapporto del programma dell’Onu (UNEP), Global Waste Management Outlook 2024, presentato in occasione della sesta sessione dell’Assemblea delle Nazioni Unite per l’ambiente a Nairobi in Kenya, i rifiuti urbani aumenteranno di due terzi e i loro costi raddoppieranno nel giro di una generazione. Si prevede infatti che la produzione di rifiuti solidi urbani crescerà da 2,3 miliardi di tonnellate nel 2023 a 3,8 miliardi di tonnellate entro il 2050.

Nel 2020, il costo diretto globale è stato stimato a 252 miliardi di dollari. Tuttavia, se si tiene conto di quelli nascosti dell’inquinamento, delle cattive condizioni di salute e dei cambiamenti climatici dovuti a pratiche dannose di smaltimento dei rifiuti, sale a 361 miliardi di dollari. Ma senza un’azione urgente, entro il 2050 potrebbe quasi raddoppiare fino a raggiungere l’incredibile cifra di 640,3 miliardi di dollari.

«La produzione di rifiuti è intrinsecamente legata al Pil» sostiene Inger Andersen, direttore esecutivo dell’UNEP. «Molte economie in rapido sviluppo stanno lottando sotto il peso della crescita esponenziale dei rifiuti. Per creare società più sostenibili e per garantire un Pianeta vivibile per le generazioni future, non possiamo continuare ad affrontare il problema cercando di gestire ciò che buttiamo via. La combustione all’aperto dei rifiuti e le discariche hanno effetti disastrosi. Il riciclaggio non è in grado di far fronte all’enorme volume di rifiuti. Per realizzare la visione di una società a rifiuti zero, dobbiamo quindi ridefinire cosa sono. Molto di ciò che buttiamo via è una risorsa preziosa, quindi dobbiamo iniziare a ripensare la progettazione e la fornitura di prodotti e servizi».

Una risorsa

La questione dei rifiuti di plastica ne è un esempio chiave. Solo il 9% viene riciclato, il 17% incenerito, il 22% non è raccolto e il 46% scaricato nelle discariche. E, naturalmente, milioni di tonnellate finiscono negli oceani.

Il Mondo deve eliminare la plastica monouso, riprogettare i prodotti e gli imballaggi in modo che se ne utilizzi sempre meno. Lo stesso approccio si dovrebbe poi applicare anche ai minerali e ai metalli di cui abbiamo bisogno per la transizione energetica. I prodotti devono essere progettati per la riparazione, la rigenerazione, il recupero e il riciclaggio per mantenerli nel ciclo economico invece di strapparli dalla terra e gettarli via. In questo momento, fino al 7% dell’oro mondiale potrebbe essere ricavato dai rifiuti elettronici. Quindi, dobbiamo iniziare a pensare alla spazzatura come a una risorsa. Se riusciamo a costruire questa mentalità e a metterla in pratica, non solo rallenteremo la crisi planetaria ma potremmo addirittura produrre un guadagno netto annuo di 108,5 miliardi di dollari rispetto all’attuale costo di gestione dei rifiuti.

Il riciclo degli scarti della moda

Ci sono delle buone pratiche che possono diventare degli esempi virtuosi da replicare. A livello globale, ogni anno vengono persi 460 miliardi di dollari di valore scartando abiti che Rifiutipotrebbero ancora essere indossati. Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) sta attuando un progetto triennale finanziato dall’Unione europea per sviluppare pratiche commerciali e modelli economici innovativi nella catena del valore tessile contribuendo così a ridurre l’impatto ambientale e a migliorare i mezzi di sussistenza. Africa Collect Textiles è una delle prime start-up keniote a partecipare al progetto InTex che ricicla gli scarti della moda.

Traffico di rifiuti tossici

Purtroppo proprio il continente africano è secondo gli analisti delle Nazioni Unite quello maggiormente devastato. Infatti oltre il 90% dei rifiuti prodotti in Africa viene smaltito in discariche incontrollate, spesso con associata combustione all’aperto. 19 delle 50 discariche più grandi del Mondo si trovano in Africa, tutte nella parte subsahariana. È una fonte pericolosissima di metano e particolato carbonioso, due inquinanti che hanno un forte impatto sul clima e costituiscono la terza più grande fonte di metano prodotta dall’uomo.

A questa gravissima emergenza ambientale negli ultimi decenni si ne è aggiunta un’altra drammatica: il traffico e lo smaltimento illecito dei rifiuti tossici, gestito a livello planetario dalle cosiddette “ecomafie”, che muove un enorme giro di affari. A bordo di navi-pirata, lungo le rotte dei Paesi in via di sviluppo asiatici e africani: Corea del Sud, India, Paesi del Maghreb, Somalia, Senegal, Thailandia, Vietnam e non solo (pensiamo cosa è stato lo scandalo della cosiddetta “terra dei fuochi in Italia”), questi “pirati” causano danni inimmaginabili all’ecosistema e alla salute di tutti gli esseri viventi, perché si tratta di sostanze che spesso si diffondono rapidamente e possono quindi contaminare laghi, fiumi e falde acquifere.

Dalla teoria alla pratica

Dobbiamo agire adesso per evitare lo scenario peggiore. Occorrono severi controlli e forti sanzioni economiche e penali che potrebbero avere un enorme effetto di deterrenza con l’attivazione del Tribunale penale internazionale per i crimini ambientali da tempo sollecitato da parte di attivisti e organizzazioni che si occupano della difesa dell’ambiente. Un primo passo potrebbe realizzarsi attraverso l’ampliamento delle competenze dell’attuale Tribunale penale dell’Aja. Dobbiamo renderci conto però che sanzionare questi crimini non è sufficiente: occorre anche un vero e proprio salto culturale per passare da una concezione di educazione ambientale a un progetto di “cultura ambientale vissuta” che coinvolga non solo le giovani generazioni ma tutte le componenti sociali ed economiche.

 

Orazio Parisotto

Foto © UN, UNEP

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Orazio Parisotto
Studioso di scienze umane e dei diritti fondamentali, è fondatore e presidente di Unipax, Ngo associata all’UN/Dgc Department of Global Communications delle Nazioni Unite e all’ASviS, l’Alleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile - Agenda 2030 dell’Onu. Già consigliere-administrateur al Parlamento europeo è autore di numerosi saggi e pubblicazioni sull’Ue, i diritti dell’uomo e la pace. Su questi temi ha realizzato progetti educativi multimediali su piattaforme digitali (web giornali radio, web tv e strumenti didattici in e-learning), in collaborazione con l’Unione europea e ha promosso il “Progetto pilota di Educazione Civica per un Nuovo Umanesimo” per le scuole superiori. Scrive come editorialista su varie testate specializzate in relazioni internazionali e ha un Blog su geopolitica e diritti umani. È coordinatore del Comitato Promotore del Progetto United Peacers - The World Community for a New Humanism ed è membro del Comitato Scientifico dell'Università della Pace dell'Onu

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